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La Storia del Forum

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Gringox d'Ucraina (sola lettura).
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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
"Vid na zhitel’stvo”.

Oksana Petrovna mi chiama. È appena rientrata nel suo ufficio con in mano diversi plichi di documenti. Tra cui sicuramente il mio. “Sadites’, poluchajte!” Con voce sommessa che a malapena udisco, a testa bassa, mi invita a sedere, apre il mio “lichnoe delo”, cioè la “mia” cartelletta, che ormai riconosco da tempo dopo decine di visite da queste parti, ed estrae un cartoncino gialliccio, che sa già di vecchio, anche se è fresco fresco di emissione: il mio “vid na zhitel’stvo”; anzi, come si dice qui, “posvidka na postijne prozhivannja”! Insomma, il permesso di soggiorno! L’agognato e sudato permesso di soggiorno ucraino a tempo indeterminato! Senza altre parole, con fare meccanico e annoiato, mi fa firmare un ultimo documento, mi dice che entro 10 giorni devo recarmi al “Zhek” (sorta di amministrazione di quartiere) a far timbrare il permesso, affinchè esso sia completamente valido, poiché è il Zhek che verifica e conferma la mia registrazione nell’appartamento che si trova in Ul. Vassilkovskaja, 27 – korpus 1, kv 37.
Oksana Petrovna non alza nemmeno lo sguardo per salutarmi, quando esco dal suo ufficio; chissà quanti ne ha registrati di stranieri e quanti ne registrerà ancora; è la tipica donnona sovietica che svolge il suo lavoro burocratico quotidianamente, talvolta scorbutica, talvolta dolce, dove la dolcezza bisogna pure interpretarla e coglierla nell’abbozzo di sorriso; questo succede quando è di buon umore…Mi dà invece più soddisfazione Julia, la ragazzotta ricciolona e morettona, che più che ucraina sembra una calabresotta; ella mi ha seguito e aiutato decisamente con più pazienza e simpatia di Oksana Petrovna, nella lunga procedura in cui raccoglievo la documentazione necessaria per ottenere il permesso, cinque mesi or sono. “Pozdravljaju vas”, con un sorriso…e ci salutiamo. Chissà se le rivedrò ancora… Ah, se ripenso a quanti sbattimenti, a quanti “su e giù” per questo Ovir e diversi altri organi comunali, e poi l’attesa lunga ed estenuante con la preoccupazione che tutto vada per il meglio e che non mi chiamino un bel giorno per dirmi che a causa di qualche complicazione o di cambi di legge (qui ogni tanto cambiano le leggi che uno manco se ne accorge!) viene dichiarato il rifiuto alla concessione del mio permesso.

Mattina gelida oggi a Kiev (-16°), ma l’emozione del momento riscalda tutto il mio essere. Ammiro questo cartoncino giallo, tenendolo delicatamente in mano per paura di non spiegazzarlo; lo giro e lo rigiro: la mia foto a colori, come sempre venuta male, è l’unico aspetto di “modernità” che vivacizza il documento; se non fosse per quella, potrebbe tranquillamente trattarsi di un qualsiasi certificato del tempo sovietico, di un qualche modulo compilato, espressione della massiccia burocrazia cartacea che faceva parte di quella società. Lo Guardo e mi sforzo di comprendere quelle scritte in corsivo nero che riempiono il “foglietto”. Distinguo nettamente i miei dati personali, molto meno le informazioni scritte nell’altra metà; ma l’occhio riconosce subito la parolina magica: “bezstrokovo”, ossia “indeterminato”. Dentro di me una grande gioia e fierezza: finalmente divento a tutti gli effetti residente in Ucraina.
Tanti pensieri mi frullano in testa, primo tra tutti l’ironia del destino che vede me – cittadino di nazionalità italiana, con passaporto italiano – godere ed inorgoglirsi per aver ottenuto un permesso di soggiorno indeterminato ucraino; quando migliaia di Ucraini  pagherebbero chissà cosa per avere la possibilità di regolarizzarsi in Italia, sbarazzandosi della propria ucrainicità di documenti. Sicuramente il loro stupore nel vedere il mio stupore darebbe loro motivo di considerarmi “ne normal’nij”! Ed io, con in mano questo permesso, mi immedesimo in quelli di loro che, uscendo da una qualsiasi Questura italiana, sventolano per la prima volta con soddisfazione il loro agognato permesso di soggiorno italiano. Può apparire esagerata la mia trepidazione, ma io so che è sensata, e so, perché lo vivo quotidianamente, che in un Paese ancora per certi versi legato al passato sovietico e molto burocratico, il “pezzo di carta” è cosa importante.
E poi ancora penso rapidissimamente ai miei quasi 7 anni di vita in Ucraina (6 anni e 10 mesi per l’esattezza, ad ora). Mamma mia, quanto tempo; se penso che sono arrivato che avevo 30 anni ed ora ne ho quasi 38…quasi un quarto della mia vita vissuto qui! Burocraticamente parlando ho provato di tutto: la permanenza sul suolo ucraino sulla base del visto, il primo anno e mezzo, quando ancora funzionava il regime dei visti; poi per 4 anni il permesso di lavoro del Ministero del Lavoro ucraino, che mi concedeva il diritto di risiedere nel Paese per un anno e che doveva essere rinnovato di anno in anno, ma per un periodo complessivo massimo di 4 anni; poi un periodo di irregolarità e di incertezza, senza né visto, né altri documenti, in cui il rischio di essere espulso esisteva realmente; incertezza infine colmata con la nascita di mio figlio, del “Gringhinox”, che mi ha dato il diritto di poter ricevere il permesso di soggiorno. Ecco dunque che il pensiero vola a ringraziare questo mio “esserino”, che – ignaro totalmente di ciò di cui è stato promotore – è a casa tranquillo che sta giocando o dormendo.
E in un attimo penso alle nuove opportunità che mi si aprono da oggi. Ragiono ormai “all’ucraina”, sono cosciente che queste problematiche farebbero sorridere qualsiasi altro mio connazionale, ma che farci? Io vivo qui e devo riferirmi a questo Paese. E così da oggi niente più patemi d’animo alla dogana (come nell’ultimo anno in cui ero irregolare e rischiavo multe ed altri inconvenienti molto spiacevoli): ora posso entrare e uscire dal Paese quando voglio e per quanto tempo voglio.
E così da oggi sono a tutti gli effetti residente fiscale: già da anni con l’iscrizione all’Aire ed in conformità ad una Convenzione in questo ambito tra Italia e Ucraina, avevo scelto l’opzione fiscale ucraina, ma a questo punto viene confermato, anche da parte ucraina, il mio status di residente fiscale.
E così da oggi posso infine compiere una vasta gamma di atti burocratici che prima non potevo fare, tra questi penso ai versamenti di denaro contante in banca senza la dichiarazione della provenienza di esso, allo sdoganamento di automobili, ecc… e chissà quanti altri altri diritti e doveri mi dà questo pezzo di carta…


Oltrepasso la cancellata arrugginita dell’Ovir, esco sulla strada con la sensazione di essere un “uomo nuovo”, davvero!: ehh sì, da oggi sono dunque “mezzo ucraino”!
Penso: stasera si festeggia!


Gringox

Kiev, sabato 28 gennaio 2012




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Scartabellando qua e là nei documenti che ho salvato nel computer ho ritrovato la lettera - mai consegnata al destinatario - che avevo scritto all'amico Alan (Alandd2001 del Forum) nel novembre scorso, poco dopo la sua partenza definitiva dall'Ucraina.
Mi è venuto un attimo di nostalgia e ho deciso di pubblicarla ora, qui, in questo "mio" spazio, poichè essa rappresenta un mio particolare stato d'animo di quel momento, per me triste.







Ad “Alandd2001”, amico italiano di Kiev, che lascia l’Ucraina!


“Alanuccio” sei partito ormai da qualche giorno e già c’è un vuoto! E a Kiev la piccola comunità italiana di amici (e del Forum) si riduce un’altra volta. Tre anni fa se ne andava – tornava in Italia –“Stefanuccio” (il “fu” Italjanets, gestore del sito “italia-kiev” sul quale si appoggiò la comunità russofila del dopo “Rivoluzione Morale Forumistica”, tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005, diventato poi webmaster e successivamente “Cagliostro”), il mio “maestro” kievliano – colui che mi aiutò a compiere i primi passi in questa terra allora a me ancora sconosciuta, quando sbarcai in Ucraina nel lontano ormai 2005; ora è il tuo turno.

Ci siamo conosciuti poco più di due anni fa, ancora una volta grazie a questo meraviglioso Forum – non tanto, se pensi che io stavo già a Kiev da 5 anni e tu ci vivevi da un anno – ma ciò non è importante; quello che conta è l’evoluzione di questa nostra amicizia che ci ha regalato nel corso del tempo la consapevolezza di poter contare l’uno sull’altro perché amici con la “A” maiuscola! Tu serio, a volte serioso – nonostante la tua giovane età – quadrato e “regolare”; io all’opposto estremamente gioviale e perennemente desideroso di socialità, di movimento, di baldoria; tu riservato, io aperto; tu freddo, io più sensibile e romantico; tu economo, io più spendaccione; tu bravo marito, io farfallone; tu che ti sentivi scomodo in questa terra, io che invece mi sento appagato… insomma io e te molto diversi sotto molti aspetti. Ma umanamente molto uniti e sempre pronti a venirci incontro vicendevolmente, consci delle difficoltà che questa terra spesso ti presenta. Ancora freschi nella memoria i ricordi dei nostri “pasta party”, delle nostre fumatine di kaljan, delle partite a calcetto, dei finesettimana estivi ai laghetti fuori Kiev, della compagnia telefonica che mi tenevi durante le lunghe ore di macchina caratterizzanti le mie trasferte ucraine…

Il tempo è un aspetto atroce dell’esistenza, non si ferma mai; calpesta tutto con la sua inesorabile sfrontatezza e non concede tregua mai e a nessuno di noi! Negli ultimi tuoi giorni a Kiev ci siamo visti più spesso del solito quasi a voler fermare ogni attimo e ritardare la tua partenza. Ma io vedevo in te la frenesia della partenza, il desiderio di iniziare finalmente la tua nuova quotidianità in un nuovo ambiente, in un nuovo Paese.
L’amicizia tra noi italiani all’estero, quando essa è sincera, spontanea, non legata ad affari, assume un carattere particolare, in cui gli aspetti della compagnia, della vicinanza, della condivisione di una quotidianità che nel bene e nel male unisce noi stranieri nelle stesse problematiche, convivono e contribuiscono a rafforzare i legami tra le persone. E così ci si cerca spesso, sia telefonicamente che realmente, ci si racconta aneddoti di esperienze quotidiane; ci si consiglia vicendevolmente su questioni pratiche o burocratiche locali; si cerca di condividere spesso l’italianità sotto forma di cibo, di partite di calcio, semplicemente di dialogo nella nostra lingua madre; quando ci si incontra si ricorda il passato “italiano”, si fanno paragoni; si colgono gli aspetti regionalistici che ci differenziano, ma che ci ribadiscono con fermezza la bellezza del nostro Paese, così variegato, ma unico ed indivisibile; si ride, si scherza, ci si prende in giro; si commenta la politica e lo sport visti “da fuori”; si progettano situazioni da vivere insieme; si bofonchia di tante cose…

E così rivedo i tuoi occhi vispi mentre ti accompagno all’aeroporto, in essi la freddezza della gioventù e l’ottimismo vivace di chi è convinto che è giunta l’ora di un “addio” e non di un “arrivederci”, ed io so che questo è il tuo volere! Tu in Ucraina non ci tornerai più, se non come turista o di passaggio per qualche giorno…

Si conclude una fase della tua ancora giovane vita, un primo importante fardello di esperienza che hai accumulato e che ti ha forgiato riempiendoti di quella sicurezza necessaria per affrontare le nuove sfide di una vita, che il destino vuole che tu continui all’estero; ma sappi, per me tu resti sempre lo “sbarbato” del gruppo kievliano.
È arrivato per te il momento di voltare pagina, sempre da emigrato: ti attende la potente e severa Germania, Paese europeo diverso totalmente da quello dove hai vissuto per tre anni, forse più consono a te, per come sei fatto. Ti aspetta la moderna ed evoluta Berlino, una grande capitale, che nulla ha a che vedere con Kiev! Sono sicuro che ti troverai bene, anche se dovrai faticare per farti spazio poiché là sei un giovane straniero tra tanti…chissà che ne sarà di te!

Ebbene con questo breve pensiero che riflette la malinconia che mi assale in questo momento, ti saluto amico mio. Questa è la vita, c’è chi parte, c’è chi resta, e sarà il tempo a mettere i puntini sulle “i” e ad abituarci alle nuove situazioni.
Cerca di trovare l’armonia con te stesso e la serenità di chi trova l’appagamento in ciò che fa ed è felice.


Un forte abbraccio,

Gringox


Kiev, 30 ottobre 2011.

 




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Rovno, 20 marzo 2012

Oggi è un giorno particolare, che tocca l’uomo Gringox e il forumista Gringox, poiché in questi ultimi anni della mia vita molto spesso l’uomo e il forumista sono andati a braccetto lungo lo stesso sentiero, sostenendosi vicendevolmente con la consapevolezza dell’importanza che il Forum ricopre per l’uomo Gringox e del valore e responsabilitа che l’uomo Gringox rappresenta per il Forum. All’uomo Gringox oggi cade una gocciolina di nostalgia sul viso ed il forumista Gringox trova la forza per descrivere il proprio stato d’animo in questo giorno e condividerlo nel Forum.

Oggi sono 7 anni che vivo in Ucraina, coronamento di un sogno russofilo inseguito per tanto, tanto tempo…festeggio questo giorno non a Kiev – non è un caso che non sia a Kiev, bensì in trasferta nell’Ovest Ucraina, quella parte di Ucraina che in tutti questi anni mi ha visto “viaggiatore” per lavoro, ma pur sempre “viaggiatore”, e ha riempito tante giornate e tante vicende della mia vita qui. Sono a Rovno, città sconosciuta ai più, a 330 km da Kiev, non lontano dal confine bielorusso e mi ritrovo ora in compagnia di due colleghi a brindare a questo “giubileo”, a guardare indietro, a questi anni trascorsi, alle conquiste personali, lavorative e burocratiche ottenute e alle perdite subite. Non nascondo la mia soddisfazione per avere costruito qualcosa! Non importa che ciò sia piccolo o grande, ma qualcosa ho fatto e l’ho fatto nell’ambito della realizzazione di quello che 7 anni fa era il sogno di poter cambiare la mia vita orientandola e realizzandola nella russofilia.

Il 25% della mia vita l’ho trascorso qui, sette anni su 37…non è cosa di poco conto! Questo Paese mi ha cambiato sotto diversi aspetti, umano, sociale, psicologico, ma un punto voglio focalizzare in particolare; mi ha cambiato come Italiano e mi ha cambiato come russofilo. Da una parte mi ha rinforzato come patriota e dall’altra ha smorzato la mia “totalità” russofila in un più maturo realismo. Ciò non affievolendo comunque mai la mia passione per questo mondo e la mia soddisfazione nel vivere qui. Ora sono più conscio davvero e orgoglioso di essere figlio di un grande Paese – non è retorica nè parlo ovviamente della “pochezza” politica o di altre derive sociali degli ultimi tempi – e credo di esserne degno rappresentante qui dove sono: la cultura, la storia, l’autorevolezza di cui l’Italia è simbolo nella storia delle Nazioni e nel mondo attuale sono fatti e non parole. Questa convinzione si è rafforzata in questi anni vissuti qui attraverso la conoscenza, la frequentazione e il dialogo con persone di varie età ed estrazione sociale con le quali ho avuto e ho a che fare sia per lavoro che nella vita quotidiana e mi ha portato nel tempo alla conclusione sopra descritta. Dall’altra parte la sempre maggiore constatazione che quella russofilia di cui ero intriso, era più il frutto di un’idea che forse trovava trasposizione nella realtà in un’epoca storica che ormai fa parte del passato, di quel passato sovietico di cui forti tracce si calpestano tuttora, ma che in generale è stato travolto dalla globalizzazione socio-economica e dalle sue conseguenze che qui si concretizzano in drammatiche contraddizioni.
Ed io, in questo “gioco” ho trovato la mia integrazione, che non è solo l’adattamento ad un territorio, a delle situazioni e ad una società che piacciono, ma è qualcosa di più; è il compromesso psicologico tra la mitizzazione di quell’idea russofila che è sempre dentro di me, e la quotidianitа che mi fa sentire a mio agio, in una realtà che, seppur lontana da ciò che la mia mente immaginava, conserva tuttora nella sua contradditorietà spunti di quel passato, e che tanto stimola il mio entusiasmo. Ed in questo contesto ho iniziato pian piano a muovermi, a comprenderne le dinamiche e a farmi spazio trovandomi una degna sistemazione.

