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Gringox d'Ucraina (sola lettura).
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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 16 aprile 2009.


Della serie: "le foto quotidiane".

...giusto ricordare che bisogna tenere pulito un ambiente comune (è il cessetto della мойка dove io di solito lavo la macchina)...

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Ciao,

Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 17 aprile 2009.


Della serie: "le foto quotidiane".

Archeologia industriale sovietica - selo Bobrik, provincia di Romny, regione di Sumy.
Foto scattata durante la mia ultima trsferta in quella regione.

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La scritta sulla parete "Slava Hleborobam Ukrainy" - "Gloria ai produttori di pane dell'Ucraina"...

Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 23 aprile 2009.


Ragazzi,

ieri sera al Палац Спорту di Kiev sono stato ad un grande concerto. Non so quanta gente c'era, 10.000, forse più, ma che importa... lo stadio era gremito e lo spettacolo da brivido.
Ebbene, con i suoi 60 anni, lei era, è, e rimane un "monumento" della musica russa... parlo di ALLA PUGACHEVA!!!

Già, ieri sera sono stato al mega concerto di Alla Pugacheva, il cd. "юбилейный тур" che la vedrà in tutte le piazze mondiali ovunque ci siano forti comunità di russi (dai Paesi ex-Urss, a Israele, agli Stati Uniti).

Se da una parte, durante le quasi 3 ore di concerto, sono state poche le canzoni che ha cantato che conoscevo, dall'altra lo spettacolo e la scenografia sono state effettivamente emozionanti. Il filo conduttore del concerto era "l'amore" e nel mega schermo alle sue spalle, sul palco scorrevano spettacolari immagini di una natura in movimento che ti trascinavano senza sosta e ti proiettavano in un mondo lontano... i giochi di luce, di colore e la sua incredibile arte nell'esprimere sensazioni col volto e con le espressioni e con la gestualità hanno poi dato il tocco finale allo spettacolo.

Ci tenevo tanto a vederla dal vivo. Non posso negare che è una grande artista, poi si può dire tutto e il contrario di tutto su di lei e sulle sue canzoni. A me non piace tutto il suo repertorio, ma parecchie canzoni sì.
E vederla dal vivo è stato entusiasmante.

Alla fine, sul palco, è salita pure Julia Timoshenko a portarle i fiori e a salutare il pubblico (ecco la chicca populista della solita Julia!) e a dedicare il saluto degli ucraini (милион украйнских сердец...) alla primadonna della musica russa degli ultimi 40 anni; è stata la prima volta che ho sentito parlare la Timoshenko in russo (e si sente che il russo è la sua lingua madre e quando parla in ucraino finge).

Piccolo aneddoto finale: seduti a fianco a me c'era una coppia sulla 50ina, forse lei era l'amante di lui, non so perchè ma avevo questa impressione. Beh, lui era seduto proprio di fianco a me, aveva un alito da far paura, forse aveva mangiato del pollo con aglio a pranzo, e per tutto il concerto è stato impassibile, mentre ogni tanto la sua donna, che si agitava ben più di lui, lo abbrancava e gli staccava qualche bacetto sulle labbra...ma su questo tutto normale. All'inizio del concerto, no, qualche minuto prima, la gentil signora prende un coltello dalla borsetta e con fare assolutamente normale e discreto si mette a tagliare la bottiglietta vuota di plastica della cocacola per creare due sottofondi, tipo bicchierini. Io con la coda dell'occhio continuo a fissare la scentetta e a fatica trattengo la risata. Questi vanno avanti nel loro intento, impassibili, spontanei e "tipicamente russi". Insomma, creati i bicchierini di plastica artigianali, la signore bionda riapre la borsetta e zacchete, tira fuori la bottiglietta di cognac, una bottiglietta 0,5 di litro, piccolina ma comodo per queste situazioni. Ed inizia a versare, e poi tira fuori la confezioncina di "ferrero roscher" e ne dà uno al suo uomo. Ed io guardo ed inizio a ghignare. E loro neanche una grinza. beh, cioccolatino in una mano, bicchierino con cognac nell'altra, breve "tost" e via...iniziano le danze bevitorie. fantastico, così oltre all'alito che sapeva di pollo all'aglio si è creato il miscuglio con l'alito da cognac...ma era uno spettacolo vederli. E per tutto il concerto sono andati avanti a ripetere diverse volte questa scenetta. E senza dare fastidio a nessuno, senza alcun clamore, senza mai voltarsi o rendersi conto che c'era gente di fianco...
Beh, sta scenetta mi ha divertito parecchio.
Peccato non aver condiviso con loro questa gioia, avrei fatto volentieri un "tost" con loro ad Alla Pugacheva!!

Un abbraccio da Kiev a tutto il forum,

Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 12 giugno 2009.


Voi sapete che spesso, quando mi trovo in trasferta nella "mia" Ucraina dell'Ovest, spesso e volentieri colgo l'occasione di soffermarmi in escursioncine culturali per visitare ciò che la storia ed il passato di queste terre ha lasciato a noi...certo non il paragone con la nostra Patria non regge, c'è ben poco qui di veramnete antico, ma qualcosina di carino si trova.


"Меджибізький замок" (XIII sec).


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Una caratteristica "хата" della regione di Хмельницький...

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Ciao,

Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 30 giugno 2009.


