[b:35e0a44e60]«All'Est tutti convinti: il Cremlino armò Agca»[/b:35e0a44e60]
«Non ci sono prove ma none scluderei la decisione di un piccolo gruppo»
«Non abbiate paura» è una delle esortazioni più famose e frequenti rivolte ai fedeli da Giovanni Paolo II. E proprio in quelle parole, secondo Victor Zaslavsky, troviamo la spiegazione del ruolo cruciale svolto da Karol Wojtyla nel destabilizzare il totalitarismo comunista.
«In epoca brezneviana  spiega lo studioso di origine russa, docente della Luiss e storico del sistema sovietico  nella popolazione della Polonia e degli altri Paesi sottomessi a Mosca covava un grande malcontento. Ma la gente non osava protestare perchè paralizzata dalla paura di regimi pronti a usare l'arma del terrore contro gli oppositori. L'elezione del Papa e la sua prima visita in Polonia, con quell'immenso bagno di folla, furono un incoraggiamento formidabile: diedero a una massa enorme di persone la forza di ribellarsi al potere. Per gli oligarchi del Cremlino la nascita di Solidarnosc fu un colpo durissimo».
Come mai? «Il sindacato di Lech Walesa era un movimento difficile da reprimere. Il Kgb aveva avuto buon gioco nei confronti della dissidenza sovietica, costituita da gruppi ristretti di persone. Ma Solidarnosc invece aveva milioni di iscritti e non si poteva arrestarli tutti».
Gli scioperi operai di Danzica furono una sorpresa per la nomenklatura dell'Urss? «Direi di sì. Sin dai tempi di Stalin i governanti di Mosca temevano la capacità di mobilitazione della Chiesa cattolica. Inizialmente però non capirono la portata dell'elezione di Wojtyla. Bisogna tener conto che si trattava di una classe dirigente decrepita, composta in prevalenza da ottuagenari che non si distinguevano certo per vivacità intellettuale».
àˆ pensabile che si siano allarmati fino al punto di ritenere che eliminare fisicamente il Papa fosse l'unica soluzione praticabile? «Senza dubbio si sentirono minacciati, perchè Solidarnosc costituiva un esempio pericoloso per tutti i popoli sottoposti al loro dominio. Anche dal punto di vista ideologico, era uno smacco terribile il fatto che a rivoltarsi non fossero intellettuali borghesi, ma le moltitudini operaie, proprio la classe di cui i dirigenti sovietici si proclamavano rappresentanti. Però ho qualche dubbio che la mano di Alà Agca sia stata armata dal Cremlino».
Per quale motivo? «Se fosse stata presa una decisione ufficiale ad alto livello, molti ne sarebbero venuti a conoscenza. E dopo il crollo dell'Urss qualcosa sarebbe venuto a galla, anche perchè si tratta di informazioni che sarebbe possibile vendere a un prezzo elevatissimo. Invece dopo la caduta del regime non è emerso nulla, il che mi rende piuttosto scettico».
Allora la pista sovietica, o bulgara, non è attendibile? «Difficile dirlo. Si può ipotizzare che l'iniziativa dell'attentato si debba a un gruppo molto ristretto di individui, che forse agì scavalcando il vertice del partito, approfittando del caos in cui si trovava all'epoca la dirigenza dell'Urss».
Ma era possibile che un'operazione così delicata scattasse in quel modo? «Non è da escludere. Vorrei citare a tal proposito un passo dal diario di Anatolij Cernjaev, che sarebbe divenuto uno stretto collaboratore di Mikhail Gorbaciov. Il 30 dicembre 1979, a pochi giorni dall'invasione dell'Afghanistan, scriveva: "Nella storia russa non c'è mai stato, nemmeno sotto Stalin, un periodo in cui decisioni così importanti fossero prese così, senza nessuna discussione. Il vertice non si rende conto di che cosa sta facendo e perchè". D'altronde, in sede di bilancio storico, stabilire chi abbia ordito l'attentato ha un'importanza relativa».
Perchè, non si tratta di un evento cruciale? «Senza dubbio. Ma il punto decisivo non è tanto chi architettò l'azione, quanto l'effetto che ebbe. Tutti all'Est erano convinti che Agca fosse stato inviato dal Cremlino. Se Giovanni Paolo II fosse morto, gli oppositori del sistema avrebbero perso un faro. Ma il fatto che il Papa fosse sopravvissuto dimostrò, agli occhi dei sudditi di Mosca, che il potere non era onnipotente, che era possibile continuare a sfidarlo».
E il colpo di Stato del generale Jaruzelski? «Fu un fallimento, come tutti i tentativi di risolvere la crisi del comunismo attraverso misure repressive. Il declino del sistema proseguiva e la ferita polacca restava aperta».
Fu questo a causare l'elezione dell'innovatore Gorbaciov alla guida del Pcus? «I dati di cui disponiamo portano a ritenere che, più della situazione in Polonia, abbia pesato l'andamento disastroso della guerra afghana, che metteva in rilievo l'arretratezza tecnologica dell'Urss anche nel settore bellico. Credo però che Gorbaciov sia sincero quando esprime il suo caloroso apprezzamento per il Papa e quando afferma che non sa niente sull'origine dell'agguato di Agca».
Antonio Carioti
24 febbraio 2005