Che cosa strana: è aumentato il senso patrio verso il mio Paese, ed è mutata la russofilia che avevo anni fa; eppure non torno in Italia ma sto qui, e qui sto bene. Perchè questo? Perché qui ho trovato il mio degno posto e la “mia” forma di integrazione! Chissà, forse è una tappa di passaggio della mia vita...ma questa mia “missione” non la sento ancora volgere al termine...

Ebbene caro Forum, voglio festeggiare anche con voi questo momento, poiché mai dimenticherò che è grazie a questo Forum che 7 anni fa si è potuto realizzare il sogno. Certo la tensione verso quel sogno viene da lontano, e va ricercata indietro nel tempo…ma solo l’interconnessione col Forum ha reso possibile la sua concretizzazione. Ed ecco che molto si spiega della mia passione forumistica e del mio affetto quasi morboso verso il Forum.

Vi abbraccio tutti, uno ad uno con l’augurio che ciascuno possa trovare la propria “integrazione” e la propria realizzazione di vita.

Gringox
 




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Kumpel’!

Un nome che è garanzia di soddisfazione per il palato e pienezza per lo stomaco! Letteralmente “compagno di bevute”, nel dialetto leopoliano che è un misto tra polacco e ucraino, questo locale è il posto giusto per chi ama la birra buona e la cucina a base di carne. La musica stile “polka” e tradizionale polacca di sottofondo si concilia soavemente col brulichio delle voci delle variopinte compagnie di amici che qui si ritrovano per trascorrere una serata simpatica nel buon umore sorseggiando una “burshtinove” ambrata (бурштинове) o una “svitle” (світле) dal colore ocra intenso, le due principali birre che il microbirrifficio Kumpel’ produce. L’ambiente è simpatico e tutto, dall’arredamento interno a metà tra il bavarese e il polacco agli ornamenti d’arredo, riporta ad un unico filo conduttore: la birra.

Qui addirittura in una parete del locale gli affezionati “compagni di bevute” conservano i propri boccali, individuali e personalizzati, in bacheche di vetro chiuse di cui ciascun proprietario conserva la propria chiave.

Una cena qui, solo o con clienti, è tappa fissa in ogni mia trasferta a Lvov, da quando nel 2008 nel centro storico della città ha aperto questo locale. Qui incredibilmente ho ritrovato la trippa alla milanese, piatto che non mangiavo da anni, forse da quando ero bambino...“флячки” (fljachki) – così viene chiamata qui, forse anch’esso nome di origini polacche – è piatto pure tradizionale della Galizia. La Galizia («Галичина») era all’estremità opposta dell’impero d’Austria e Ungheria: da una parte il Lombardo-Veneto, dall’altra la Galizia…chissà, forse le origini di questa somiglianza culinaria vanno ricercate in altro, magari nella tradizione contadina, ma a me piace pensare che in qualche modo ci sia un collegamento geografico-culturale tra queste due macroregioni che al tempo degli Asburgo si trovavano nella stessa entità statale. Dunque Milano (la mia città natale) e Lvov nello stesso stato fino alla prima metà e oltre del 1800, fino a quando la Lombardia non entrò nel nuovo Regno d’Italia…il pensiero a questa situazione mi apre nella mente immagini e visioni di carretti, di strade, di genti che viaggiavano nelle varie parti di questo Impero multiforme e multietnico e chissà, magari anche i “fljachki” o trippa in qualche modo è arrivata da queste parti (o viceversa) grazie proprio al passaggio di genti che portavano con sé le proprie tradizioni anche culinarie. È Andrej, mio fedele cliente e già da tempo sincero amico lvoviano – nazionalista (o antirusso) tanto da rimpiangere i tempi in cui Vienna era la loro capitale, ad avermi inculcato questa fantasia, questo strano collegamento culturale; ma in fondo è bello degustare della buona birra e fantasticare su un passato lontano ormai che ha visto noi lombardi e loro galiziani insieme…

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I "fljachki".


Al kumpel’ la birra è fantastica! L’ultima trovata è il boccale in plastica da 3 litri con rubinettino per spillare la birra, situazione ideale per le compagnie di buoni bevitori che a volte non è sufficiente per saziare la voglia e occorre ordinare un altro boccale per tirare a fine serata. Nella mia ultima trasferta, un paio di settimane fa, la “burshtinove” ambrata ha accompagnato degnamente il tagliere con la “metrova kolbasa”, un metro di salsiccia della casa, composta da carne di maiale, pollo e manzo; un piatto eccezionale.

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Il boccalone da 3 l. di "burshtinove"


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...e la "metrova kolbasa".
 

A fine serata dal Kumpel’ si esce sempre decisamente col buon umore. Ma è d’uopo fare quattro passi per le romantiche viuzze del centro di Leopoli, per smaltire la sana sbornia guardando con altri occhi – quelli lucidi ed ebbri di birra – gli edifici a tratti cadenti della città e le sue forme, che la notte risultano ancor più suggestivi per i giochi di luci ed ombre, rievocando i tempi passati dell’Impero asburgico…


Gringox


Lvov, 11 aprile 2012
 




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Sevastopol’ (Севастополь).

Sevastopol’ – «город герой»! Anzi città per ben due volte eroica! Quando l’ammiraglio Nahimov guidò la resistenza contro la coalizione anglo-franco-turco-italiana (o meglio sabaudia, dato che l’Italia ancora non esisteva) nella sanguinosa guerra di Crimea tra il 1854 e il 1855, quando la città venne quasi rasa al suolo dalle cannonate sparate dalle navi che come api punteggiavano e ronzavano nella piccola baia antistante la città… lui era lì; ed ora lui è ancora lì a sovrastare la grande e bella Piazza Nahimov a lui dedicata, e a ricordare ai sevastopoliani e a me, visitatore di passaggio, le vicissitudini della città e il suo valore.

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Statua di Nahimov.


La seconda volta si ripetè meno di 100 anni dopo, quando Sevastopol’ fu oggetto di aggressione nazista e dovette organizzare un’accanita resistenza, durata 250 giorni, prima di cedere al nemico. E così, come Kiev, come Leningrado, come Odessa, come Minsk, come Smolensk, come Kerch’, ecc… e forse ancor più meritatamente delle città sopra indicate, anche Sevastopol’ è ricordata tuttora come gloriosa “gorod geroj”.

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Altare della Patria.


Monumenti alla gloria della città ce ne sono ovunque in una quantità mai vista da altre parti: statue, memoriali, cippi, busti, insegne, colonne e chi più ne ha più ne metta.

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«Матрос и солдат»; ("Matros i Soldat" - il poderoso monumento al marinaio e al soldato).

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Памятник Затопленным короблям» - Colonna dell’aquila (o monumento alle navi affondate durante l’asssedio della guerra di Crimea).

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Monumento alla resistenza nella guerra di Crimea.

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«Обелиск в честь города-героя Севастополя» - obelisco in onore della città eroica Sevastopol’.


E così eccomi di nuovo in Crimea, una terra che mi sta già attirando da tempo e che ho iniziato a visitare l’anno scorso; dopo Yalta e il suo circondario, dopo Sudak e la tranquillissima baia di Novij Svet eccomi dunque a Sevastopol’.

Di bello a Sevastopl’ c’è l’atmosfera cittadina e la gente. Se Yalta è il “kurort” per eccellenza, dove prima la nobiltà zarista, poi l’elite dell’apparato statale sovietico, sfoggiavano l’eleganza e dove ora troneggia la sbruffoneria, pur in un contesto cittadino sotto molti aspetti retrò, dell’oligarchia contemporanea e degli eredi di quelle oligarchie post-sovietiche; Sevastopol’, disposta in modo esteso lungo un dolce pendio che scende verso la baia, è la grande città portuale – la vera capitale della Crimea (sebbene politicamente la capitale sia Simferopol’) –  che conta circa 350.000 abitanti e dove tutto ruota intorno al porto e al commercio marittimo. Essa è del tutto conforme, esteriormente, allo standard delle altre città “soviet”: palazzoni ancor più fatiscenti e dalle facciate degradate dalla salsedine nella periferia sulla collina, strade larghe e polverose, un centro carino con qualche edificio neoclassico sul lungomare, parecchie “stalinki” e poca roba del tempo precedente, poiché le guerre qui hanno raso al suolo per bene la città; nonostante ciò essa appare ordinata e davvero piacevole.

Il lungomare è molto ben curato e i sevastopoliani amano molto passeggiare qui, soprattutto in queste tiepide giornate di primavera e durante la calda estate.

La marshrutka è, come sempre nelle Russie, il modo più comodo per girare la città, ed è anche piacevole: era da tempo che non sentivo la musica in marshrutka; la radio che il conducente tiene sempre ad un volume garbato ti alletta il viaggio mentre guardi fuori dal finestrino.

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La baia dinnanzi a Sevastopol'.

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«Графская пристань» - (“Grafskaja pristan’”), la facciata in stile neoclassico, inaugurata nel 1846, dove si svolgevano le parate dei marinai alla corte di vari imperatori, da Caterina II, ad Alessandro II, a Nicola I, a Nicola II…

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Il lungomare.

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Intrattenimenti sul lungomare: il «запорожский самовар» ("samovar di Zaporozhe").


La gente dicevo… forse la consapevolezza del valore storico che la città ha assunto sin dai tempi degli antichi greci è all’origine dei modi civili e colti della gente, in generale. È dai piccoli atteggiamenti, dal modo di rispondere, dagli sguardi della gente che si nota la differenza rispetto alla maggior parte del mondo russo che conosco. Un “grazie” in più, una persona che ti accompagna fino a destinazione alla richiesta di indicazioni stradali, una marshrutka che si ferma lungo la strada, e non necessariamente alla fermata, al semplice cenno del braccio e ti raccoglie; lo stesso particolare della consegna dell’ “obolo” al conducente per la corsa in marshrutka (2 grn!) a fine corsa, prima di scendere e non al momento della salita; i volti sorridenti della gente…

In giro pochi marinai russi fanno da cornice alla realtà cittadina. Ciò mi sorprende deludendomi un poco. Nonostante gli accordi politici ucraino-russi che prolungano il “dominio” russo sulla città, essa non è più quella di un tempo; non è più la potente Sevastopol’ che dal dopoguerra al 1991 rappresentava la gloriosa città strategica del mar Nero, dove era ancorata la più grande flotta dell’Armata Rossa nella parte meridionale dell’impero sovietico… l’importanza di Sevastopol’ è soprattutto simbolica ora; sta a confermare il diritto che i russi si attestano di poter stare qui, in un territorio che la storia ora assegna ad un altro Stato. Se si notano pochi marinai russi, in compenso le bandiere a strisce orizzontali bianco, blu e rosso sventolano orgogliose ovunque, in cima ai tetti degli edifici della città a ribadire appunto il legame forte ed inscindibile della città con la madrepatria russa. Che cosa strana, già a Yallta e a Novij Svet mi aveva impressionato questo particolare delle bandiere russe, ma qui ha a dir poco dell’incredibile tante esse ne sventolano sopra la città...

Anche le navi militari sembrano appartenere ad un’altra epoca; sebbene tuttora funzionanti, e abitate – si scorgono i marinai indaffarati nella pulizia a bordo – esse stanno lì placide con la chiglia a tratti arrugginita e non fanno più paura a nessuno, anzi sembrano più che altro un oggetto di attrazione per visitatori. Avvicinarsi ad esse è comunque una grande emozione, e mentre la guida racconta i nomi e i particolari delle navi alle quali passiamo vicine, la mia mente vola indietro nel tempo, ai tempi della Guerra Fredda quando queste navi facevano paura per davvero...

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Alcuni esemplari della gloriosa flotta russa del Mar nero...

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...e ancora.


Impressionante, ma sul serio! – accolgo con un’esclamazione spontanea ad alta voce la sorpresa per ciò che mi si apre davanti, o meglio tutto intorno, dopo aver salito la scaletta ed essere entrato nella grande e centrale sala del c.d. “Panorama dipinto”! Un dipinto tridimensionale: cioè un telo dipinto integrato da inserti tridimensionali, alto 14 m., lungo 115 m. che, includendo gli oggetti e l’area tridimensionale, ricopre uno spazio totale di circa 1000 m2! Mentre si gira intorno al dipinto, si ha la sensazione incredibile di essere là, tra quei soldati russi baldanzosi dipinti che con foga combattono, si organizzano, discutono, curano i feriti, caricano le munizioni dei cannoni, ecc... la gloriosa resistenza della città durò 349 giorni, ma fu vana: la coalizione anglo-franco-turco-sabauda ebbe la meglio!

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Spezzoni del "Panorama dipinto"...

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...e ancora.


Khersones non ti lascia indifferente! Una volta entrati nel parco in cui giacciono le rovine greche ci si immerge davvero in un’altra dimensione. Sembra di stare ad Agrigento nella valle dei Templi o ad Atene sull’Acropoli, ma qui il contesto più selvaggio e la possibilità di gironzolare dove e come vuoi tra queste pietre, ti dà una sensazione di maggior assorbimento col passato. L’ideale è venirci qui al tramonto, come ho fatto io, all’imbrunire, in modo da immergersi totalmente in questo mondo pre-cristiano. I resti più belli sono decisamente quelli del teatro... toccare queste pietre e pensare che esse hanno 2400 anni (data della fondazione della città greca è il 422 a.C.), ti fa riflettere. Non per niente Khersones, che in italiano chiamiamo Chersoneso, è patrimonio dell’Unesco dal 1996. In questo contesto ha preso origine anche la Chiesa Russa Ortodossa, quando il principe Vladimir il Grande nel 989 d.C. fu battezzato e si convertì al cristianesimo; la bellissima Vladimirskij sobor – la cattedrale dedicata al principe Vladimir, è lì ad osannare questo evento storico.

 khersones
Херсонес - Chersoneso, le rovine della città greca del 422 a.C.

 khesrones2
...e ancora...

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Ciò che resta del tempio e nello sfondo la bellissima cattedrale di Vladimir.

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Vladimirskij sobor.

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La "Pesciolina" tra le rovine greche.


Balaklava (Балаклава) è un paesetto placido disposto a semicerchio nella piccola baia e sovrastato da brulle collinette che scendono dolci verso il paese ma che cadono a strapiombo dalla parte opposta sul mare aperto.

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Vista su Balaklava.

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A picco sul mare aperto - vista da sopra Balaklava.

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Alle spalle, Balaklava.


Da Sevastopol’ ci si mette poco ad arrivare in marshrutka, ma vale davvero la pena trascorrere qui una giornata e farsi una bella mangiata di pesce sul lungomare, sempre se le finanze te lo concedono, dato che qui ho la riconferma che la Crimea è equiparabile a Kiev dal punto di vista dei prezzi (il bel pranzo a base di pesce, con boccia di "shampanskoe" mi è costato circa 500 grn. per due persone!).

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La squisita "uhà" di pesce.

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I deliziosi e da me adorati "rapany", antipasto di mare della Crimea.

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L'ottima grigliata a base di triglie e sogliola.

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...il tutto annaffiato da del morbido "shampanskoe" («Золотая Балка» - “Zolotaja Balka”), prodotto proprio a Balaklava.


Chi avrebbe mai immaginato che qui, in questo placido paesino di mare, si nascondesse la segretissima base militare sotterranea dove si procedeva alla manutenzione e riparazione nonché all’installazione delle testate nucleari dei sommergibili nucleari sovietici. Il racconto della guida, man mano che ci si addentra nei cuniculi e nei tunnel rivestiti di massiccio cemento armato, ti lascia a bocca aperta: qui fino al 1991 lavoravano circa 650 marinai, in tutta segretezza per cinque anni e nessuno, neppure i parenti più stretti, era al corrente di dove si trovassero i propri famigliari; costoro, una volta terminato il servizio in questa struttura, avevano il divieto per altri cinque anni, di uscire dall’Unione Sovietica. La struttura sotterranea e il lavoro svolto da questi marinai e tecnici erano coperti dal segreto di stato. Di sottomarini ahimè non se ne vedono ora – il che mi lascia un po’ male; ma alcune sale sono adibite a museo con oggetti, fotografie e rappresentazioni della vita che si svolgeva qui nella quotidianità, e ciò abbellisce la visita e fa volare un pò la mente. Resta il fatto che l’impatto con quei canali bui, della dimensione giusta per farci passare il sottomarino, quelle passerelle, quei portelloni di cemento ti mette un brivido sulla pelle, emozione che poi però va a scemare un pò nel proseguo della visita. In tutta onestà questa escursione vale la pena farla una volta nella vita ma non di più, giusto per farsi un’idea di questo mondo sotterraneo, antiatomico, segreto a tutto il mondo, che ora giace per lo più abbandonato e in degrado.

 ingresso_tunnel2
In ricordo alla II Guerra Mondiale.

 ingresso_tunnel
Apparentemente una baracca per pescatori, in realtà l'ingresso al tunnel antiatomico di Balaklava.

 tunnel
All'interno nei meandri antiatomici...