...nel frattempo, in queste finalmente caldissime giornate kieviane ho trovato il tempo per rilassarmi in spiaggia.
Ieri era festa, e per la prima volta in 4 anni ho provato l'acqua del Dnepr. In compagnia del Pero e del Fezol ci siamo trovati nell'affollatissima spiaggia di Obolon (che non è solo la famosa birra ucraina, ma anche un popolare quartiere di Kiev). Sabbia fina, ombrelloni, tanta gente; sembrava di essere a Rimini, ma soprattutto l'acqua giallastra del Dnepr.
Un'emozione nuotare in quell'acqua tiepida e poi voltarsi e vedere i palazzoni del quartiere, e dall'altra parte il porto e di fronte le verdi isole che punteggiano il fiume.
Ahhh...mentre nuotavo riflettevo su questa città chiamata Kiev, sulla sua "polistratificazione" che permette al cittadino di viverla a 360 gradi in ogni stagione; d'inverno abbiamo le piste da sci in centro città; d'estate abbiamo il nostro "mare", con spiagge e divertimenti...ma che bisogno c'è di andarsene in vacanza se dopo il lavoro, alle 6 di sera smonti, ti prendi l'asciugamano e ti fiondi ad Hidropark o ad Obolon e ti fai un "sano" bagno nel fiume??? E poi finito il bagno ti fai una bella passeggiata sul lungo fiume e ti bevi una freschissima birrettina, e poi te ne torni a casa bello rilassato.

Ahh...che bella Kiev d'estate!!


Un saluto a tutti,

Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
12 agosto 2009


Kiev e i limoni! (piccoli aneddoti kievliani)

