
Il Contadino e il Garzone (Urbano Lampredi)
Allor che un mal ci preme,
Colui, che ‘l puote allontanar da noi,
Quasi quasi adoriam; ma quando poi
Ei ci salvò da quelle angosce estreme,
Spesso obbliato il beneficio viene,
E neppur grazia chi cel rese, ottiene.
Un vecchio contadino stanco, sfinito,
Dal suo garzon seguito,
Con vanga ed altri arnesi sulle spalle
Venìa dal campo per selvosa valle
Già stendea per lo cielo il velo ombroso
La notte, ed amendue
Bisogno avean di cibo e di riposo.
Ecco ad un tratto un Orso.
Il vecchio spaventato
Volea gridar soccorso,
Ma non ebbe a gridar tempo nè fiato,
Che preso si trovò: l’Orso lo gira
Con le zampe, e il rigira:
Lo spinge avanti, indietro, e fiutar sembra
In qual delle sue membra
Il primo morso appicchi. Il vecchio alfine
Sì malmenato da quell’unghie orsine
Era agli estremi; e in quel crudel periglio
Salvami, o Cecco, o figlio.....
Potè appena gridar. Cecco in gran fretta
Dà di mano all’accetta,
E il cranio irsuto, quasi nuovo Alcide,
Del feroce animale in due divide.
Poi, brandito il forcone, un salto spicca;
Per la schiena gliel ficca,
E quella rustical triplice lancia
Dal dorso trapassò sotto la pancia.
Levato il vecchio allor, le luci fisse
In que’ tre fori, e disse:
Imbecille che sei! com’hai potuto
Con quel forcone acuto
Nel tuo pazzo furore
Guastar pelliccia di sì gran valore?
U. Lampredi
http://www.larici.it/culturadellest/letteratura/krylov/09.htm