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...i canali bui dove venivano riparati i sommergibili, o venivano caricate le testate atomiche...

 tunnel2
...e l'interno della base...

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...di forte impatto la frase impressa sul muro "не все говори, что знаешь, но всегда знай, что говоришь!" ("non dire tutto ciò che sai; ma sappi sempre ciò che dici!)...

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...un modellino di sommergibile nucleare sovietico...

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...e infine una foto dell'epoca della Guerra Fredda, mentre un sommergibile sta per entrare nella base.


L’altra attrazione di Balaklava è la fortezza di Cembalo (крепость Чембало), o meglio ciò che rimane della presenza genovese del XII e XIV sec.; da essa si apre una vista mozzafiato sul mare aperto da una parte, e sulla baia di Balaklava dall’altra. A differenza della fortezza di Sudak, qui è rimasto ben poco, tre torri di cui una che stanno ristrutturando (anche se mi hanno detto che è anni che è in ristrutturazione e pare lasciata ugualmente a sè stessa...) e un pezzo di mura. Ma ripeto, il bello di questi luoghi e di queste escursioni è la totale libertà di movimento e di azione: si può toccare, si può esplorare, ci si può arrampicare ovunque… brutto invece è vedere il “solito” degrado e la “solita” mancanza di civiltà che si traduce in sporcizia con immondizia, bottiglie e barattoli buttati qua e là per il territorio.

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Resti della fortezza genovese di Cembalo.

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Arrampicandomi tra le rovine.
 

Dedico l’ultima mezza giornata alla visita del paesino di Inkerman (Инкерман), a una mezz’oretta di marshrutka dal centro di Sevastopol ma in direzione opposta rispetto a Balaklava, giusto per completare la visita di Sevastopol’ e dintorni e dunque il programma da me stabilito. Meritano la visita qui sostanzialmente due cose: il monastero nella roccia di San Clemente e Martino: un capolavoro architettonico dell’VIII-IX sec., tuttora abitato, che, sebbene molto più piccolo e raccolto, mi ricorda il monastero di Ostrog, in Montenegro, dove anni fa ci passai pure una notte tra monaci e pellegrini; carinissimo il giardinetto dalle aiuole varipinte all’interno.
E un altro resto di fortezza, non genovese però, la fortezza “Kalamita” (крепость Каламита), posizionato sul dirupo proprio sopra il monastero. La sua posizione in mezzo ad un prato verde verde, il suo essere così diroccato e quelle forme, mi danno l’idea che si tratti più di un qualche resto celtico in Irlanda o in Scozia, piuttosto che un pezzo della presenza russa del XV sec…

 monastero_nella_roccia
Пещерный монастирь Св. Климента и Мартина - Il monastero nella roccia di San Clemente e Martino.

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Resti della fortezza Kalamita di Inkerman.


A tutti in Ucraina e nelle Russie è noto il marchio “Inkerman”, che è sinonimo di vino di qualità e valore (lontanamente paragonabile comunque alla qualità italiana!): ecco dunque che dopo aver sperimentato e degustato in fabbrica i vini di Massandra (a Yalta) e lo “shampanskoe” di Novij Svet, la curiosità di provare il vino Inkerman è tanta… ed è questo il secondo motivo buono per venire qui. Purtroppo questa volta mi va male! Lunedì è giorno di chiusura! Forse perchè è il lunedì di Pasqua. Tento di “convincere” la guardiana della fabbrica a farmi entrare o per lo meno ad aprire il negozietto per comprare due bocce di vino, ma è tutto inutile: il lunedì nessuno lavora ed è tutto chiuso. Sconsolato mi avvio alla fermata della marshrutka, manca poco alla partenza del treno…

 inkerman
L'ingresso della fabbrica di vini Inkerman.


Un peccato tranciare la giornata a metà e partire da Sevastopol’ poco prima delle 14.00; ma il rientro a Kiev è lungo, ben 17 ore di treno, sebbene si prevede comodo e tranquillo; e così, svaccato sulla “cara” cuccetta del “mio” caro treno russo, studio già la prossima avventura in Crimea, tra un paio di mesi.

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Il mio vagone del treno "firmato" - Sevastopol' che mi riporta a Kiev.



Gringox

Sevastopol', finesettimana di Pasqua, 14-16 aprile 2012
 




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Post del 12/06/12


Si respira grande euforia in queste calde serate kievliane in cui l'evento calcistico degli Europei ha scosso questa giovane Nazione ed apportato un grande entusiasmo e una gioia generali.

Maidan e Khreshatik sono chiusi al traffico per tutta la durata del torneo ed è stata creata una "fan zone" - quella che ho chiamato la "grande ammucchiata" - dove il popolo si ritrova davanti a dei megaschermi posizionati in diversi punti della strada e quello più grande proprio in Maidan.

Tanti giovani, ragazzi e ragazze, passano qui queste serate, bevendo birra e sventolando bandiere a seconda delle partite che vengono disputate e delle loro simpatie calcistiche. Volti pitturati dei colori delle varie Nazionali, bandieroni, magliette variopinte, fragore, fiumi di birra...ed io spesso sono là, in mezzo a loro, a condividere questi momenti unificatori, il cui significato credo che vada oltre il calcio...

Ieri sera una sola voce "Ucraina Ucraina", un solo coro...una miriade di magliette gialle e un tripudio di bandiere!! Un carnaio: mai visto il centro di Kiev così strapieno di gente.

Grande Sheva, ha messo l'anima, grande Gusev, grande Timoshuk, grandissimo Voronin...e la commozione di Blohin è epica. Mi sono commosso anche io. Ero solo, unico italiano, in mezzo a una folla gialla, anche io privato della mia "pelle" e fede italica a gridare a squarciagola "Ucraina Ucraina" e a vivere quell'emozione come uno di loro. Del resto questa è la mia seconda Patrria che amo ormai e della quale non posso farne a meno...
Bellissima e trepidante la telecronaca della partita, il telecronista ucraino è fantastico nel riuscire a trascinarti con l'emozione delle parole e dei toni di voce, spesso con battute che provocano scroscianti risate da parte della platea di ascoltatori. Altro che le negne di certi commentatori nostrani.

La gioia per la vittoria e per la doppietta del "vecchietto" Shevchenko è incontenibile a fine partita. Fuochi d'artificio, urla infinite spesso sbiascicate e postumo di fiumi di birra ingurgitati durante la partita.
Siamo solo alla prima vittoria (e prima partita) e pare che il popolo giallo stia festeggiando già la vittoria del campionato europeo!! Staremo a vedere...

In bocca al lupo Ucraina!!


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Gringox
 




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Post del 07/07/2012.


Chernobyl, 9 maggio 2012.


9 maggio – den’ Pobedy! La gloriosa festa della Vittoria che si celebra in tutta l’ex-Unione Sovietica, in memoria della grande guerra patriottica vinta dai sovietici contro i nazisti può essere celebrata dal semplice cittadino in diversi modi: chi va alla parata (non più tantissima gente come anni fa), chi si ubriaca con gli amici, chi va a passeggio se la giornata è bella, chi va al cimitero (dato che è tradizione dopo la Pasqua ortodossa fare visita ai propri morti e trascorrere la giornata “insieme” a loro mangiando e bevendo intorno alla tomba); insomma ognuno in questo giorno di festa si diletta come più gli garba. Qui in Ucraina c’è anche chi ne approfitta per fare visita ad un luogo, chiuso e vietato per tutto il resto dell’anno, ed aperto solo ed esclusivamente in questo giorno per chi in questo posto ha i propri cari sepolti o ci ha vissuto, prima che succedesse la grande catastrofe del 1986…mi riferisco a Chernobyl!

Tanja ha abitato per diversi anni con la famiglia a Pripjat’, vicinissimo alla centrale nucleare dove suo padre ha lavorato per tanti anni. Abitavano nella ul. Gerojev Stalingrada, 27 al 7° piano. E Tanja quasi ogni anno, ogni 9 maggio, con Vova suo marito, torna a rivedere l’appartamento e a passeggiare per quella che ora è considerata la “città fantasma”. Vova e Tanja fino a un mese lavoravano con me, prima di prendere la decisione di licenziarsi.
E a loro quest’anno mi unisco anche io. Finalmente posso realizzare quel desiderio di viaggio che da tempo, da anni, mi assilla; la curiosità di vedere di persona certe cose, di parlare con chi là ha abitato, di sentire racconti umani di chi ha vissuto quella tragedia, di vedere la natura circostante, la realtà rimasta ferma al 1986. Continua dunque il mio viaggiare alla scoperta di ogni angolo di questa terra ucraina che da oltre 7 anni è diventata la mia seconda patria.

In poco più di un’ora e mezza con la mia macchina giungiamo al КПП Детятки (il posto di blocco Detjatki), la barriera che segna l’inizio della zona ad alta radioattività intorno alla centrale di Chernobyl. C’è coda al posto di blocco, non sono turisti ma famiglie, uomini, donne, anziani soprattutto che si accingono a portare fiori ai cimiteri dei villaggi nella zona intorno alla centrale, villaggi abbandonati dai vivi, ma che ospitano ancora i morti…; Vova ci aveva avvisati del possibile traffico e per questo saggiamente siamo partiti la mattina presto. Mentre siamo in fila la militsja distribuisce il foglietto – datato ancora “2001”! – con le indicazioni di come comportarsi all’interno della zona, pezzo di carta che deve essere firmato e restituito all’uscita. Nel leggere i vari punti già sale l’emozione e una certa preoccupazione: vietato porre cibaria e mangiare nei campi, vietato sedersi sulla terra, vietato accendere fuochi, vietato portare via oggetti e piante, ecc. Al nostro turno Vova mostra alla militsja il documento che attesta che la moglie è una ex abitante di Pripjat’ e così entriamo.


 foglietto
Il foglietto che viene consegnato al posto di blocco.


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KPP Ditjatki (il posto di blocco di Ditjatki).


 cartelli  


Strana l’aria che si respira al di là della barriera. Il paesaggio appare la stesso di tanti altri qui in Ucraina, eppure…forse è la suggestione, la tensione, l’idea di trovarsi a pochissimi chilometri dalla centrale, ma sta di fatto che mi sembra di respirare un’altra aria, più pesante, più maleodorante. La vegetazione appare più densa e intricata e disordinata; mentre proseguiamo lungo la strada – stranamente in discrete condizioni – mi vengono in mente i racconti della gente e le leggende che girano da queste parti e che narrano di animali di dimensioni abnormi che si aggirano nei boschi, cinghiali, caprioli, lupi…chissà cosa c’è di vero in tutto questo, vorrei avere la fortuna di fare degli strani incontri, ma il regno di queste presenze è la notte e forse è meglio così.

Se ne sono raccontate tante di storie su questa catastrofe umana, su quei drammatici momenti e sulle conseguenze che per anni e tuttora ne sono derivate a tante vite umane; tanto materiale, foto, ricerche, reportages; c’è anche un interessantissimo museo a Kiev, che io ho visitato diverse volte, esso è fortemente toccante; ma un’altra cosa davvero è trovarsi lì, a pochi passi dalla centrale.


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Chernobyl, il paese che ha dato il nome alla centrale non è in effetti così vicino ad essa, dista circa 12 km; esso è curiosamente tornato a vivere nei tempi recenti. Entriamo nella cittadina e ovunque gente, qualche chiosco e negozi di alimentari aperto; fiori sui davanzali di qualche finestra, in quelle case sovietiche uguali a tante altre, ma ancor più degradate. Allucinante! Qui, all’interno della zona vietata e in un territorio considerato ancora altamente radioattivo, è tornata la vita umana: sicuramente ci abitano i “manutentori”, coloro cioè che si occupano della manutenzione alla centrale e le loro famiglie. C’è poi tutta un’umanità “sommersa”, nascosta, di cui non si conosce bene la vera entità ed identità – si tratta di criminali che da varie parti dell’ex Unione Sovietica hanno trovato rifugio qui, di Ucraini, Moldavi, Russi, Bielorussi che riescono qui a nascondersi e a sfuggire alla cattura delle polizie poiché questo territorio non è controllato. Almeno così mi dicono i ragazzi. E io ci credo, perché qui davvero sembra di essere fuori dalla civiltà, in un microcosmo autonomo, staccato dal resto dell’Ucraina e del mondo. Attraversiamo la cittadina con calma e ci fermiamo qualche minuto davanti al monumento dedicato ai soccorritori della prima ora, a coloro che si gettarono eroicamente all’interno della centrale senza essere adeguatamente protetti, quel 26 aprile 1986, e che per due settimane si alternarono nelle operazioni di spegnimento delle fiamme (ben due settimane ci sono volute per spegnere il fuoco!): costoro sono tutti morti…


 chernobyl
...per la strada principale di Chernobyl...


 monumento
Il monumento ai soccorritori.


In breve Chernobyl è lasciata alle spalle. Si aprono a destra e a sinistra della strada campi brulli a perdita d’occhio, dal terreno irregolare, tutti a cumuli di terra, punzecchiati di cespuglietti e betulle sparse qua e là e disseminati di inquietanti cartelli col simbolo della radioattività, quasi come fossero dei campi minati e quei cartelli ad indicare la presenza di mine ovunque. Un paesaggio a dir poco agghiacciante! Qualche chilometro più avanti uno strano ronzio che si fa sempre più pressante man mano si prosegue, ci sorprende e ci scuote le orecchie, si intravvedono diversi tralicci mastodontici che collegano tra loro cavi elettrici ad alto voltaggio e capisco che il rumore proviene da lì, ma non riesco a spiegarmi il perché di questo fenomeno. E io che pensavo che qui manco ci fosse più l’energia elettrica…la vista poi impallidisce poco più avanti quando in lontananza, oltre ai campi, dietro alla folta vegetazione spunta la sagoma della ЧАЭС (la centrale nucleare di Chernobyl), vedo l’edificio di colore rosso e bianco e il sarcofago del reattore, e le gru intorno (perché come è noto si lavora ancora di tanto in tanto intorno al reattore 4 della centrale). Impallidisco e una mitragliata di brividi mi assale per tutto il corpo. Per diversi secondi non riesco a distogliere lo sguardo da essa…


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La centrale di Chernobyl...


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Poco più avanti il bivio stradale, da una parte, a destra si andrebbe alla centrale, ma la strada è presidiata da una misera pattuglia della militsja che impedisce di procedere, la centrale è luogo vietato ai non addetti, anche in questo giorno; a sinistra invece si va in direzione di Pripjat’. Prendiamo questa strada, e in qualche minuto ci imbattiamo nel cippo con la scritta Pripjat’.


 pripjat_1970


 cartello_pripjat


Pripjat’. Penso al destino di questa città. Fondata dal nulla nel 1970 e costruita sulle sponde dell’omonimo fiume, a 2 km circa dalla centrale, esclusivamente per dare alloggio ai lavoratori della centrale e alle loro famiglie ed abbandonata nel 1986: 16 anni di vita. Una città che è durata solo 16 anni! Da tutta l’Urss sono giunti qui operai, ingegneri, architetti, tecnici con le loro famiglie per scelta o perché spediti qui dalle autorità, ma comunque sia con la speranza di un futuro tranquillo e prospero. Per la maggior parte giovani, tanto che nel 1985 una rivista di Kiev aveva pubblicato un ritratto della città, dipingendola come angolo felice dove molti giovani sovietici hanno legato i propri destini a quello della centrale. Ahh che destino funesto…erano in 49.000 abitanti quando è scoppiata la catastrofe!