Che l’estate a Kiev sia già finita non è ancora detto. Mi auguro di no! Ciò che però è evidente è che negli ultimi giorni non fa caldo e una pioggerellina in stile autunnale rende le mie giornate pregne di una strano senso di nostalgia e tristezza…beh, se penso che tra tre giorni è Ferragosto e la gran parte dei miei connazionali e non solo, se la spassa nei vari luoghi di vacanza al caldo, al sole o in compagnia, quella strana sensazione si acuisce e mi rende svogliato anche al lavoro. Ma è la sera che occorre reagire e combattere quella apatia e svogliatezza e spesso, conoscendomi, il modo più vivace è quello di mettermi ai fornelli e prepararmi qualcosa di buono da mangiare. Chissà perché ma oggi ho voglia di pesce, forse per sognare un pò, per volare lontano, in qualche posto di mare, immaginando di poter degustare del buon pesce appena pescato. E invece mi tocca finire ciò che ho nel freezer da tempo, cioè un “som” comprato dai pescatori nella zona del fiume Vovk, nella Hmel’nitskaja obl., durante una mia trasferta da quelle parti. Non che sia un gran pesce, bello grasso, ma con poche spine, una sorta di salmone, ma di colore bianco e dal sapore “fangoso” e salmastro tipico di fiume. Ma è tutto ciò che offre il “Quartier generale” del Gringox oggi.
Tiro fuori dunque il pescione ma subito mi accorgo che tra i vari ingredienti mi manca il limone. Non è che io faccia in generale gran uso di limoni in cucina e quasi sempre nel frigorifero mi manca. Ma sicuramente dopo questa esperienza, d’ora in poi un limoncino lo terrò sempre, piuttosto mi va a male – ma non si sa mai! E così, senza troppo pensarci, ma un pò di controvoglia per la pigrizia di dover fare un salto al supermercato solo per prendere un limone, per di più in questo uggioso inizio di serata, esco di casa e mi metto in macchina.
Ore 18,40: giungo al “mio” supermercato vicino a casa, dove sono solito fare la spesa. Si tratta del “Velika Kishenja” (un nome che infonde speranza: la speranza di poter trovare e comprare ogni tipo di prodotto per poter riempire le proprie tasche, eheh! “Grande tasca” significa infatti in ucraino…se noi a Milano abbiamo la “Esselunga”, qui a Kiev abbiamo la “Grande tasca”…), mi fiondo al reparto ortaggi e frutta, cerco qua e là ma non vedo i limoni. Chiedo alla commessa: con un filo di voce mi dice “nema limoniv”, solo lime. E che me ne faccio del lime? Io ho bisogno di limoni! Vabbè, sconsolato, giusto per non uscire a mani vuote dal supermercato vado a prendermi una confezione di succo di pomodoro, mi è balenata nel frattempo in mente l’idea di farmi un bel “bloody mary” quando torno a casa; la vodka non è un problema trovarla, e poi anche a casa mia è sempre presente. Esco dal “Velika Kishenja” e mi dirigo al “Furshet”, quello in ul. Gorkogo, vicino alla metro Lybydskaja, non lontanissimo da casa mia e – dicono in molti qui – ben fornito, forse più del “Kishenja”. Ore 19,20. Io ci sono stato un paio di volte, non mi sembra ci sia tutta questa differenza col “mio” supermercato, però proviamo…eccomi dentro, arrivo al reparto frutta e verdura, cerco qua e là, ma anche qui non vedo limoni! Chiedo alla commessa indaffarata a pesare dei pomodori ad un cliente e a chiuderli nel sacchettino di plastica trasparente. Si perché qui in Ucraina il cliente non si chiude il sacchettino con la frutta e la verdura da solo e non se lo pesa da solo. No, occorre riempire il sacchettino e consegnarlo alla commessa che tutto il giorno se ne sta lì, in piedi, accanto alla bilancia e non fa altro che prendere i sacchettini dei clienti, pesarli, staccare l’etichettina col prezzo, chiudere i sacchettini e riconsegnarli al cliente. Beh, lei mi risponde gentilmente che i limoni da un pò di tempo non li consegnano al supermercato e che hanno solo lime. O porca miseria, penso, ma come è possibile? Come fanno a mancare i limoni? Sarà effetto della crisi anche il deficit di limoni? E così, nuovamente sconsolato, giusto per non uscire a mani vuote anche dal “Furshet”, vado a prendere un pezzo di pane che così a casa mi faccio un antipastino con del salame e del formaggio che ho ancora dall’ultima spesa fatta in Italia (l’ultima volta che son stato a Milano era un mese e mezzo fa), mentre mi sorseggio il “bloody mary” fatto col succo di pomodoro comprato prima al “Velika kishenja”.
Esco, sono le 19,45. Conoscendomi so che non mi posso fermare davanti a questa difficoltà improvvisa ed inaspettata. Devo trovare questi limoni del cavolo! Faccio mente locale; rientrando più nella mia zona, su verso Amurskaja ploshad’ c’è il supermercato “Perekrestok” (che significa “incrocio”; si tratta di una catena russa di supermercati, presente anche a Kiev). Anche lì sarò stato al massimo due o tre volte, e se non altro – penso io – anche se non trovo i limoni, poi in un attimo sono a casa e preparerò qualcos’altro.
Sono circa le 20,00 e arrivo al “Perekrestok”. Supermarket semivuoto! Al reparto frutta e verdura la solita commessina annoiata, accanto alla bilancia, mi dice che limoni non ce ne sono e che non sa quando e se arriveranno! Hehehe, non ci credo! E’ il terzo supermercato che visito, sono in giro da un’ora e mezzo, sono a Kiev, città di 5 milioni di abitanti, mi trovo in una zona non lontana dal centro, sono entrato in due delle catene di supermercati più popolari e diffuse in Ucraina e a Kiev…e non ho trovato un benedetto limone! A questo punto diventa una questione di principio! Altro che tornarmene a casa. Pesce o non pesce, anzi, la voglia di cucinare il pesce mi è pure passata, ma la cocciutaggine di trovare il limone mi spinge a non fermarmi, a costo di girare la città e di arrivare in “Troeshina” (quartiere popolare a circa 40 km. dal mio, sulla riva sinistra del Dnepr, oltre il “Moskovskij most”)…
Anche qui non posso non comprare niente: esco dal “Perekrestok” con tre – dico tre – cipolle!
Ore 20,20. Credo di sapere dove posso trovare il mio “tesoro” giallo. Al “Mega Market” di ul. Gorkogo. Sì, proprio nella stessa via del “Furshet”, ma molto più in centro rispetto a quello. Avrei dovuto pensarci e passarci prima, invece di venire qui, ma forse la speranza di trovare ciò che cercavo o la rassegnazione della sconfitta, rimanendo comunque più vicino a casa, mi ha spinto a tornare nella mia zona…ma adesso non ho altra scelta. Provo ad andare là.
Il “Mega Market” è di nome e di fatto “mega”! Un grandissimo supermercato, ben illuminato, con reparti ampi e fornitissimi di tutto. Ci sono anche prodotti di provenienza europea (formaggi italiani, salumi italiani, vini di vari Paesi del mondo, ecc…). Non che tutto ciò al momento mi interessi, anche se la curiosità di sapere cosa hanno di “italiano” è molta, la priorità del momento è il limone. Mi dirigo al solito reparto frutta e verdura. Prima di chiedere dò un’occhiata in giro: porca miseria, c’è di tutto. Pure la rucola, il radicchietto rosso trevigiano – anche se leggermente marcito nelle foglioline più esterne; manghi, papaye, addirittura foglie di palma (a cosa serviranno, non so!)…mi giro ed improvvisamente vedo la cassetta coi limoni. Evvai! Finalmente li ho trovati! Cosa strana la soddisfazione che percepisco per avere ottenuto un risultato sulla “carta” così banale e così teoricamente facile…ma a Kiev, di questi periodi, nulla è da considerare “facile” o banale! E l’esperienza dei limoni lo dimostra palesemente. Ne compro tre.
Felice per l’acquisto, faccio un giro veloce per il supermercato, vedo tante cose belle e mi riprometto che tornerò qui a far spesa presto.
Nel frattempo mi è pure passata la fame e la voglia di mettermi a cucinare il pesce al forno.
Ore 21,00 circa. Arrivo finalmente a casa…con tre limoni, il succo di pomodoro, il pezzo di pane e le tre cipolle. Il “tour” dei supermermercati durato due ore e mezzo è finito. Adesso so dove parare se ho bisogna di qualcosa.

Mentre mi sorseggio finalmente il mio “bloody mary” ripenso a questa piccola avventura di vita kievliana. Io che ormai da quattro anni e mezzo vivo qui, so che non mi devo più sorprendere di nulla, eppure certe volte è più forte di me, non riesco a non meravigliarmi di certe situazioni che mi capitano…ma in fondo è bello viverle così, senza sentimenti estremi, nella semplicità e col buon umore necessari per poter affrontare una quotidianità ed adattarsi ad essa, per molti aspetti completamente diversa da quella nella quale sono cresciuto.