La desolazione è ora dominante qui; ahimè anche all’ingresso della città c’è la militsja e non si entra! Davvero un peccato non poter girovagare per le strade vuote, vedere da vicino quell’immagine “storica” (famosa probabilmente a tutti) che ho nella mente delle giostre e delle altalene abbandonate, ma il pericolo di crolli di cornicioni è troppo alto e da quest’anno le autorità hanno stabilito il divieto di entrare, per evitare che la gente possa salire ai piani delle case ed entrare in quelli che erano i suoi appartamenti (tra l’altro era anche il nostro obbiettivo) e dunque incorrere nel rischio che possa succedere qualcosa di spiacevole. In questa città non cambia niente da anni; dal 1986 è rimasto tutto così come è stato lasciato dopo il repentino abbandono da parte della cittadinanza. Anzi, ogni anno è sempre peggio e le condizioni degli edifici sono sempre più precarie. Non rimane altro che girarci intorno alla città, costeggiando il reticolo di filo spinato arrugginito e bucato, fino al cimiterino che dista poco lontano. Qualcosa si riesce a vedere e quel qualcosa non ti lascia certo indifferente…mentre passeggiamo vedo diversi edifici in condizioni terribili, quasi ci fosse passata una guerra qui: finestre rotte, dove esse sono rimaste; balconi devastati, pareti scrostate, case sventrate… E tutto intorno alle case una vegetazione intensa e disordinata che irrompe sventrando l’asfalto vecchio delle stradine e dei marciapiedi e cresce sempre più folta ed incontrollata.


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...passeggiando ai margini della città fantasma di Pripjat'...


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 pripjat2


 pripjat3


 slitta
...e ancora uno slittino abbandonato...


 slava_trudu


Qui, mentre passeggiamo, Tanja mi racconta di quei tragici giorni, lo fa senza lasciar trapelare alcuna emozione, come se fosse il racconto di un ricordo di un momento passato come tanti altri. Di quando solo due giorni dopo lo scoppio le autorità, che si erano rese conto della tragicità della situazione, comunicarono via radio alla popolazione – ignara di cosa fosse successo – di raccogliere il necessario personale per trascorrere un paio di giorni nel bosco, come se si trattasse di un’esercitazione militare in cui prende parte anche la popolazione cittadina, che poi tutti sarebbero rientrati nelle proprie case; di raggrupparsi fuori dai portoni degli edifici e di salire sugli autobus predisposti a trasportarla via. Ebbene non rientrò più nessuno…e anche a Tanja e alla sua famiglia fu assegnata una nuova destinazione di vita. Qualche anno dopo parecchia gente che abitava a Pripjat’ è riuscita in qualche modo a rientrare in possesso dei propri valori che erano rimasti negli appartamenti (venivano dati permessi speciali per mettere piede nelle proprie case e poi uscire); restò il divieto di portarsi via i tappeti poiché pregni di radioattività. A questo proposito Tanja racconta una storia agghiacciante che ha per protagonista una famiglia, sua vicina di casa di Pripjat’, che riuscì a portare via un tappeto dall’appartamento – quello più amato dalla figlia, che allora, al momento dell’evacuazione della città era piccolina. Ebbene quella figlia è morta a 15 anni per avere nella sua nuova dimora tenuto sempre vicino quel tappeto…
Arriviamo al cimitero di Pripjat’, fa effetto vedere quelle lapidi e quelle foto dai colori sbiaditi di quei morti. Le date delle morti si fermano come per incanto all’aprile 1986; nessuno qui è stato sepolto dopo la catastrofe. Vedo gente che in silenzio è raccolta intorno a quelle tombe; alcuni mangiano, altri le puliscono e depositano fiori. Rientrando verso la macchina, parcheggiata al di fuori dell’ingresso della città bloccato, entriamo nella “avtostancija” (la stazione degli autobus di Pripjat, che era stata costruita fuori dalla città). Qui si può entrare liberamente: dentro distruzione e abbandono! Vedo le cabine telefoniche gialle del tempo sovietico, vedo gli armadietti del deposito bagagli arrugginiti e spalancati, vedo le casse e gli sportelli per le informazioni…sembra di trovarsi in un’ambiente dopo un bombardamento!
Rientriamo alla macchina, io sono zitto, davvero senza parole!


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La avtostancija di Pripjat'.


 avtostancija2


 avtostancija3


Il ritorno è veloce, non vedo l’ora di uscire da questo territorio strano, sento uno strano malessere e un senso di disagio. Mi dicono i ragazzi che appena arrivo a casa è consigliabile farsi una bella doccia e lavare i vestiti che indossavo durante l’escursione. Una piccola precauzione igienica, non si sa mai…

Alla barriera la macchina viene fermata e al nostro turno un uomo con un strano aggeggio in mano che pare una specie di aspirapolvere ci fa scendere, ci passa quello strumento sopra i piedi, lo passa nel salone della macchina in particolare sopra i tappetini e nel bagagliaio, controlla che non abbiamo trasportato via niente dalla zona contaminata e, dato che è tutto a posto, ci lascia uscire. Quel marchingegno è un dosimetro come mi dice Vova, serve per misurare il livello di radioattività. Fortunatamente non siamo radioattivi, e in un attimo siamo fuori.

Per tutto il resto della giornata strani pensieri e suggestioni mi lasciano di cattivo umore. Mi dispiace non essere entrato a Pripjat’, ma tutto sommato va bene così. Ancora una volta, per l’ennesima volta, mi sorprende il fatalismo di questa gente che riesce ad accettare con indifferenza anche catastrofi di questa entità.

Credo che in quel posto non ci tornerò mai più.



Gringox
 




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Post del 17/12/12.


Reduce dall'ultima trasferta dell'anno 2012...forse una delle più dure e impegnative di tutti questi anni di vita e lavoro in Ucraina, per la pericolosità delle strade a causa delle grandi nevicate di questi ultimi giorni.



 strada

Un tratto della strada che ho percorso da Ivano-Frankovsk a Kiev. Ci ho messo oltre 14 ore di tempo per percorrere i 600 km che separano le due città.




 slitta_1355738163_215798

...attraversando un paesino coperto di neve...i carretti trainati dai cavalli d'inverno si trasformano in slitte...




 slitta2



 tramonto

Un momento di romanticismo per "pisciare" (a -15°) e per godersi un meraviglioso tramonto invernale.




 orme

...sprofondando nella neve...






Gringox
 




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Post del 23/03/2013.



Benvenuta primavera Kiev!!

23 marzo 2013...ecco il risultato del ciclone balcanico.

Fuori è tutto bloccato, non passa una macchina per la ul. Bubnova, e neanche lo spazzaneve. Sono bloccato al Quartier Generale senza possibilità di uscire, per fortuna ho scorte a sufficenza per trascorrere il weekend tranquillo


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Il davanzale della cucina del Quartier Generale del Gringox d'Ucraina...
 

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Vista sulla ul. Bubnova dalla finestra della cucina del Quartier generale...


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Il cortile del Quartier Generale...





Gringox
 




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Post del 23/03/13.


E' veramente incredibile. La neve continua a cadere, è due giorni che fa bufera di neve con raffiche di vento in stile bora, davvero sembra di essere in alta quota, questo vento è roba da montagna...lo stato d'emergenza è decretato, la gente cammina in mezzo alla strada perchè i marciapiedi sono impraticabili.
Pochissime macchine circolano.

Ecco altri momenti della giornata odierna:


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Il Gringox di ritorno dal supermercato. Nonostante tutto dovevo comprare il latte e ho deciso di sfidare il tempo...


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La Ul. Vassilkovskaja e il sentierino di neve sul marciapiede.


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Un'ambulanza impantanata nella neve, poveretto chi sta là dentro...


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La montagna di neve lungo il cancello del Quartier Generale del Gringox d'Ucraina.


...se si pensa che siam al 23 marzo....

Io in 8 anni di vita in Ucraina una cosa così non l'ho mai vista...


Gringox
 




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Post del 13/12/13.


In tutto questo trambusto ucraino, in mezzo a questa "rivoluzione-teatrino" ieri, domenica 15 dicembre 2013 è avvenuto un significativo momento, intenso nella sua rapidità d'esecuzione, triste come sempre nelle situazioni di addio; penetrante nel suo coinvolgimento emotivo...

La partenza del caro Bando80 da Kiev che abbandona la vita ucraina per tornare nella Patria italica, dove lo aspetta un nuovo lavoro e una nuova attività.

L'ho accompagnato in aeroporto e mentre guidavo pensavo all'anno e mezzo in cui il Bando con la sua spontaneità, col suo entusiasmo, con la sua voglia di vivere intensamente ogni momento di questa esperienza ucraina, ha fatto parte della "base kievliana del Forum" e vissuto con me ed altri gloriosi momenti di vita ucraina.

E così un altro amico se ne va... in questi ormai 9 anni di vita in Ucraina questo è il terzo addio di un forumista, di un amico che cambia vita e che lascia Kiev procurandomi una tristezza interiore ed un certo senso di solitudine. Dopo il caro vecchio Cagliostro (l'ex webmaster del Forum - colui grazie al quale io sono giunto qui nel lontano marzo 2005) che è tornato in Italia; e dopo il carissimo Alan (Alanddd2001 nel forum, che ora da due anni vive in Germania)... è il turno del caro Bando.

E la "base kievliana" di nuovo si riassottiglia: restiamo io, il Fezol e il Pero!!

In bocca al lupo caro Bando!

Un forte abbraccio,

Gringox
 




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Post del 05/02/2014.



Eccomi qui, reporter per un giorno. Dalla prima linea dei Berkut, a 30-40 m. dalle prime barricate dei rivoltosi.


Grazie al permesso ottenuto dal ministero degli Interni entriamo nel territorio gestito dalle forze dell’ordine. Qui nessun civile entra senza l’autorizzazione. Ci portano i responsabili della sicurezza con una macchina coi vetri tutti neri.

Subito mi accorgo di un grande trambusto, vedo mezzi blindati parcheggiati in orizzontale sulla strada a mò di posto di blocco) e soldati ovunque.


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L’atmosfera che si respira è pesante anzitutto per l’odore di affumicato che aleggia tutt’intorno. Sopravvive ancora il retrogusto dei copertoni bruciati dai manifestanti duranti i giorni dei sanguinosi combattimenti la scorsa settimana. Adesso brucia la legna nei falò che ardono dentro dei bidoni di tolla sparsi qua e là per la strada sconnessa (per la neve e per il lastricato divelto dai combattimenti) di ul. Grusheskogo; per terra è scivolosissimo , a tratti, si cammina su delle lastre di ghiaccio appena appena cosparse di segatura sopra. Intorno ai fuochi si scaldano questi ragazzi, nonostante oggi il freddo non sia così pungente come qualche giorno fa. Pesante ancora per l’assordante volume con cui dal “kamaz” posteggiato qui accanto, echeggiano canti patriottici sovietici misti a canzoni popolari ucraine e russe, alternate a qualche pezzo di musica pop russa dei nostri giorni. Questa strategia dell’assordamento funge da contraltare al tentativo dei rivoltosi di far sentire alla militsja le notizie e le immagini che vengono proiettate da un artigianale proiettore verso le fila dei Berkut. E serve ovviamente per “pompare” i soldati e mantenerli con l’animo giusto. Anche questa è una guerra che si combatte da giorni tra le opposte barricate: la guerra della propaganda!


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Più leggera invece è l’atmosfera psicologica tutt’intorno. Almeno in apparenza. Sembra di essere in un’accampamento di soldati delle retrovie, in guerra, ma in un momento di tregua in cui non tuonano i cannoni. Li vedi questi ragazzi giovanissimi che passano il tempo in qualche modo in attesa di ordini. Chi telefona al cellulare, chi fa foto, chi si scalda intorno ai fuochi, chi con l’accetta spacca dei tronchi di legno per fare degli sgabelli, chi gioca a carte. Poi ci sono quelli della prima fila, ritti in piedi con le mani poggiate sui loro scudi metalici, la visiera del casco giù e lo sguardo serio. L’umore in generale è buono. Tutti comunque sono ben bardati, con giubbotti antiproiettile, casco ed alcuni con passamontagna in testa che lascia intravvedere solo gli occhioni grandi per la maggior parte azzurri e vivaci. Si notano le diverse divise di questi uomini del ministero dell’Interno: ci sono i Berkut, le forze d’elite della militsja, omoni giganteschi che paiono ancora più grossi nella loro uniforme zebrata di colori blu e grigio, e ci sono le forze speciali (V.V. – vnutrennye voiska) che hanno invece la divisa tutta nera e il casco nero.


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Al di là della prima linea, a 30 m., ecco le barricate, i resti delle marshrutke incendiate e rovesciate, le mura di copertoni e la prima linea avversaria. Là tante bandiere ucraine che sventolano, ne ho contata solo una europea, le altre sono soprattutte quelle rosso-nere dell’esercito di liberazione di Bandere. Si vedono le sentinelle coi binocoli, che scrutano i movimenti della militsja e sono pronti nel caso ad avvisare la retroguardia. A quel punto mi spavento, ho la sensazione di essere visto, credo che per un pò di tempo sarà meglio non mettere piede dall’altra parte del centro, non si sa mai che mi arrivi una bastonata in testa...
Tutt’intorno la devastazione. Cartelli pubblicitari divelti, a fianco un palazzo tutto nero porta i segni dell’incendio; vedo anche una scritta ristorante pure incendiata.


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Ad un certo punto facciamo la conoscenza con un capitano delle forze del ministero dell’interno. Un’ottimo inglese e una sveltezza e una preparazione nel dare risposte che mi sorprende. Risponde come probabilmente avrebbe risposto un qualsiasi poliziotto in servizio in un qualsiasi stato del mondo. Con diplomazia, con pacatezza, ma questo capitano è particolarmente simpatico. Ha l’aria di essere una buona persona. Ci racconta gli attimi della guerriglia, la sua versione (che è quella ovviamente della militsja in generale) di colui che è stato aggredito e ha dovuto reagire, la sua speranza che tutto finisca presto e pacificamente, il suo totale disinteresse per la politica o per un qualche partito o personaggio, la ferma condanna del radicalismo di una certa parte dei manifestanti. Si dice invece assolutamente favorevole alla manifestazione pacifica del dissenso. Ma conclude con il tributo alla deontologia professionale: “io sono qui a tutelare l’ordine pubblico, non in nome di un partito o di un presidente, ma della legge; se arriva l’ordine di agire, lo eseguo”.


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Usciamo dal posto di blocco, rientriamo nella “normalità” cittadina – una città che sembra non accorgersi di questo conflitto nel suo cuore.

Mi porto dietro per tutto il resto della giornata quell’odore di affumicato che ha impregnato i miei vestiti durante l’escursione tra i Berkut, e con l’odore resta anche l’eccitazione e il ricordo di quel momento vissuto dalla parte di qua delle barricate. Dall’altra parte ormai è banale, è pieno di “turisti” che vanno e vengono, di qua invece non è dato a tutti entrarci.

 
Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 24/07/2014.



Colgo l'occasione, prima della mia partenza per le vacanze estive italiane, di accontentare un pò il caro Soviet-Fly e chiunque fosse interessato...

Si tratta di foto scattate come spesso ho fatto in passato, durante le mie trasferte in giro per l'Ucraina. Queste in particolare si riferiscono agli ultimi miei viaggi.

1. Transcarpazia. Queste immagini si riferiscono al villaggio di Apsa de Jos, un piccolo paese nella Transcarpazia, al cinfine con la Romania, nel comune di Tjachev, abitato praticamente da rumeni. Non da zingari rom, ma da romeni d'Ucraina.
Le case - o meglio dire le reggie - che questi romeni si costruiscono, sono assai strane, come strani sono loro.

In sostanza sono case che loro non finiscono mai di costruire, sembra appositamente, non so bene il motivo; loro vivono solo in una stanza o in poche stanze finite al piano terreno, mentre il resto della casa resta vuota.

Questa gente praticamente non la vedi in giro. Dicono che si siano arricchiti dopo il crollo dell'Urss col traffico delle noccioline; altri grazie al contrabbando lungo il confine romeno-ucraino, o ungherese-ucraino; altri grazie alla lavorazione dei vestiti da sposa (altro business di queste aree).

Curioso è lo stile di queste regge.

Il paese è un paese fantasma, ogni volta che ci passo in macchina (e più o meno lo faccio 2-3 volte all'anno), provo un senso di inquietudine, roba da film horror...

Quest'anno mi sono deciso di fotografare queste case, che comunque a memoria, è da anni che le vedo sempre in quelle condizioni di "lavori in corso", anche se i lavori pare non procedano.


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2. Sumy.


Questo è il centro di Sumy, a nord-est di Kiev verso il confine con la Russia. La città è una tra le più brutte dell'Ucraina, ma il centro è carino.

Questa città è famosa in Ucraina per la fabbrica Frunze, che produce tubature, che si trova nel centro della città e dà lavoro a diverse migliaia di Sumchany. E' praticamente una cittadella fortificata dentro la città... ma è una fabbrica (foto della fabbrica non ne ho).


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Sopra la piazza "soviet" con al centro il palazzo del governo della regione.


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Questo sopra è il Tsum di Sumy.