Gringox
 




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Messaggio Re: Gringox d'Ucraina (sola lettura). 
 
Post del 22 settembre 2009.


Riflessioni ucraine...

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E’ autunno. (riflessioni ucraine)

Un brivido di commozione mi assale e cedo alla tentazione di fermarmi per qualche minuto in silenzio ad ammirare questo “quadretto” ottocentesco.
Sono nella Ternopolskaja oblast’ (regione di Ternopol’) e, come spesso mi capita, la trasferta di lavoro si trasforma ora in un meraviglioso momento di “viaggio”, la tipica situazione in cui improvvisamente la ragione lascia spazio al predominio del sentimento e le cose che vedo diventano nutrimento per l’animo. Mi fermo, chiudo gli occhi per un istante, di colpo resuscitano i ricordi di scuola e delle poesie che si imparavano a memoria; mi pare prendano forma e vita quelle rime del Leopardi o del Carducci o del Pascoli che tanto amavo per la loro profondità e che procuravano in me già allora una dolce nostalgia e la commozione in chi, come in me, scorre in parte nel proprio corpo, del sangue contadino…non siamo nella Romagna o nella Toscana ottocentesca, ma poco importa. Il romanticismo palpabile nell’aria annulla il tempo e cancella le distanze ed io sono qui, spettatore improvvisato, a condividere questa simbiosi con la natura.
Il ritmo delle stagioni in nessun luogo come qui, nella campagna ucraina, “solca” la vita dell’uomo. Così come questi cavalli quieti, spinti da questi uomini lenti e costanti, solcano rassegnati una terra morbida e ricca di quel “frutto” che più di ogni altro costituisce la base dell’alimentazione per questa gente. Inizia l’autunno e la raccolta delle patate è un momento importante per la vita di campagna. Penso a loro, penso a questi uomini e donne, ai loro padri, ai loro nonni ed antenati che sin dall’origine del tempo compivano con abnegazione questo duro lavoro stagionale, in silenzio e meticolosamente. Nulla pare cambiato da allora: i cavalli, gli aratri di legno, il carretto di legno, la nebbiolina triste che sbiadisce i colori della natura, offuscandone le forme… Per questi uomini ogni anno, al ripetersi della stagione, si ripetono le stesse azioni. Poco importa se a qualche centinaio di metri dal loro campo sfreccia ogni tanto una macchina che vorrebbe ricordare loro la civilizzazione. Una civiltà così vicina e al tempo stesso così lontana da loro! Essi non si badano di ciò, di ben più vitale importanza per le loro semplici esistenze è il portare a termine il proprio lavoro. E poi, a sera, rientrare stanchi al focolare domestico per scaldarsi intorno alla stufa, che spesso, nelle campagne ucraine, è ancora a legna!
Io li ammiro, intravvedo appena le sagome dei loro ruvidi volti, che immagino solcati da rughe profonde, che rendono questi giovani uomini già vecchi; ammiro la loro orgogliosa e muta rassegnazione; chissà a cosa pensano mentre lavorano. Vorrei “tuffarmi” nei loro pensieri, parlare con loro. Chiedere loro se sono felici, se hanno delle aspirazioni, dei sogni, se pensano di poter in qualche modo cambiare la loro vita. Ma no, forse a loro non è dato pensare, non riescono a immaginare qualcosa di diverso, non hanno certo avuto la possibilità di scegliere un qualche destino diverso da quello che gli è stato assegnato alla nascita. Ciò a conferma di un ordine naturale misterioso che attribuisce chissà perché ad alcuni una sorte ed altri una diversa, pur essendo tutti uomini e tutti teoricamente uguali. Sì, è vero, alcuni lasciano le campagne, alcuni arrivano alla città, altri addirittura giungono in altra Terra a cercare fortuna, un lavoro “civile” e “normale”…ma per quanti ne emigrino, altrettanti restano, a perpetuare la cultura e la tradizione di questa Terra; ed ecco il mio pensiero si ferma a costoro, che sono qui davanti a me, e che si muovono lenti! No, non è dato a me immaginare i loro pensieri…mi posso solo limitare a guardarli stupito e a rispettare questa loro semplice ma dura esistenza. Il rispetto! In silenzio!
Ed io sono forse felice?
D’un tratto squilla il telefono cellulare: un cliente riporta me alla mia quotidianità, al lavoro, e mi ricorda che la strada per Kiev è ancora lunga… lascio lì quell’umanità dignitosa, nel campo in compagnia dei loro cavalli e della nebbia che pare ora meno fitta, e mi rimetto in moto.
La strada è ancora lunga…

Gringox
 




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Post del 15 ottobre 2009.


…il villaggio di TATARYNCY (regione di Ternopol’, ovest Ucraina).