Sotto le immagini della "shashlikata" nella dacia di un mio cliente di Sumy. Qui manca tutto, energia elettrica, canalizzazione, infrastrutture varie, il bagnetto è fuori, dal pozzo tiri fuori l'acqua da bere... ma sei totalmente immerso nella natura!

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3. Rovno. Nella dicoteca "Octant", un postaccio a fianco dell'hotel Turist... mentre sorseggiavo la mia vodkina al bancone, ha meritato la mia attenzione questa simpatica proposta di altrettanto simpatici ed attualissimi coktail


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I coktail "Slava Ukrainy" da 30 grn e quello "Morte ai nemici" da 55 grn.



4. Carpazi.  Qui sono a Salvskoe in un posto dove ero già stato anni fa. Approfittando dell'estate e di un pò di tempo libero dopo gli appuntamenti coi clienti a Lvov, mi son fatto un giretto in montagna...


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La vecchia seggioviettina che traballa di brutto e arranca, ma ti porta fino in cima...


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...e in cima un bel rifugetto stile alpino, in legno e con una bella panoramica.


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Ciao a tutti,


Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 29/03/2015.


gringox ha scritto: [Visualizza Messaggio]
Domenica 20 Marzo 2005 si decolla...

L'amico Giuseppe (Mr. G.), insieme alla fedelissima gringax mi accompagnano a Malpensa e mi sostengono moralmente e fisicamente (dato il pesante ed ingombrante bagaglio che mi e' addirittura costato circa 300 euro di sovrappeso! - come ben descritto dal Giusy nel post "Passaggio importante"). Gli ultimi sguardi prima del controllo passaporti e poi via; in perfetto orario decollo alla volta di Budapest e poi Kiev.
All'arrivo a Borispol' (aeroporto di Kiev) mi aspetta il mio nuovo collega Oleg con sua moglie e l'Ucraina mi accoglie col suo residuo d'inverno: gelo, vento forte e neve... appena qualche ora prima Milano mi salutava con i suoi 15 gradi di prima mattina...e siamo al 20 Marzo!!!

Fortunatamente niente problemi di sdoganamento, niente storiacce coi bagagli...tutto andato liscio dal punto di vista burocratico.

Dopo un'oretta circa eccomi nel mio nuovo temporaneo appartamento. Una casetta tutta nuova, in stile italiano, che si trova proprio nel territorio degli uffici e comodissima quindi per il mio inserimento "immediato" nello spirito della mia nuova attivita' qui in Ucraina!

La prima sera la trascorro col mio amico webboss, Stefano e col mio nuovo boss italiano, Marco a casa di quest'ultimo con un perfetto "benvenuto" in stile locale a suon di "Perzovka"...il risultato finale ve l'ha poi raccontato il webboss...macchina sequestrata per guida sotto l'effetto dell'alcohol, hehehehe.

Ehh gia' amici, qui non si scherza propio. Ti beccano praticamente sempre.
Addirittura mi e' capitato mercoledi' di andare fuori coi ragazzi qui al ristorante e poi in un klub fico di Kiev e di darci dentro ben benino con l'amichetta spensierata vodka e poi, all'uscita, l'amico che doveva stare al volante, consapevole del pericolo, ha chiesto ad un taxista di portarci a casa con la macchina del mio amico, gli ha dato le chiavi e il taxista ci ha portato tutti a casa. Poi ha chiamato il "suo" taxi e si e' fatto venire a prendere...roba da russi!!

gringox




Dieci anni fa il mio arrivo a Kiev.


Che emozione rileggere queste righe che risalgono a 10 anni fa.

Ricordo che quando sbarcai a Kiev, quella domenica 20 marzo 2005, nevicava fitto fitto e faceva freddo; e mi fece così effetto provare subito sulla pelle quel clima così diverso dall'Italia che avevo da poco lasciato, tanto che tuttora, ripensando a quel momento, ricordo quei brividi di freddo come se fosse ieri... oggi, a distanza di anni, abituato come sono al ciclo delle stagioni qui, il clima è forse l’ultimo dei miei pensieri… anche se devo ammettere che negli ultimi anni esso non è più così rigido nel suo schematismo stagionale come allora.

Di quel giorno mi è rimasto il biglietto aereo Milano Malpensa-Budapest-Kiev di sola andata (allora non si volava ancora direttamente con l’Italia, e men che meno esisteva la Wizz Air; solo qualche anno dopo avrei avuto l’emozione, per una pura coincidenza di date, di capitare sul primo volo diretto Alitalia Kiev-Milano Malpensa – volo che tempo dopo venne cancellato; e solo anni dopo invece è apparso il “law cost” Wizz Air); ed un Corriere della sera ormai un po’ ingiallito, che conservo come una reliquia, con una prima pagina dedicata al “solito” Berlusconi che allora era ancora in piena forma.

Lungi dagli sconvolgimenti politico-sociali di questo ultimo anno e mezzo che hanno purtroppo trasformato questa città – Kiev – e questo Paese in un relitto in preda alla bufera ed alla deriva, il mio ricordo va alle sensazioni di allora, di quei primissimi giorni kievliani, alla “pelle” , al “tatto”, agli occhi di quel Gringox che iniziava la sua nuova vita e sembrava un bambino curioso che aveva ottenuto il suo agognato “giochino” e stava iniziando a toccarlo.

Se ripenso a quei primi passi, a quella spaesatezza per la novità che da un lato mi preoccupava, ma che dall'altro rappresentava l'accettazione entusiastica della mia sfida russofila, della concretizzazione del mio sogno russofilo, che finalmente diventava realtà, non posso far altro che commuovermi sinceramente.

Quanta acqua sotto i ponti è passata in questi anni... quanti legami umani in quel preciso momento di passaggio sono cambiati, quanti se ne sono creati; altri si sono rotti. E penso anzitutto a ciò che lasciavo in Italia allora, ai miei genitori che fino all’ultimo ancora non realizzavano cosa potesse significare non avermi più vicino; alla Gringax (la cui storia sarà destinata a finire, tramutandosi però nel corso del tempo in una profonda e fraterna amicizia); agli amici della mia compagnia che improvvisamente non avrei più visto come al solito nei finesettimana. Penso al primo “webboss” (il webmaster) del nostro Forum russia-italia, che avevamo da poco creato; dopo mesi di corrispondenza virtuale, iniziata già nel Vecchio Contenitore, finalmente conoscevo di persona colui che ha di fatto reso possibile la realizzazione del mio sogno russofilo (e qui si ritrova il motivo originario della mia eterna riconoscenza verso il Forum e del mio affetto profondo verso di esso); egli è stato per me un “maestro” di vita e un buon amico nei primissimi tempi di vita kievliana. Successivamente, anni dopo, il suo definitivo rientro in Italia ha provocato la fine della nostra frequentazione. Penso ai colleghi ucraini del nuovo lavoro, alle primissime conoscenze nate qui in terra ucraina con gente locale e con altri Italiani, ai clienti delle varie città ucraine che poco alla volta iniziavo a girare per lavoro. Fino poi ad arrivare alla “Pesciolina”, che diversi anni dopo avrei conosciuto in uno dei “klub” che frequentavo, e che doveva essere una nuova “preda” come tante altre, ma che – ironia della sorte per uno come me che credeva di fare il “farfallone” in eterno – sarebbe invece poi diventata la donna della mia vita…
Il fattore umano è sempre stato centrale nella mia esistenza e, sin da subito, anche la mia nuova vita a Kiev cominciava a ruotare intorno ad esso, arricchito qui da un aspetto curioso, tipicamente russo, di spontaneità e improvvisazione delle relazioni umane: ed ecco che, sin dalle prime uscite solitarie a zonzo dei primi giorni “esplorativi”, capitava di socializzare in modo estemporaneo e casuale, così “naturalmente”, intorno ad una vodka, e di trascorrere incredibili serate con perfetti sconosciuti, con un coinvolgimento tale che in breve pareva di trovarsi insieme ad amici di una vita. Ed io ricordo quanto “godevo” di questo approccio umano che mi faceva stare bene dentro. Ed in alcuni casi da questi incontri, nel corso del tempo, sono venute davvero delle buone conoscenze…

Ricordo i primi passi nel mio nuovo lavoro, nell’ufficio con i nuovi colleghi ucraini, che ora, a distanza di anni sento ormai come fratelli, parte di una grande famiglia. Subito mi colpì la totale diversità dell’impostazione lavorativa, più “primitiva” se vogliamo nell’aspetto gestionale, ma decisamente più a misura d’uomo, non rigida, lontana anni luce dalla freddezza che respiravo nell’ufficio milanese del mio precedente posto di lavoro. Oggi questo ambiente è ormai diventato una parte così integrante della mia vita che farei fatica a staccarmene…

E poi quel Quartier Generale del Gringox d’Ucraina, che doveva essere “nido” temporaneo, in attesa di una soluzione abitativa diversa per me, è diventata invece la dimora sicura e confortevole nella quale oggi, dopo 10 anni, tuttora vivo. Prima solo soletto, e questo posto mi pareva una reggia; da qualche anno insieme alla mia famiglia che si sta ingrandendo poco alla volta, rendendo l’ambiente un po’ strettino e un po’ scomodo. Ma nonostante tutto, sinceramente, ancora non riesco a pensare di dover abbandonarlo…
Ahh, se le mura del Quartier Generale potessero parlare… quanti racconti, quanti aneddoti rivelerebbero… e molti forumisti sanno di cosa parlo perché hanno avuto in questi anni la fortuna di essere ospitati e di poter vivere le emozioni che in esso si sono sempre create.

Ricordo le prime emozioni legate alla quotidianità, prima tra tutte quella della comunicazione in russo. Di colpo abbandonare la propria lingua madre natia ed impostare la vita utilizzando l’amato e sempre percepito come proprio russo. Con la specificità – tipica di questo Paese – dell’aggiunta della lingua ucraina che, a quel tempo, mi risultava così strana, così curiosa… ed in un certo senso mi attirava, tanto che poi, qualche tempo dopo, avrei preso anche delle lezioni di ucraino perché mi sembrava giusto avere comunque delle basi di comprensione. Mai avrei immaginato che oggi, passato tanto tempo, l’ucraino mi sarebbe entrato in testa così inconsciamente, tanto che posso tranquillamente dire di capirlo bene e di parlarlo un po’.
Ricordo come “godevo” ad ascoltare la radio in russo, e subito mi affezionai a “russkoe radio”, che trasmetteva (e trasmette tuttora) solo musica russa… Tuttora in macchina ascolto praticamente sempre “russkoe radio”.

Oggi tutto è così talmente normale, automatico e “ovvio”, che ho la sensazione di non essere neppure più uno straniero, ma un “locale” che ha una qualche origine italiana e che per questo possiede la perfetta conoscenza della “seconda” lingua (l’italiano).

Ricordo le prime difficoltà organizzative: la stranezza di abituarsi ad avere a che fare con gli “obmenniki” (i cambi valuta) e ad impratichirsi col cambio euro/grivna, l’affrontare i prezzi in grivne, la “conoscenza” con i supermercati, con una disposizione degli scaffali e un assortimento di prodotti così diversi da quelli a cui io ero abituato in Italia. Mi ricordo come mi colpiva il reparto delle vodke, per ampiezza pari a quello dei vini nei supermercati italiani, con bottiglie di tantissime marche e di diversa dimensione… ed io mi soffermavo a guardarlo e dentro di me sorridevo…
Mi ricordo, a questo proposito, l’avidità di voler curiosare e provare tutte quelle novità alimentari, che già conoscevo in parte, ma che provocavano in me euforia al pensiero che ora avrei avuto tutto il tempo per assaggiare ciò che volevo (latticini, succhi, “pescetti”, vodke, birre, gastronomia varia, “salaty”, ecc…), invogliato anche dai prezzi che mi parevano così incredibili (e di fatto erano davvero bassi rispetto a ciò a cui ero abituato a Milano). Mi ricordo la “pivo” Obolon’ premium – quella con l’etichetta oro – la birra che doveva essere sempre presente nel mio frigorifero di casa…

E poi le difficoltà logistiche: prendere dimestichezza con il muoversi in città, i gettoni di plastica blu del metro, le marshrutke gialle, arrugginite e cigolanti, che sprizzavano a forte velocità talvolta non fermadosi agli “stop” o che sgattaiolavano sopra i marciapiedi per aggirare le code di macchine ferme al semaforo. Nella totale indifferenza della gente. Mi divertiva quel sistema così inusuale per me di pagamento del pedaggio facendo passare il denaro di mano in mano tra i passeggeri finchè non arrivava al conducente che, nel caso ce ne fosse stato bisogno, faceva ritornare nella direzione inversa il resto, e poi ripartiva. E ricordo la timidezza delle primissime volte in marshrutka nell’avvisare il conducente, praticamente urlando,  della mia intenzione di scendere:  “na ostanovke pozhalujsta!”…  ma tutti facevano così e presto mi sarei abituato anch’io.
Per tanti mesi ho girato in marshrutka e metro, e mi è servito davvero tanto per conoscere la città; la macchina mi è arrivata solo parecchio tempo dopo. A distanza di anni, ora, la metro la uso ancora qualche volta, soprattutto quando devo uscire sapendo di trascorrere una serata “alcolica”; sulle marshrutke invece praticamente non salgo più da anni.

E che effetto che mi fecero da subito quei marciapiedi dissestati, pieni di buche, in cui tante volte ho inciampato… per non parlare delle strade, disseminate di voragini, dove zigzagavano vecchie Zhiguli “scarcassate” con le targhe ancora sovietiche (quelle col fondo nero e il numero bianco in rielievo) e sfrecciavano mastodontici Hammer coi vetri neri, macchine che prima d’allora non avevo mai visto in Italia; subito in quei primi giorni mi rendevo conto dello stridente contrasto sociale e dei forti paradossi di questa società. Oggi di Zhiguli se ne vedono ancora, ma sempre meno; pure gli Hammer sono scomparsi perché fuori moda e troppo dispendiosi, lasciando però il posto ad altri macchinoni, ai nuovi modelli di Bmw, Mercedes, Lexus, ecc.

Beh, in generale, non che fossi totalmente nuovo al mondo post-sovietico, anzi… (avevo 30 anni allora, e alle spalle già diverse esperienze russofile; avevo già vissuto per diverso tempo in Estonia a metà degli anni ‘90, e a Mosca nella fine degli anni ‘90, e avevo già viaggiato per anni attraverso i paesi delle Russie e dell’Asia Centrale); conoscevo dunque questa realtà – perché in fondo, con le dovute differenze di sviluppo, di etnicità, di dimensioni, non c’erano abissi di diversità nei meccanismi cittadini tra una Dushanbè e una Kishinev, ad esempio, o tra una Tbilisi, una Kiev, una Gomel’, una Juzhno-Sahalinsk, una Ashgabad – e dunque sapevo a cosa andavo incontro, e sapevo di “amare” questo mondo – in fondo questa è la mia russofilia, il mio “godere” di una quotidianità bizzarra e apparentemente “sregolata” come quella che esiste qui; non ero insomma un novellino, ma mi rendevo conto sin dai primi giorni a Kiev che questa volta si trattava di una svolta definitiva o, se non altro, di un cambiamento di vita non certo di breve termine.
A dir la verità, sin dall’inizio, non ho mai percepito questo aspetto della durata della mia permanenza: venivo in Ucraina per restarci. In cuor mio era quello che volevo; non fare un’esperienza, ma cambiare la mia vita in senso russofilo. O ritrovare me stesso. Non ho mai pensato a “fare soldi”, né a fare una carriera, tanto per fare un esempio; non ho mai avuto l’idea di venire qui come “expat” per un periodo e poi andarmene; non mi sono trasferito inseguendo il sogno di un amore per unirmi ad una donna amata; non voglio per carità esprimere dei giudizi su chi lascia il Paese natio per i motivi appena indicati, ma per me era diverso. Forse in un’altra, precedente vita ero nato qui e in qualche modo tornavo alle origini; Già da quei primi momenti mi sentivo “a casa”, non ero uno straniero…

Ricordo le mie prime frequentazioni di locali. Cercavo in zona, per non allontanarmi troppo dal Quartier Generale e perché sapevo che qui, abbastanza lontano dal centro, avrei trovato la situazione adatta a me, “soviet” nello stile e nell’atmosfera, come piaceva a me… Una delle prime sere trovai un posticino fantastico che finì per diventare il punto di riferimento delle mie cene solitarie durante le prime settimane kievliane: il “kafè” Natali, un “podvalchik” fetido in ul. Vasilokovskaja, vicinissimo a casa, coi divanetti in pelle rossa e l’odore di stantio che regnava fisso per il mal funzionamento dell’impianto di ventilazione; qui mangiavo quasi sempre una ciotola di borsh o una saljanka, e una “otbivnaja” con patate che navigavano nell’olio; e quando uscivo mi restava addosso sui vestiti il puzzo della cena… Ma mi piaceva, ahh, se mi piaceva… Adesso che ci ripenso, mi pare di sentire ancora l’odore… Oggi il “kafè” Natali non lavora più, chiuso ormai da anni…

Ricordo i “klub” che da subito ho iniziato a frequentare, lontano dalla “movida” del centro, come sempre calamita per turisti, “expat” stranieri o figli degli oligarchi; io cercavo l’autenticità russa, quella che conoscevo e che amavo, nella sostanza, nello stile, nel design; volevo ascoltare la musica russa, “popsa”, “shanson”, “retro”, andava bene tutto, possibilmente anche dal vivo… e volevo essere circondato da gente di quartiere, da studenti di “obshezhitje” (il quartiere dove vivo è noto per essere un quartiere universitario)… Capitai così al Saturn, situato nel parco Golosejvskij, quello che in breve diventò il mio “klub sotto casa”, il mio locale preferito, una sorta di taverna dal sapore caucasico coi tavolini in legno, il palco dove si esibivano le “tsiganki” del gruppo di Petja “Chernij”, tutte coloratissime; ricordo la voce della cantante “cicciona” che perforava i timpani, ma era bravissima. Tuttora, sebbene invecchiata anche lei, la sua voce è sempre micidiale come una volta! Qui potevo ascoltare musica russa “retro” dal vivo, ballare “belye rozy” e invitare ragazze a qualche “lento” romantico. Qui si mangiava (e si mangia tuttora) un shashlik strepitoso!
Oggi il Saturn non si chiama più Saturn, ha cambiato “faccia” nel corso degli anni, “remont” dopo “remont”, ed è diventato un locale abbastanza d’èlite, ma le “tsiganki” cantano ancora e l’atmosfera tutto sommato è sempre quella di allora, ed io continuo a frequentarlo perché a questo posto sono sinceramente affezionato.