Il tempo si è fermato! La pura campagna ucraina è ora tutta per me, ferma, romantica, dolce…
Questo villaggio sperduto non è altro che un’entità superstite di un mondo lontano nella mia immaginazione e nella mia cultura, ma che qui in Ucraina è tuttora il presente e, credo, almeno il futuro prossimo. Nulla sembra cambiare qui, di stagione in stagione, di anno in anno. Poche casette, alcune di fango secco, altre di mattoni o di un misto di legno e mattone, con gli intonaci scrostati e cadenti e dai tetti di vecchia lamiera arrugginita; casette come quelle dei “Puffi”, divise tra loro da recinti e palizzate di legno che a malapena si reggono in piedi e a poco servono come divisori territoriali, a sottolineare oltre allo stato di abbandono la condizione di stretta convivenza della piccola comunità umana che va oltre le staccionate...



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La chiesetta, immancabile nel villaggio ucraino; simbolo di una religiosità arcaica che significa unità, fratellanza e condivisione. Una religiosità che spesso si confonde e si mescola con la tradizione profana, con la magia, col ripetersi di usanze in cui il confine tra il sacro e il profano è praticamente impercettibile. La gente qui non ha mai messo in discussione e mai lo metterà, la funzione della chiesa e allo stesso tempo non rinuncerà mai alle credenze che tutto hanno meno che l’essere di origine religiosa.
Queste chiesette spesso hanno resistito agli anni feroci dello stalinismo, piegandosi, tacendo, ma mai soccombendo definitivamente, ed ora hanno ripreso ad essere il fulcro della vita di villaggio.
Belle, pure. Vere!


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...la tenera coppietta di vecchietti va a fare la spesa al chioschetto...


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Spesso mi fermo in questi villaggi, osservo le cose, gli animali, gli uomini e vorrei interagire con loro, ma mi rendo conto che sono di passaggio e che potrei turbare la quotidianità di questa realtà. E allora mi limito ad osservare in silenzio…

Chissà perché questo villaggio si chiama “Tataryncy”, che abbia qualche connessione con l’etnia tatara? Questo interrogativo me lo sono portato a dietro per tutto il viaggio di rientro verso Kiev, ma senza poter trovare una risposta.

Gringox
 




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Post del 16 ottobre 2009.


Riflessioni ucraine.


Il volto dell’Ucraina dei piccoli paesi di provincia, lontano dalle grandi città, dove il presente stenta ad emergere e l’eredità del passato continua incredibilmente a garantire la sopravvivenza della popolazione.
Che spettacolo! Uno spaccato di “archeologia sovietica”, una delle cose che più coinvolge e sconvolge la mia sensibilità quando penso alle Russie. E che, non ho mai capito bene il perché, ma riesce sempre a colpirmi ed emozionarmi.



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Nel parcheggio di una piccola fabbrica ancora tutta sovietica nell’apparenza (e probabilmente nella sostanza e nella qualità della produzione), poche macchine, anch’esse tutte sovietiche, quasi ad imprimere agli occhi un concetto: che oggi, nel 2009, nonostante quasi vent’anni siano passati dalla morte dello stato socialista, qui, in questa parte di Ucraina dell’Ovest il tempo si è fermato. Credo di trovarmi nella regione di Hmel’nitskij o già in quella di Zhitomir, ma poco importa.


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Mentre osservo il quadretto, sorrido al pensiero che questa immagine, questa foto, poteva essere identica 25-30 anni fa! Stesso edificio, stessa torretta di controllo, stessa cancellata, stesse inferiate alle finestre (mi hanno sempre colpito queste inferiate, a forma di sole emanante lunghi raggi ferrosi – ovviamente il “sol dell’avvenire”), stesse automobili, stessi autobus, stessi colori…
E non solo, questa immagine, questa foto, poteva provenire dall’Armenia o dal Tajikistan, o dalla Lituania o da Sakhalin…e sarebbe stata assolutissimamente e drammaticamente identica!

Gringox
 




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Post del 27 ottobre 2009.


Archeologia sovietica e stato di conservazione!

Non per dare giudizi, ma sempre per dar sfogo all’animo. Non so perché, ma queste realtà riescono a suscitare in me tanto fascino e uno strano senso di nostalgia…


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Nulla di più palpabile questo decadentismo architettonico che riflette il decadentismo morale della comunità umana di queste terre verso la “cosa pubblica”. Nei paesi di periferia, nei villaggi è ora quasi tutto abbandonato, decadente, dimenticato. Eppure certe strutture, pur in tale stato di conservazione, continuano a mantenere gli stessi “nomi” sovietici e a svolgere la funzione sociale per la collettività, che il socialismo le aveva attribuito: cinema, stazioni degli autobus, strade, stazioni di rifornimento di benzina, palazzi della cultura (ex centri culturali del partito), vecchie fabbriche o “centri commerciali”, ecc.


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Edifici praticamente uguali ovunque, sul piano architettonico e dello stile. Emblema della grandiosità strutturale e ideologica del sistema socialista sovietico.
E ripenso a ciò che significava per questi popoli l’Unione Sovietica nella quotidianità: l’unità ideologica era impressa dall’immancabile Lenin onnipresente, o da simboli della guerra, di eroi sovietici, di carrarmati, di aerei; ideologia era anche uniformità architettonica degli edifici e delle strutture del bene comune; l’unità reale del territorio era garantita e promossa dalla ramificazione dei collegamenti (stradali e ferroviari), pure nei posti più impervi ed impensabili (e ripenso al Pamir in Tajikistan, o qui nei Carpazi, o a Sakhalin).


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E ripenso allo sforzo collettivo di queste genti, di questi uomini, di queste donne, delle generazioni, e alcuni di loro ci credevano, eccome ci credevano, a ciò che facevano. E a quante vite sono state date per la realizzazione di questo progetto sovietico…


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E ora? Mi chiedo, e ora che sono passati quasi vent’anni dalla caduta delle statue di Lenin, perché queste realtà rimangono così, cadenti, abbandonate, ma pur sempre in utilizzo? Perché questa gente, queste nuove generazioni non si preoccupano di dare un volto diverso al loro bene pubblico?


Gringox
 




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Post del 28 ottobre 2009.


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Zhitomir, 140 km. da Kiev, 284.000 abitanti: una delle città ucraine più drammaticamente rimaste “sovietiche”.
Piazza Lenin. Oggi come ieri il centro della città. Oggi come ieri l’asfalto è decrepito e nessuno lo risistema. Oggi come ieri la viabilità sovietica regola la circolazione delle auto (niente semafori, solo strisce appassite che indicano come muoversi). Oggi come ieri, il "nonnino" Lenin è ancora in piedi, troneggia davanti al palazzo del parlamento cittadino e nessuno qui ha intenzione di toglierlo dalla piazza. Oggi, a differenza di ieri, la tecnologia ha introdotto nuove autovetture che, ai miei occhi un pò indelicatamente, stonano nell’ambito di questo quadretto.
Oggi come ieri…


Gringox
 




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Post del 05 novembre 2009.


Ragazzi, ieri sera delirio. Sono ancora infreddolito e senza voce! Il nostro gruppetto italico era lì, sugli spalti tranquillo e apparentemente invisibile circondato e accerchiato dalla marmaglia di rifosi della Dinamo! Solo il Gringox di tanto in tanto si ergeva sul seggiolino a gridare "Forza Inter" facendo breccia tra le urla ben più possenti e roboanti della tifoseria nemica. Però mi sentivano eccome! E quando io mi alzavo e gridavo, loro si mettevano a ridere e a gridare più forte. Fino all'80° circa era tutto un altrenarsi di cori pro-Dinamo. Nel secondo tempo qualcosa sembra cambiare nel gioco sonnecchioso dell'Inter. Poi improvvisamente il gol di Milito al 86° riaccende le speranze ed io inizio ad urlare più forte. Il tipo davanti a me che si continuava ad alzare ogni due per tre e a voltarsi per farmi i gestacci, improvvisamente si tranquillizza e inizia ad abbassare la voce, hehehe… e siamo 1-1. E mancano 5 minuti alla fine della partita! Poco dopo una situazione confusa e scalpitante in area della Dinamo, pochi attimi, azione rocambolesca e gooooooooollll!! Schneider siglava il gol definitivo della vittoria nostra! Incredibile! A quel punto gli spalti dietro di noi si chiudono in un silenzio tombale ed il Gringox si innalza solo di nuovo sul seggiolino gelato e iniiza a saltellare e stendere la sciarpetta dell'Inter urlando a squarciagola "Forza Inter"... nessuno osava più fare gestacci o controbattere!
Bello, bella emozione! Bella serata.

In prima fila cmq è una figata. I giocatori erano lì, a 5 metri da me...

Per quanto concere il gioco stesso, bah...poco da dire. A ma l'nter ieri non è piaciuta tanto. Ma l'importante è aver portato a casa i 3 punti!

Gringox
 




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Post del 20 novembre 2009.


Non mandatemi a c....re    !!
Soprattutto per chi è musicista o artista o suona, ecc...  

Ieri sera al Palats Ukrajina ho assistito ad un concerto stupendo. 3 ore di melodia italica, pezzi che sentivo quando ero piccolo, pezzi storici di sanremo, dei sanremi degli anni 80....

Il mitico Toto Cutugno, era li', claudicante per la malattia, in vestito bianco che pareva una figura d'oltretomba     nella scenografia con cielo stellato del palco. Alla fine di ogni pezzo, nuguli di ragazzette bellissime, salivano sul palco lasciando meravigliosi fiori, chiedendo l'autografo al sussurro di: "Toto ja tebja ljublju"...  

Ahhh che spettacolo!    

E Toto si gongolava di ciò, ringraziava queste ragazzotte e alcune le baciava sulle labbra con enorme "uuhhhhh" di risposta dalla platea!

E Toto introduceva i pezzi, interagendo col pubblico, dialogando (con ausilio della sua interprete bellissima di Mosca – che, come dice lui, lo segue sempre!) e il pubblico rispondeva con sorrisi di massa e applausi.

Bello. Non sto scherzando.

Una volta nella vita è bello! Sentirlo a Kiev, da Italiano... mi ha lasciato un senso di piacere, mi ha fatto sentire italiano...

Bello!


E così il Giubileo Forumistico l'ho festeggiato con Toto!


Un abbraccio,

Gringox
 




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Post del 02 febbraio 2010.


...il grande gelo di settimana scorsa...la mia prima trasferta dell'anno nell'ovest Ucraina è stata un'avventura!

Già a mezzogiorno la temperatura segna: -17; la mattina e la sera era arrivata fino a -24!