Ricordo i chioschetti, il “Meri” in primis, all’incrocio tra la Vasilkovskaja e la “mia” ul. Bubnova; qui facevo i miei “aperitivini” a base di di vodka che veniva versata in banali bicchierini di plastica, stando in piedi, in mezzo a quella fauna umana variegata dove si mischiavano “bomzh”, alkogoliki o semplicemente gente che prima di rientrare a casa era solita “farsi” un 100 g di vodka, per scaldarsi un po’ dall’ultimo freddo di fine marzo. Il “Meri” tuttora, a distanza di 10 anni, è sempre lì, ma a differenza di allora che lavorava 24h, adesso la notte chiude, forse per imposizione comunale in seguito a risse notturne tra “alkogoliki” che sicuramente saranno successe nel corso di questi anni. Io al “Meri” la vodka non la bevo più, ma di tanto in tanto ogni volta che ci passo accanto, quando la mente è predisposta alla nostalgia, ripenso al gusto di quella vodka sulla cui qualità meglio sorvolare… e dentro di me sorrido.

E che dire di quelle vecchiette che lungo la strada vicino ai supermercati o alle stazioni della metro vendevano (e ci sono tutt’ora) le cipolle, le verze e le carote del loro orto, o i “semechki” o le sigarette al pezzo…

Ricordo gli scoiattoli che vedevo arrampicarsi su quegli enormi e vecchi castani al parco Golosejvskij, il parco di quartiere, a 10 minuti a piedi da casa, quello del Saturn; e mi sembrava così strano vedere che in un parco cittadino (sebbene più che un parco sia un bosco in città) potessero così tranquillamente scorrazzare quelle bestiole, e mi fermavo a lungo ad osservarle… ricordo le mie passeggiate nei finesettimana di quella mia prima primavera kievliana, quando mi divertivo a “spinnazzare” le ragazzine sedute sulle panchine che bevevano una birretta e che “ciacolavano” spensieratamente, e che spesso vedendomi passare e notando il mio aspetto “diverso” si mettevano a ridere e bisbigliavano tra loro; oggi, a distanza di 10 anni, il parco è sempre quello, quello cambiato sono io… adesso ci vado correndo dietro al mio figlio grande che va già per i 5 anni e che ama giocare al pallone o spingendo la carrozzina dove dorme felice l’altro figlio che mi è nato 4 mesi fa… e talvolta mi sembra di rivedere quelle ragazzine di allora, ormai diventate madri, che passeggiano con i loro pargoli…

Tanti, tanti ricordi insomma di quei primi giorni kievliani, di quei momenti e di quelle emozioni che non si ripeteranno più ma che resteranno impresse nella mia mente per sempre.

Insomma sono volati dieci intensi e meravigliosi anni. Un quarto della mia vita l’ho trascorso qui, avevo 30 anni quando sono sbarcato a Kiev e mi ritrovo oggi di colpo quarantenne. Quanto tempo passerò ancora qui non lo so, sarà il destino a deciderlo. E molto dipenderà dall’evolversi della drammatica situazione che sta vivendo l’Ucraina oggi. Ma una cosa posso dire con convinzione di quel momento di passaggio di 10 ani fa e di questi anni trascorsi: non ho nulla da rimpiangere e se dovessi tornare indietro, rifarei convintamente tutto ciò che ho fatto.


Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 30/06/2016.



Ponte della Pentecoste (18-20.06.16).


Quante volte sono passato da qui nelle mie trasferte di lavoro in Zakarpatja (Transcarpazia), provenendo da Ivano-Frankovsk o Chernovcy e dirigendomi verso Mukachevo e Uzhgorod, o viceversa; talvolta, come questa volta, pernottandovi. E quante volte, percorrendo in macchina la strada che costeggia questa strana collinetta di circa 300 m. che sovrasta la cittadina di Hust, con lo sguardo rivolto verso l’alto a cercare di carpire qualcosa di quelle rovine, mi sono detto: “la prossima volta salgo a vederle”... e, puntualmente, ho sempre rimandato... Ma oggi mi sento ispirato, forse grazie ad una serie di coincidenze stimolanti che mi hanno messo l’umore giusto per salire fin quassù e soddisfare dunque questa insistente curiosità: il caldo e la bella giornata dopo la pioggia della notte che ha rinfrescato l’aria, l’ppuntamento col cliente già concluso il giorno prima e il fatto si non averne di nuovi per tutta la giornata che è dedicata al viaggio per arrivare a Ivano-Frankovsk, ed infine il pensiero che oggi è giovedì e ho davanti un week end in montagna sui Carpazi con la famigliola (che mi raggiungerà domattina a Frankovsk in treno) che ha tutte le premesse per essere eccitante e adrenalinico.

Come spesso accade qui in Ucraina ci si ritrova soli in certe situazioni “turistiche”. Il cartello che indica la salita alla fortezza c’è, e c’è anche un ampio parcheggio per lasciare la macchina, ed esso è totalmente libero... Per me questo è il bello di certe visite che assumono un sapore di esplorazione autentica e che ti lasciano addosso una reale soddisfazione. Certo la cosa non va a favore delle casse dello stato la cui economia, a causa della incuranza di quel poco di attrazioni che l’eredità storica gli ha lasciato, perde una sicura fonte di introito, ma tant’è...

Grondante di sudore e con le scarpe tutte vonce di fango, dopo una breve (circa 20-25 minuti) ma faticosissima camminata lungo l’erto sentierino ancora tutto bagnato dopo la pioggia di qualche ora prima, in mezzo ad una intricata boscaglia di vegetazione mista a prevalenza di betulle, malmenandomi senza interruzione con pacche sul corpo per allontanare stormi di voracissime zanzare che, malefiche e feroci, cercano di pungermi, arrivo finalmente in cima alla collinetta e tocco con mano ciò che resta di questa fortezza: le rovine del castello di Hust.

Iniziata la costruzione nel 1090 da parte della monarchia ungherese per difendere la “via del sale” che partiva da Solotvino (il paese non distante da qui dove tuttora ci sono dei laghi di acqua salata ed una zona termale) dalle tribù di origine turca che minacciavano la regione; venne terminato solo nel 1191. Questa terra a quei tempi si chiamava Maramorosh  - e tuttora si chiama così la parte romena confinante con la Zakarpatja – ed era abitata da genti di etnia magiara, rumena e slava. Il castello venne poi distrutto in seguito all’invasione dei mongoli e ricostruito nel 1318. Da allora si sono susseguiti diversi tentativi di occupazione del castello che evidentemente svolgeva un ruolo importante per il controllo della regione. Prima i tatari, alla fine del XVI sec.; poi i turchi nella metà del XVII sec.; ma fallirono tutti in quell’intento. All’inizio del XVIII sec. proprio in questo castello venne proclamata l’indipendenza della Transilvania; che durò poco. Nel 1711 esso fu occupato dagli Austriaci, ma poco alla volta la sua importanza strategica diminuiva a vantaggio delle fortificazioni che venivano erette a Kosice (nell’odierna Slovacchia). Pochi anni dopo, nel 1717, il castello fu raggiunto dall’ultima orda dei tatari di Crimea in ritirata dopo le sconfitte subite nella guerra austro-turca, che cercavano di tornare verso la loro penisola sul Mar nero; ma la fortezza non venne assalita.
Il destino infine volle che il castello perì non per opera dell’uomo bensì a causa della forza della natura... fu infatti un fulmine durante un terribile temporale nell’estate del 1766 a colpire la torre del castello, da dove divampò un incendio che lo distrusse per sempre. Abbandonato, inutilizzato e soggetto alle intemperie dei secoli a venire si è dunque ridotto a quel cumulo di rovine che mi trovo di fronte io oggi...


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Le rovine del castello di Hust.

 
L’atmosfera qui dall’alto è intensa davvero. Non tanto per il paesaggio che si apre agli occhi, che sì è bello, ma nulla di super eccitante; quanto per la realtà selvaggia, il senso di solitudine che ti assale e la mente che ti porta lontano, a quei secoli passati in cui questo posto brulicava di soldati e aveva la sua bella fama come si intende dalla sua storia..., e ti fa riflettere su questa strana area geografica. Non siamo in Scozia, dove è facile incontrare rovine del genere in quelle nebbiose lande, bensì nella particolarissima regione, oggi ucraina, della Zakarpatja (Transcarpazia). Unica “oblast’” ucraina (insieme alla Volinja) che non prende il nome dal capoluogo di regione, bensì mantiene un suo termine specifco, appunto quello di Zakarpatja, cioè “al di là dei Carpazi”. Cosa tra l’altro vera relativamente... “al di là dei Carpazi” lo si può intendere provenendo da Kiev o dalla Russia... ma se si viene da Budapest o da Vienna, beh, sarebbe meglio dire “al di qua dei Carpazi”, oltre i quali si apre l’immensa pianura che porta fino a Mosca...  

E dunque qui, facendomi strada tra le ortiche e gli arbusti alti quasi quanto me, girovago per qualche minuto tra questi resti, buttando l’occhio attraverso le fessure che un tempo dovevano essere le finestre del castelllo, verso l’orizzonte che si estende lontano; verso ovest, poco oltre la città, intravvedo il fiume Tissa che si snoda in quel varco naturale tra le due colline chiamato “porte di Hust” (Hustskie vorota) e che segna il confine con la pianura ungherese; e poi verso est dove si stagliano le sagome dei Carpazi, che in linea d’aria non sembrano poi così vicini. Sotto di me la simpatica cittadina di Hust.


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La cittadina di Hust e il fiume Tissa che si snoda tra le "porte di Hust".


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E mentre ammiro il panorama penso proprio a questa strana ed unica terra. Una terra da sempre di confine, che è stata di tutti e di nessuno: ungheresi, mongoli, romeni, turchi, austriaci, slavi... fino poi a diventare estremità dell’Unione Sovietica ed oggi regione periferica dell’Ucraina. Il centro dell’Europa centro-orientale (nulla di più azzeccato in questo gioco di parole). Ed oggi rusini, ucraini, romeni, ungheresi, russi, slovacchi e polacchi si mischiano qui ed abitano questa regione.

Forse è proprio questa sua essenza di terra di confine che mi attira; questo intreccio di storia, di razze, di guerre e di miscugli di lingue, così diverse tra di loro, suscita il mio interesse. Nessuna regione dell’Ucraina mi coinvolge così emotivamente nella sua unicità come la Zakarpatja. Ed è curioso come le terre di confine, soprattutto quelle “orientali”, hanno da sempre prodotto un fascino magico in me, sin da quando ero piccolo e “tendevo” verso il confine orientale italiano che ci divideva dalla Jugoslavia...

E qui, in quella che popolarmente è oggi nota come la “solnichnaja Zakarpatja” (soleggiata Transcarpazia), per l’esposizione al sole che scalda la vasta pianura e le dolci colline, e che favorisce una florida produzione di vino e di cognac, la sensazione della zona di confine è più forte che mai: curioso e stimolante per me è “viaggiare” in macchina tra Ungheria, Romania, Slovacchia e fino alla Polonia, passando ovviamente da Ucraina e Russia, tutto nell’arco di poche decine di chilometri e sempre restando in territorio ucraino, con un semplice “clic” per cambiare le frequenze radio. Il classico “giochino” che mi diverto a praticare in queste circostanze è quello di mettere alla prova il mio talento verso le lingue... Ed ecco che se qualcosa riesco a carpire dello slovacco e un qualcosina del rumeno, con l’ungherese è davvero impossibile... una lingua assurda e indefinibile che mi irrita e che non riesco ad ascoltare per più di qualche secondo...

Poco più avanti di Hust, verso Tjachev e Solotvino si attraversa una zona in cui ci sono intereferenze di roaming romeno... e spero sempre che non mi chiami nessuno dall’ufficio proprio in questo frnagente altrimenti chissà poi cosa penseranno, che sono finito in Romania...

Per non parlare delle usanze locali che inseriscono questa regione nel fuso orario centroeuropeo (ora ungherese e slovacca), quindi un’ora in meno rispetto a Kiev. Non è ufficiale, ma la gente – soprattutto nelle campagne e nei villaggi – usa tuttora questo punto di riferimento nella vita quotidiana.

Insomma, questa breve ma avvincente escursione mi soddisfa pienamente. Finalmente un altro tassello dei “segreti” del Paese (e di una regione che amo tanto) dove vivo ormai da oltre 11 anni è stato svelato.

Dopo questo tuffo nella storia della Zakarpatja mi rimetto in moto. Mi aspetta la strada verso Ivano-Frankovsk, una delle strade più belle, anzi per me forse la più bella di tutta Ucraina. Per il paesaggio. Man mano che si sale verso le montagne diminuisce la densità di popolazione, la strada a tratti è più stretta e l’asfalto più “devastato”, sono più rari i villaggi e, ad un certo punto si inizia a costeggiare il fiume Tissa che qui funge da confine naturale con la Romania.


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Il cartello che indica la zona di confine, e, al di là del fiume Tissa, la Romania.


Qui una sosta la faccio sempre, bello trovarsi sulla sponda del fiume mentre faccio la pipì, e guardare di là, la parte romena. Una emozione simile nella percezione, benchè totalmente diversa nella geografia, la ricordo in Tajikistan, costeggiando nel Pamir il fiume Pianzh che separa il Tajikistan appunto, dall’Afganistan.


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Immagini dal mio archivio video e fotografico del viaggio in Tajikistan del 1999. Al di là del fiume Pianzh c'è l'Afganistan. Io mi trovo dalla parte di qua, sulla strada a picco sul fiume, che da Khorog (regione del Gorno-Badakhshan - Pamir) conduce verso Dushanbè.


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Certo è imparagonabile l’impressionante scenografia dell’ambiente del Pamir al paesaggio dei Carpazi, ma a loro modo questi posti così diversi, sono meravigliosi entrambi. Allora la gente tajika con la quale viaggiavo, indicandomi la sponda afgana e le mulattiere a picco sul Pianzh, ringraziava Lenin per avergli dato, tra le altre cose, la strada che permetteva loro di muoversi tra quelle impervie montagne, mentre di là – dicevano – gli afgani accompagnati da muli stracarichi di merce impiegavano fino ad un mese per giungere a Kabul... qui un pò la stessa cosa... dalla parte di qua, quella che fu sovietica, la strada, sulle cui condizioni si può discutere, ma pur sempre strada; di là, dalla parte rumena qualche casetta sparpagliata in mezzo al verde dei prati e ai boschi senza ombra di una pur minima forma di infrastruttura.