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...la condizione delle strade ed il paesaggio intorno. Guidare in queste situazioni non è facile. Si incontra una macchina "ogni morte di Papa" e si deve mantenere la macchina nei solchi segnati tra il ghiaccio, altrimenti si scivola via. Questo inverno a mio parere è il più freddo di tutti i cinque inverni che finora ho vissuto in Ucraina, ed è sempre emozionante viverlo nel profondo, anche grazie a queste avventure.


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...a qualcuno purtroppo le cose non vanno molto bene! Ne ho viste tante di situazioni del genere durante la mia trasferta...


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Gringox
 




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Post del 18 febbraio 2010.


...e ancora scenette della quotidianità kieviana...l'inverno che, incurante delle beghe politiche, della crisi, dell'economia, continua a far sentire pesante e massiccia la sua voce!

Le "montagne" di neve (sugroby) che "ornano" il cortile e il nostro territorio intorno all'edificio dove si trovano i nostri uffici e magazzini; e in tutta la città queste montagnette di neve e ghiaccio accompagnano i marciapiedi e le strade.

Quest'anno c'è veramente tanta neve, e, tanto per cambiare, anche oggi sta nevicando!


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Gringox
 




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Post del 08 giugno 2010.


Lasciate ogni speranza o voi che entrate…ehehe, perché dal mitico "Kalinka Malinka", luogo di “antiche” e profonde perdizioni, non si può uscire in condizioni “normali”… la scritta sulle porte dell’ascensore è chiarissima in questo senso.


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Ahhh…il “buon vecchio” Kalinka, uno dei miei klub (discotecca) preferiti, lontano dalla banalità dei locali del centro, e con tanta buona e piacevole musica russa “retro”…


Gringox
 




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29 giugno 2010 - (pensieri ucraini).


ore 19,40

Questa è una di quelle situazioni in cui ho voglia di scrivere. Non so bene per chi, sicuramente per me stesso anzitutto, ma è uno di quei momenti in cui più sento la gioia di questa vita ucraina e russofila che da più di cinque anni ha cambiato la mia esistenza. Una di quelle situazioni in cui il confine tra la vita di routine quotidiana e la percezione del “viaggio” inteso come avventura, come alienazione dalla “normalità” quotidiana, è sottilissimo.
Sono “svaccato” sulla cuccetta superiore del quarto vagone del treno “firmennij” Kiev – Chernovcy (treno chiamato “Bukovina”, dal nome della regione di cui Chernovcy è il capoluogo); in ciabatte, pantaloncini e canotta, come molti degli altri sconosciuti compagni di viaggio che sono sul vagone negli altri scompartimenti. Nelle “Russie” è molto diffusa l’usanza del viaggio in treno per lavoro: manager, tecnici, venditori, spesso compiono le proprie trasferte in treno ed è bizzarro vedere come molti uomini salgono sul treno eleganti, in camicia e cravatta e, dopo pochi minuti dalla partenza, li rivedi in ciabatte e maglietta, per poi ritrovarteli come se nulla fosse successo, la mattina dopo (dopo la notte di treno) nuovamente impettiti, eleganti e pronti per affrontare il proprio lavoro nella città di destinazione.
Oggi non dovevo essere qui; ma come spesso accade nel mio lavoro in Ucraina l’improvvisazione è parte del “gioco”. Il cliente mi ha telefonato ieri per chiedermi di aiutarlo a risolvere una questione urgente “in loco”, presso un cantiere e che serve al più presto la presenza del nostro tecnico e la mia. Non avevo voglia di mettermi in macchina per “spararmi” 1.200 km. circa di strada per raggiungere Chernovcy e tornare indietro, in due giorni! E col rischio di impantanarmi nell’acqua alta che da qualche giorno sta ahimè devastando le campagne della Bucovina a causa delle forti piogge che hanno provocato l’esondazione dei fiumi Dnestr, Prut e di altri fiumiciattoli minori, isolando villaggi e paesi ed interrompendo in diverse parti la comunicazione stradale.
Eccomi dunque qui! Nel mio “amico” treno: un viaggio lungo 15 ore (che roba… 15 lunghe ore per percorrere 600 km.) verso di là e rientro domani sera – altre 15 ore – alla volta di Kiev. Ci impiega così tanto perché ad un certo punto, credo dopo Ternopol’, il binario si fa unico e il treno inizia a correre più lentamente; prima, ai tempi dell’Unione Sovietica e forse anche un pò dopo, il treno per Chernovcy, una volta oltrepassata la città di Hmel’nitskij, si spingeva verso sud, entrando in territorio moldavo, superando il fiume Dnestr e costeggiando qualche chilometro il confine moldavo-ucraino (ma in territorio moldavo) per poi rientrare in Ucraina e giungere a destinazione in un tempo più ragionevole. Oggi Ucraina e Moldavia sono due Stati diversi e al treno Kiev – Chernovcy non è più concesso di passare su e giù per il confine ed ecco dunque che si spiega il lungo viaggio. Ha sempre suscitato la mia curiosità il guardare le cartine degli Stati dell’ex-Unione Sovietica, osservare le linee che indicano le strade e in particolare le ferrovie che paiono compiere dei percorsi arzigogolati stranissimi, talvolta intersecando i confini di Stati vicini… oggi l’Unione non c’è più ma quelle strade ferrate esistono tuttora e spesso purtroppo la nuova configurazione statale impedisce di poter percorrere quelle tratte, obbligando a ripiegare su altre, magari secondarie, ma rientranti nel proprio territorio.
E così il treno: un “momento” di vita sociale russa di grande intensità. Ho scritto altre volte delle mie esperienze ed avventure in treno, dei miei viaggi all’interno della Russia; chissà perché il treno è fonte di ispirazione per me…guardo fuori e mi rilasso, lasciandomi trasportare dal ritmo lento ed incostante che caratterizza l’andatura di questo catafalco ferroso…
Goccioline di sudore mi scendono sul volto e sulla schiena, il caldo è penetrante, e solo a tratti è mediato dalle folate di vento che provengono dal finestrino aperto e che sbattacchiano le tendine su e giù. L’aria condizionata non è ancora arrivata da queste parti e tutto sommato per me e per la mia testa è un bene, preferisco l’aria, anche se calda, che viene da fuori…
Fuori la campagna, l’immensa, sterminata e talvolta ondulata distesa verde ucraina, punteggiata di casette varie, alcune di mattoni bianchi, altre di mattoncini rossi, altre ancora, ben più antiche, fatte del miscuglio di terracotta, escrementi e paglia e pitturate di bianco (le tipiche “хата” ucraine), ma tutte sempre ad un piano solo e a forma quadrata, con tettucci a “v” al contrario spigolosi, e con le finestrelle decorate; casette, soprattutto queste ultime, che da secoli sono sempre uguali, in barba alla modernità, ad eccezione del tetto, dove ormai quasi ovunque il mattone o il legno hanno sostituito la paglia.