Questa è la strada in cui si incontra il centro geografico d’Europa, la cui esattezza pare tra l’altro sia opinabile; in qualche altro Paese d’Europa si rivendica questa centralità geografica, in particolare in Lituania, ma tant’è... qui c’è tanto di cippo con l’indicazione; qui c’è il mini-bazar che vende souvenir, c’è una simpatica e tradizionale “kolyba” (ristorante in legno tipico dei Carpazi) e il luogo è meta di qualche tursta che passa da queste parti; non certo però la mia che, ormai conoscendo bene la zona, non è più una novità.


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Il centro geografico d'Europa nei Carpazi (in Transcarpazia).


E proprio lungo questa strada, oltrepassata Rahov e a pochi chilometri dal passo Jablunitskij che separa la Transcarpazia dalla regione di Ivano-Frankovsk, nel villaggio di Kvasy, sulla sponda del fiume Tissa, si trova questo ristorantino-microbirrifico dal nome curiosissimo: “Gagarin ta Bokorash” (“Gagarin e bokorash”). Inutile dire che qui invece la sosta è d’obbligo. Non nascondo che mi sono preparato anticipatamente (anche un “orso” pachidermico e lento nei confronti della tecnologia come me non rinuncia oggigiorno ad utilizzare strumenti comodi al viaggiatore come l’utilissimo “tripadvisor” – sul quale poi lascerò una degna recensione), altrimenti di sicuro mi sarebbe sfuggito. Infatti, pur trovandosi ai bordi della strada principale, non è ben indicato e, se non si rallenta e non si presta bene attenzione, può passare inosservato.


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Il ristorante micro-birrificio "Gagarin ta bokorash".


La leggenda vuole che Gagarin negli anni ’60 fosse solito venire da questa parti a riposarsi al fresco di questi bochi, di questi prati montani, godendosi la pace di questo paesaggio bucolico e fresco. Proprio qui viene a contatto con il bokorash, una figura antica, il predecessore dell’odierno spedizioniere, colui che trasportava i tronchi degli alberi (che venivano abbattuti nei boschi della zona) su zattere lungo il fiume Tissa, dalle montagne fino a valle.
A questo incontro e a questa conoscenza è dunque dedicato il ristorantino! Tanto che già all’ingresso un dipinto murale rammenta al visitatore questa curiosa storia e al secondo piano una simpatica statua fa sentire la compagnia immaginaria dei due personaggi seduti anche loro intorno a un tavolo per il pranzo.


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Gagarin e bokorash sul fiume...


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Gagarin a tavola con bokorash...


Vera o no che sia questa leggenda (a me viene raccontata dalla dolcissima camerierina che mi serve), di vero e sicuro c’è che la “panza” del buongustaio Gringox viene saziata in modo eccellente.

Un bograch così ricco di gusto, piccante al punto giusto, non l’avevo mai trovato in tutta la Zakarpatja! Un banosh così cremoso con una brinza così profumata non ricordo di averlo mai provato neanche nei locali più tipici della Bukovina (regione di Chernovcy, dove questo è il piatto tipico)!
Ma soprattutto una birra così “viva”, aromatica e originale - pure nel simpatico nome (si chiama "tsipa", cioè "pulcino") - non l’avevo mai trovata da nessuna parte in Ucraina! Con sicurezza posso dire che la birra prodotta in questo micro-birrificio non è inferiore qualitativamente a quelle che oggigiorno sono popolari e di moda in Italia, prodotte da quella miriade di nuovi birrifici artigianali che sorgono come i funghi e che effettivamente però producono birre “serie” di alta qualità per palati fini. E, decisamente, è superiore al resto del panorama birresco ucraino. Questa birra, forse per l’atmosfera in cui la si beve, forse per l’originalità degli aromi, forse perchè accompagna cibi eccezionali e adattissimi a “morire” con essa, davvero non ti lascia indifferente e, una volta degustata, restano il ricordo ed il sapore di aver provato qualcosa di unico. La produzione include 5 tipi, un pò per tutti i gusti... ovviamente li provo tutti... ma il godimento maggiore viene sorseggiando quella “pid smerekoj” e “pid traviv” (alla smereka e alle erbe di montagna).


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Questo è il modo tradizionale per cucinare il bograch, tipica zuppetta di questa regione e anche ungherese.


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Il bograch nel pentolone...


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Il bograch come viene qui servito.


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Il banosh con la brinza.


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La produzione della birra.


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Il menu della birra "tsipa" (pulcino).


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E' arrivato il conto nella zampa di gallina...


Esco più che soddisfatto, pieno, ma senza esagerare. Soddisfatto per questa giornata che, grazie ai due colpi ben sparati della visita al castello di Hust e della “mangiatina” da Gagarin, potrebbe già concludersi qui. Ma davanti a me ho ancora qualche oretta di strada prima di giungere a Ivano-Frankovsk.

In breve raggiungo il passo Jablunitskij, entro nella regione di Ivano-Frankovsk, scendo verso Jaremche ed infine arrivo in serata a valle, in quella che viene chiamata la “Prikarpatja” (ossia la regione “ai piedi dei Carpazi), ai +30° di Ivano-Frankovsk. Quel poco che resta della serata prima di coricarmi non è meritevole di nota.


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Scendendo dal passo Jablunitskij si vede al centro la cima del Goverla, la montagna più alta d'Ucraina (2061 m.).



Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 01/07/2016.


Venerdì pomeriggio.

Finalmente giunge l’agognato week end, un “ponte” di tre giorni, grazie alla festività della Trojca (Pentecoste) che in questo anno 2016 cade domenica 19 giugno e alla consuetudine qui in Ucraina di spostare la festività coincidente con un giorno già di per sè festivo (come la domenica) al primo giorno lavorativo seguente (cioè il lunedì). I commenti su questa prassi si sprecano, ma è innegabile il piacere e la comodità, per i piccoli come per i grandi, di godere in tali occasioni di un giorno di riposo in più da poter dedicare a ciò che più aggrada.

Inizia così una “tre giorni” che già sulla carta pare estremamente avvincente. Obbiettivo massimo: ascensione sul Goverla (la vetta più alta d’Ucraina – 2061 m.); si tratterebbe per me del secondo tentativo dopo il fallimento di qualche anno a causa di un improvviso e forte temporale che mi aveva impedito di concluderla. Spesso accade che la montagna – e chi la conosce, la rispetta e la ama, la sa anche temere – mette l’uomo in condizione di scegliere del proprio destino, ti mette di fronte a un bivio che coinvolge anche l’aspetto psicologico: o chini il capo e rinunci all’obbiettivo – e dunque umilmente accetti e riconosci la sconfitta; oppure, intriso di ostinazione, la sfidi a tuo rischio e pericolo. Certo le variabili dell’esperienza di montagna e della conoscenza del territorio possono influire su questa scelta facendo prevalere o la paura o il senso di sicurezza. E ciò indipendentemente dal fatto di trovarsi sulla roccia o su un sentiero in alta quota. Altre volte invece sei semplicemente costretto o a recedere o a proseguire, perchè non hai altra scelta. Allora, nel mio caso, l’aggravante della non conoscenza del sentiero e il fatto che fossi in compagnia di persone che non se la sentivano di proseguire, oltre al reale tempaccio (nuvole basse che non si vedeva niente e pioggia a di rotto), non mi aveva lasciato alternative.

Obbiettivo minimo: escursioni nel bosco – il cestino l’ho con me, chissà che non si trovi qualche funghetto; mangiatine tipiche (tra cui il ritorno da “Gagarin e bokorash” per far provare anche alla famiglia la birretta alle erbe e le pietanze locali), e soprattutto relax, tanto relax (compreso qualche mitica saunetta rigenerante) al fresco di queste boscose e verdi montagne dei Carpazi che bazzico da anni e alle quali ormai mi sento intimamente legato. Lontano dalla cappa calda, afosa e inquinata di Kiev.

La novità sta che questa volta sono con me i pargoli che ancora non hanno mai visto questi posti. Una nuova esperienza dunque e per loro, e per me insieme a loro. La tradizione invece sta nella scelta del posto: pur avendo visto diverse zone dei Carpazi, ritorno sempre lì, a Vorohta, un villaggetto decentrato rispetto alla “trassa” (strada) principale che attraversa i Carpazi da Ivano-Frankovsk a Mukachevo, e dunque meno frequentato e più autentico. Così pure la sistemazione è per me una consuetudine. Ogni anno, almeno una volta all’anno, mi fermo al “Kermanich” e lì voglio tornare. Il “Kermanich” si trova all’estremità del paese di Vorohta; è una sorta di “sadyba”, cioè un piccolo albergo con kolyba (ristorante tipico nei Carpazi) annessa, composto da diverse casette in legno (“domiki”) – una sorta di bungalow di montagna. Il bello di questo posto sta nella sua posizione lontana dalla civiltà e ai bordi del bosco e del fiume Prut che vi scorre poco sotto; e nella semplicità del suo stile.


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Il paesino di Vorohta.


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Vorohta.


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La chiesetta di Vorohta.


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Il "Kermanich".


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Il fiume Prut, poco sotto al "Kermanich".


Le previsioni danno tempo variabile, ma si sa, in montagna il tempo può cambiare repentinamente e la mia speranza è che non piova in modo da poter realizzare almeno il programma minimo.

Recupero i pargoli e il resto della famigliola alla stazione di Ivano-Frankovsk, distrutti dopo oltre 12 ore di treno da Kiev e li “deposito” in centro a far colazione, mentre io devo sbrigare delle ultime faccende di lavoro, prima di partire per la montagna. Vedo i piccoli già eccitati per l’esperienza vissuta in treno; mai prima d’ora avevano provato l’ebbrezza di un viaggio così lungo su un treno ucraino/russo: un kupè tutto per loro, le cuccette, i rumori, gli sballottamenti, i butterbrod e il thè portato dalla “provodnitsa”, i compagni di viaggio, ecc... insomma la classica situazione da treno che anche a me fa godere parecchio e di cui altre volte ho raccontato. Un pò meno pimpanti e decisamente meno riposati gli altri componenti della combricola (mogliettina, cognatina e soprattutto il fidanzato di lei che pure per la prima volta ha viaggiato per una notte intera su un treno e – mi dice – non ha chiuso occhio. Lui è uno studente curdo ed in effetti immagino che non sia abituato a certe situazioni!).

Ma il buon umore in ogni caso è percepibile in tutti loro ed in particolare l’agitazione è reale nel Paolino e nel Giorgetto perchè anche per loro, anzi, soprattutto per i piccoli, le aspettative per questo week end sono grandi. Ed io voglio dare loro più emozioni possibili, anche attraverso l’esperienza di situazioni difficile e faticose, chiaramente non esagerate, perchè più loro vivono questo tipo di emozioni più loro le assorbono, e poco alla volta si abituano ad un certo modo di approcciarsi e intendere il viaggio. È commovente vedere il luccichio della curiosità negli occhi dei bambini, in particolare di quello di un anno e mezzo, che nulla apparentemente capisce e distingue di ciò che vede, ma che sono convinto immagazzina le impressioni che, depositandosi ed accumulandosi in qualche angolo recondito del cervello, produrranno chissà una sorta di bagaglio che, nel futuro magari, contribuirà alla formazione del carattere.

Purtroppo il “Kermanich” è pieno. Si aspetta a breve l’arrivo di un “detskij tabor” (una sorta di colonia estiva) di oltre 50 ragazzini che occuperanno ovviamente tutti i “domiki” del complesso. In effetti non è un ponte solo per me, e siamo, tra l'altro, già in periodo di vacanze (le scuole sono chiuse)... potevo calcolarlo, ma mi sono fidato delle mie esperienze passate nelle quali avevo sempre trovato posto.
Non è comunque un problema. Attraversando i paesi nei Carpazi, lungo la strada, si incontrano spesso diverse case in cui vengono esposti sui recinti cartelli con la scritta “je vilni mistsja” ("ci sono posti liberi") e il numero di telefono. Ci mettiamo dunque poco a trovare un’altra sistemazione. Addirittura migliore: più isolata, più “grezza”, più verso il bosco e dunque ancora più autentica. E, tra l’altro, a poche decine di metri oltre il “Kermanich”, importante punto di riferimento per le mie saune serali che intendo fare durante questa vacanzina.

La casetta che affittano Nadja e Serezha è spartana ma ha tutto l’essenziale per poter trascorrere qualche giorno: gas, elettricità, acqua calda. Piacevole respirare l’odore d’abete che riempie le due piccole stanzette, una sotto e una sopra, della casetta. Se si escludono alcuni accessori, tutto all’interno è rigorosamente in legno. Mi sento subito a mio agio e non sono il solo... noto che tutta la combricola è entusiasta della scelta.


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La nostra casetta.


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Il secondo piano della casetta.


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La casetta di Nadja e Serghej.


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Il loro podere.


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Poco distante dalla casetta: Gringox, Giorgetto sulle spalle e Paolino.


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Nadja, la padrona, è gentilissima. Ci racconta che sono diversi anni che vive qui, da quando si è sposata con Serghej, che invece è “mestnij” (locale). Lei è originaria di Chernigov, città lontana 800 km da qui, al confine con Bielorussia e Russia, e, comunicando con lei, mi accorgo subito che la sua lingua nativa è il russo. È lei che in genere tratta coi clienti. Ci dà tutte le indicazioni del caso e ci dice che se volessimo, lei può preparare la cena e la colazione ad un costo davvero simbolico (cena a 60 grn/persona – 2 Eur a cranio). Ovviamente non c’è un menù, si mangia quello che lei prepara per la sua famiglia... Meglio di così – penso – non poteva andare! Per stasera ci sarebbe “jushka s gribami” (zuppa coi funghi porcini) di primo e cotoletta di pollo con patatine novelle di secondo. Andata! E le diamo subito l’ok per la cena.

Serghej è un buon uomo, di poche parole ma sempre sorridente, un montanaro vero. Sgobba dalla mattina alla sera dietro alla costruzione della zona barbecue che sta realizzando poco distante dalla loro casetta, e non si occupa dei rapporti coi turisti. Credo di aver scambiato con lui sì e no due parole e nulla più durante questa permanenza da loro. Hano due figlioletti, un bambino e una bambina, che vivono in stile “Heidi”, tra galline, corse nei prati e giri nel bosco a cercare funghi e bacche. E, come è naturale, sin da subito fanno subito amicizia coi miei bambini.


Sabato.

Per giungere al campo base dove finisce la carrozzabile occorrerebbe una Uaz... talmente è complicata la strada sterrata che si snoda in mezzo al bosco tra buche, sassoni che sfiorano la marmitta e canaletti. Ci metto quasi un’ora per percorrere una manciata di chilometri ad una velocità di 10 km/h. Siamo già all'interno del parco naturale dei Carpazi.


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La strada che conduce al parco naturale dei Carpazi. Questa è ancora decente... sullo sfondo, il Goverla.


Finalmente iniziamo la nostra ascensione, come da obbiettivo massimo. Movimento di turisti ce n’è, soprattutto gruppi di ragazzi dei “lagher” (le colonie estive) che trascorrono l’estate nella natura di queste montagne. Per la maggior parte, a giudicare dalla parlata, è gente dell’ovest Ucraina. Stranieri non ne incontro.

Tutti siamo ben predisposti e di buon umore, e il tempo per fortuna è dalla nostra parte. Zaini in spalla, compreso il Giorgetto sulle mie di spalle. Che già sente che si divertirà e ubriaco di emozione pian piano si addormenterà placidamente.

Già il primo pezzo, quello dentro al bosco di abeti è ripidissimo e il sentiero non è ben segnalato; si cammina a zig zag tra le radici sporgenti degli alberi costeggiando un ruscello dall’acqua limpida.


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Qualcuno sta preparando il pranzo nel bosco...


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La prima parte della salita in mezzo al bosco.


In circa 40 minuti giungiamo alla fine del bosco proprio in quella radura dove tre anni fa mi aveva colto la tempesta costringendomi a ridiscendere velocemente...
Da questo momento la vegetazione si fa più rada, il muschio, i pini mughi e l’erba si sostituiscono agli abeti, e il sentiero diventa evidente. Non ci si può sbagliare, sembra di camminare su un letto di un torrente secco, tra i sassi che segnano il percorso; la ripidità aumenta e diminuisce il passo, e poco alla volta si prende quota. Già si vede, superba, la gobba della cima, o meglio di quella che io pensavo fosse la cima e che invece ahimè si rivelerà poi essere solo l’apice del “piccolo Goverla”.


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La cima piccola e, dietro, la vetta del Goverla.


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Lungo il sentiero...


Di tanto in tanto mi soffermo e mi guardo intorno... Se dietro a questi panettoni boscosi vedessi stagliarsi un “Sella”, un “Sassongher”, un “Cristallo”, o le “Tofane”, penserei di essere sulle “mie” Dolomiti; e in effetti provo ad immaginarmelo questo paesaggio meraviglioso con le Dolomiti dietro e davvero trovo qualche affinità. Forse però maggiore somiglianza queste dolci montagne ce l’hanno con l’Altaj, decisamente diverse invece dal Caucaso...


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Panorama dal Goverla.


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Il panorama chilometrico dalle pendici del Goverla.


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Panorama dalle pendici del Goverla.


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Scorcio della Val Badia sulle Dolomiti.


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Il "Sassolungo" (Dolomiti).


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La vista da un versante del "Sella" (Dolomiti) a valle.


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Il "Sella" visto da Corvara.


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Immagini dal mio archivio fotografico del viaggio sull'Altaj  kazako e cinese del 2002. Qui l'Altaj sul versante kazako.


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E qui l'Altaj sul versante cinese.


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Il Kazbeghi avvolto nelle nuvole, nel Caucaso, fotografato da me durante un viaggio in Georgia nel 2013.


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Il paesaggio del Caucaso.


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La particolarità dei Carpazi, visti dall’alto, sta nella visione di panorami chilometrici; nulla ostruisce l’occhio, nè segni di civiltà, nè gli enormi blocchi di pietra che costituiscono le “vere” montagne, nè le vette innevate; occhio che può guardare lontano e seguire le gobbe di queste montagne boscose che incontrano il cielo. E lo spazio che si apre davanti è immenso. Si vedono anche diverse chiazze bianche, piccoli nevai, residui d’inverno che per la posizione meno esposta al sole resistono al caldo estivo.

Proprio per questo il panorama da qui è a suo modo impagabile. O meglio, un prezzo ce l’ha ed è la fatica ed il sudore che provo sulla pelle salendo verso l’alto superando un discreto dislivello e camminando su questo ripido sentiero.

E così giungiamo ai piedi del “piccolo Goverla”, la prima delle due cime del Goverla; manca – ci dicono – ancora un’oretta o forse più di cammino. Improvvisamente piombo nello sconforto! Inizio ad avere la sensazione che qualcosa anche stavolta andrà storto... Questa notizia ha infatti  un impatto negativo su tutti, in particolare su qualcuno del nostro gruppo che già non ce la fa più; qualcuno che poco prima era partito pimpante e zompettava agile tra le radici sporgenti degli abeti e che ora mugugna e alterna un passo lento ad una seduta per riprendere fiato... è Paolino che, esausto, convince tutti, me compreso a malincuore, a invertire la rotta e ridiscendere verso la base. Con dispiacere butto gli occhi sulla cima di questo “panettone” che ancora una volta mi vince e mi fermo a guardarlo per diversi secondi, ma – penso – a questo punto la sfida è aperta, e mi riprometto di tornare una prossima volta per sottometterlo! Iniziamo così la discesa. E’ a questo punto che l’altro pargolo, che dormiva da mò, beato e comodo nello zaino sulle spalle del “papetto”, si sveglia ed inizia a guardarsi intorno esclamando qualcosa che assomiglia a dei gemiti di gioia forse per l’emozione del paesaggio che i suoi occhietti vedono intorno, chissà...

Poco dopo arriviamo alla macchina e torniamo alla base. È già sera.


Domenica.

Il giorno successivo, la domenica, lo dedichiamo alla “mangiatina” al “Gagarin ta bokorash”, come da programma. Inutile descrivere la soddisfazione di tutti, compresi i bambini che apprezzano anche un goccino di quella magnifica birretta.

Prima di rientrare alla base facciamo una deviazione a Bukovel’, la nota meta del turismo invernale ucraino. È tanto che non metto piede in questo paesotto; so che è di moda, si sta da anni costruendo molto: nuovi hotel, nuovi impianti di risalita, nuovi ristoranti; la gioventù più “in” d’Ucraina ama trascorrere qui le “settimane bianche” e dar mostra di sè, qui si incontrano macchinoni e gente “tirata”, altro che amanti veri della montagna... No, non fa per me. Certo la posizione è bella, in una conca circondata da montagne boscose, ma a mio parere sono riusciti a rovinarla col cemento e con le costruzioni selvagge. Una cosa bella, a dire il vero, l’hanno fatta: un laghetto artificiale scenografico con acqua trasparente dove sguazzano una miriade di pesciolini... e dove c’è una sorta di spiaggia con tanto di ombrelloni e sdraio e dove si può fare il bagno, ma... a pagamento... Qui a Bukovel’ si ha la sensazione di essere in un mondo finto, un pezzo di occidente e di modernità trapiantato in questo angolo di montagne. Addirittura le strade nel paese non hanno una buca e sembrano quelle precise e lisce dell’Alto Adige! Con la differenza che mentre nelle nostre montagne – mi riferisco per esempio all’Ato Adige che conosco da 40 anni – la modernità è arrivata come evoluzione in linea con la tradizione di quei posti, e si è diffusa in modo uniforme, senza eccessi; qui invece, pur nella cura e nello stile delle infrastrutture, si percepisce la volontà di far prevalere il lusso, le comodità, il “glamour” e dunque il contrasto con la semplicità e la rudezza della realtà intorno al di fuori da qui, che è bella proprio perchè autentica.
Per fortuna che appena si lascia Bukovel’ alle spalle ci si immerge nuovamente nei “veri” Carpazi.


Ultima sera.

Se c’è un piacere per il fisico che, da quando la mia russofilia mi ha irreversibilmente (almeno per il momento) condotto ad amare questo mondo, non trova pari, esso è quello della “banja”. La sauna è per me ormai un rito quasi settimanale anche a Kiev da anni, ma la “banja”, che è la variante a legna, ha un che di più naturale rispetto alla sauna e mi dà maggiore soddisfazione. E più essa è originale e fatta in situazioni particolari, e più il godimento è intenso. Certo d’inverno si raggiunge l’apice del piacere, quando capita di buttarsi letteralmente nella neve con il corpo ancora ustionante per il calore chè esso ha immagazzinato. E più è penetrante la temperatura, e più è agognato il contrasto, più è forte il desiderio di refrigerio... e a me piace che sia bollente davvero (in sauna intorno ai 92°-94°; nella “banja” intorno ai 70°, anche se in quest’ultima il calore lo si sente di più grazie alla maggiore umidità – fino al 70% – rispetto alla sauna). E allora poi ti vene da sorridere quando ti guardi allo specchio e ti vedi rosso come un peperone per la reazione caldo-freddo che si imprime sul corpo. E ti viene voglia di ingurgitare della birra gelata. Ho sentito dire diverse volte che sarebbe corretto abbinare alla sauna il the caldo, che aiuta nel rilassamento... ma io no... non è per me; preferisco infrangere, se possibile, questa norma e sentire nella gola il freddo della birra che scende giù...

Quante “banj” ho fatte in vita mia, e molte me le ricordo... qui sui Carpazi in un’altra occasione di qualche anno fa con un mo cliente, in inverno: ricordo che si usciva dalla casetta della “banja” direttamente sul ruscello gelato; e poi in Siberia, e in Estonia quando ero un pò più giovane: anche qui ricordo l’emozione del bagno nel lago gelato dove era stato fatto un buco nello strato di ghiaccio che aveva formato una sorta di vasca dove ci si buttava una volta usciti dalla “banja”...

Ma anche in estate è bello fare la “banja”, soprattutto come in questa occasione, in montagna, quando comunque la temperatura di sera scende e invoglia il fisico, che spesso è appesantito e stanco dallo stress delle escursioni della giornata, al caldo relax.

Al “Kermanich” c’è una mitica “banja”, che, ovviamente già conosco per averla provata in passato.

Ultima sera... sulla pelle ancora l’odore della carne alla brace e del shashlyk degustato poco prima; giusto in tempo perchè pian piano le nuvole grigie sono diventate uniformi e, contemporaneamente all’avvicinarsi del buio della notte, sta iniziando a piovere; i miei si stanno già coricando, ma a me aspetta l’ultima “banja”. Già domattina si riparte per Kiev; avremo davanti come minimo 12 ore di macchina, tra soste e percorso.


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La "shashlykata" conclusiva...


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...bisogna sudarsela la carne...


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Mi serve dunque un ultimo momento di relax, anche perchè in questi tre giorni le gambe sono state messe per bene alla prova ed è stato un degno allenamento per la vacanza estiva dolomitica che mi aspetta tra poco più di mese. La pioggia intanto inizia a farsi più intensa, forse a suo modo il tempo sta salutando la nostra partenza di domani...

Quest’ultima “banja” la ricorderò a lungo. Nudo, nel buio pesto; i “domiki” del “Kermanich” sono già tutti bui segno che i ragazzini del “tabor” stanno già dormendo. Sento gli scrosci della pioggia venir giù fitti e cadermi sulla testa, ed io qui fuori sotto questa doccia piovana fredda a riportare il corpo alla sua temperatura naturale. E non contento mi metto proprio sotto la grondaia, dove il getto d’acqua che si raccoglie dal tetto è più forte e pungente e mi procura un piacere indescrivibile. Rimango qualche minuto così, alitando per vedere l’aria fredda che esce dalla bocca ed osservando il vapore che emette il corpo ancora bollente, a contatto con l’aria fredda intorno. Vorrei ripetere ancora e ancora questa procedura “banja”-doccia piovana, ma l’orologio segna già l’una. È l’una di notte, devo rientrare nella casetta per questa ultima notte sui Carpazi. La prima volta sui Carpazi con la famiglia.

Un week end che non dimenticherò mai.


Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 07/07/2017.




03-05/06/2017: in famiglia sui Carpazi, come da tradizione durante il "ponte" della Pentecoste.



Lago Sinevir.


 sinevir_panorama
Il lago Sinevir.


Di veramente curioso intorno a questo laghetto alpino c’è, a mio parere, solo la leggenda... C’era una volta un conte che possedeva un grande appezzamento di bosco sui verdi Carpazi; egli aveva una bella figlia di nome Sinja, dagli occhi appunto “sinije” (blu) come il cielo. Molti uomini, semplici boscaioli e potenti di altre zone dei Carpazi, facevano la corte alla fanciulla... ma Sinja si era innamorata di un bel giovane pastore di nome Vir, un ragazzo semplice, la cui unica ricchezza era un piffero, che suonava sempre e col quale egli sapeva ammaliare Sinja.

Il padre di Sinja venne a sapere della storia d’amore e si oppose fortemente ad essa. Sinja e Vir, che però si amavano profondamente, erano dunque costretti ad incontrarsi segretamente. I due giovani erano felici...

In breve il conte decise di farla finita con Vir. Commissionò dunque l’omicidio. E così, poco dopo, mentre Vir stava aspettando Sinja per un nuovo incontro, uomini mandati dal conte lo individuarono e gettarono un grande masso sopra il ragazzo uccidendolo. Quando Sinja giunse sul posto venne presa dal dolore lancinante ed immenso, ed iniziò a piangere. Pianse talmente tanto e a lungo che intorno a lei si creò un lago di lacrime nel quale lei stessa annegò.


 sin_vir
Sin e Vir.

Da allora il lago prende il nome di Sinevir, appunto in memoria dei due innamorati Sinja e Vir a simboleggiare l’eterno amore che i due hanno potuto conservare solo con la morte.


Per il resto il laghetto in sè mi delude un pò. Mi aspettavo di catapultarmi in un’oasi di silenzio in mezzo al boscoi e invece mi ritrovo in mezzo a decine di bambini starnazzanti di qualche scolaresca o colonie estive.
L’acqua del laghetto non è neppure così pulita, almeno lungo la sponda. Bello invece il bosco tutt’intorno, le sfumature di verde che si riflettono sull’acqua immobile; e curioso l’isolotto là in mezzo al lago che, se uno lo volesse, si può raggiungere con una sorta di zattera. Chissà, che sia esso forse il masso che uccise Vir?



L’escursione al lago Sinevir non era però l’obiettivo principale del fine-settimana, sebbene sia stato un incipit interessante, dato che era anni che mi riproponevo di vederlo e, per un motivo o per un altro, non ci ero ancora mai stato.

Quest’anno dovevo assolutissimamente porre fine alla maledizione del Goverla, che per ben due volte nel passato (l’ultima l’anno scorso, come raccontato sul Forum), ha provocato il dietrofront nel bel mezzo dell’ascesa alla vetta più alta d’Ucraina (2061 m.).

Lasciati nella casetta nel bosco i bambini insieme ai nonni (che questa volta appositamente ho portato dietro, prevedendo appunto di portare a termine la missione Goverla), e approfittando di un tempo clemente siamo dunque, io e la mogliettina, partiti per l’impresa.

Indescrivibile la fatica! Sul serio... io mi ritengo un discreto montanaro, ho un buon passo, una buona resistenza e amo fare trekking e arrampicare; a questo proposito, proprio mentalmente e sulla base dell’esperienza, ho sempre un pò snobbato, pur avendo imparato ad amarli, i Carpazi in generale, e questa montagna in particolare, ritenendola semplice per il fatto della sua forma a “panettone” erboso dalle pendici apparentemente dolci, senza rocce o burroni... ma mi sono dovuto ricredere! Oltretutto, forse, proprio quell’approccio mi ha causato le sfortune dei tentativi di ascensione precedenti, miseramente falliti...

Parallelamente mi ha sorpreso la quantità di escursionisti, di tutte le età, che abbiamo incontrato durante la salita, e poi sulla cima; questi tra l’altro parevano più in forma e più esperti di me, a giudicare dalla scioltezza con cui si muovevano; mentre io, non facendomi una ragione di ciò, arrancavo e la fatica era ancora maggiore per il senso di invidia che provavo nei confronti di questa gente...

Infine l’ultimo tratto, quello che conduce alla vetta; qui non c’è più un sentiero, bensì è possibile zigzagare come si vuole sul pendio; salita che mi ha comportato uno sforzo bestiale. Alla fine, dopo circa 4 ore di  camminata e circa 800 m. di dislivello, ce l’abbiamo fatta! La grande soddisfazione nel mettere i piedi sulla larga e piatta cima del Goverla dopo tutta quella fatica è altrettanto indescrivibile. Il panorama da qui è spettacolare, da una parte, in fondo verso sud si vedono i Carpazi romeni; tutt’intorno le cime più basse dei Carpazi ucraini, “gobbe” di detriti, muschio ed erbe; mentre più in basso i boschi di conifere immensi; praticamente nessun segno di civiltà a valle; tira un forte vento e ci sono anche parecchi sprazzi di neve, cosa apparentemente strana per queste altezze non così estreme – in fondo siamo a poco più di 2000 m., ma è chiaro che la latitudine qui gioca la sua parte e molto spesso capitano nevicate a queste quote anche d’estate.
Bello, bello davvero!


 goverla
Il panorama dalla cima del Goverla.

 goverla_1


 goverla_2
e ancora...


Il resto del week end l’abbiamo dedicato al riposo; per i funghi è ancora presto, nel bosco non ce n’è traccia, neppure di quelli “matti”. Quindi abbiamo optato per una gita alla “fighetta” Bukovel’ – la più rinomata località sciistica d’Ucraina dove da anni c’è un boom di turismo d’èlite un pò in tutte le stagioni dato che qui le infrastrutture ed i servizi sono a livelli europei (come i prezzi!). Nonostante io personalmente non verrei qui a passare le vacanze, non sentendomi a mio agio in questa oasi “finta” e “pantovaja”, devo riconoscere che la conca naturale dove si trova ed il paesaggio intorno sono veramente belli. Come pure il lago artificiale che è una delle attrazioni principale del paese.



 bukovel_lago
Il lago di Bukovel' e il bel panorama intorno.



Preferisco decisamente sempre la “nostra” grezza e genuina Vorohta, la “nostra” casetta di legno altrettanto grezza ai margini del bosco, le strade piene di buche sulle quali la gente locale si muove in UAZ, in Lada Niva o in altre “carcasse” di eredità sovietica o... coi carretti trainati dal cavallo...



 carretto
Il Gringox contadino dei Carpazi


L’ultima sera, per la gioia di bambini ed adulti, e soprattutto del vecchio scout Gringox, si fa shashlyk nel bosco... i bambini vanno a raccogliere la legna, gli insegno come preparare il fuoco e tutti ci divertiamo ad alimentarlo, a fare le fiamme alte, a cuocere la carne, e, tra una cosa e l’altra, a fare la guerra con le pigne. Fino a quando scende il buio che trasforma le “smereke” (la “smereka” è il larice dei Carpazi) in inquietanti forme che tanto spaventano i bambini e non solo... e si va a dormire.


 fuoco
Il nonno (mio suocero) coi bambini intorno al fuoco nel bosco.



Gringox
 




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