La sensazione di gioia che provo è indescrivibile e si mescola con la nostalgia di pensieri che mi riportano indietro nel tempo…percepisco la sensazione del “viaggio”…e penso che sono in giro per lavoro!!

…ops…Vova mi sta chiamando, evidentemente ha già fame, eheh…è ora di andare a rifocillarci un pò nel vagone buffet, ci aspetta, come da usanza, una bella bevuta…


Il Gringox “svaccato” sulla cuccetta del quarto vagone del “фирменный поезд” Bukovina, Kiev – Chernovcy.


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Il vagone “buffet”: divertente la bilancina con le iconcine… per la serata in treno io e il mio collega Vova selezioniamo la “Tselsij” (Целсій), tra le diverse opzioni di vodka che si presentano a noi; prendiamo una bottiglia di vodka, succo di pomodoro e ordiniamo qualche “zakuska”…


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Il bagnetto del vagone. Ancora oggi, dopo tanti viaggi su questi treni mi chiedo chi abbia avuto la geniale idea, igienica e ottimizzatrice d’acqua, di realizzare questi lavabi dai quali l’acqua esce solo quando si tiene premuto un tastino sotto il rubinetto; praticamente impossibile riempirsi le mani d’acqua per lavarsi la faccia…


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Immagini degli allagamenti causati dalle piogge e uragani degli ultimi giorni nella Bucovina. Purtroppo le foto del telefonino non rendono benissimi, ma io ammetto di non aver mai visto nulla di simile coi miei occhi! Tutto allagato, gente che si muove di casa in casa coi gommoni, campi trasformati in palude e tutto per chilometri chilometri…


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Gringox
 




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Post del 28 aprile 2011.


È veramente tanto tempo che non aggiorno il “Gringox d’Ucraina”. Lo faccio adesso scrivendo due righe sul mio wekend di Pasqua ucraino trascorso in Crimea, a Yalta.
Nelle mie solite trasferte di lavoro nell’ovest Ucraina (ormai sono 6 anni che giro sempre gli stessi posti) sono ormai abituato a confrontrami con una realtà ucraina diversa da quella di Kiev, fatta di campagne sterminate, di colline dolci, di paesini e villaggi fermi nel tempo attraversati da carretti trainati da cavalli fino alle boscose montagne dei Carpazi. Forse la vera Ucraina, quella di una popolazione di lingua ucraina, nazionalista, con le sue tradizioni molto più vicine alla mittleuropa più che alla Russia. Ma l’Ucraina non finisce mai di stuprimi! In Crimea sono stato catapultato in tutt’altra realtà – sebbene lo sapessi sulla carta. Qui al contrario dell’ovest non c’è quasi traccia di “ucrainicità”, tutto scritto in russo, la gente parla solo russo, addirittura all’interno delle macchine molti espongono la bandierina russa…se non si incontrasse ogni tanto la bandiera ucraina gialla e blu che sventola e non si pagasse con le grivne, direi che potremmo tranquillamente trovarci in una regione della Russia!

Un piacere passeggiare lungo la набережная Ленина (naberezhnaja Lenina – lungomare Lenin), dal Parco Kalinin alla Piazza Lenin dove trionfa ancora la statua dellorgoglioso padre della Rivoluzione d’Ottobre, anche se ora deve condividere lo spazio con un vivacissimo McDonald di fronte. Tra palme, bar, discoteche e chioschetti che propongono suovenir ed escursioni si cammina per circa due kilometri: da una parte il mare col piccolo porticciolo e le minuscole spiaggette ghiaiose, dall’altra parte i bei edifici bianchi restaurati che danno sulla strada, e sullo sfondo le alte montagne rocciose con le vette ancora innevate. Si scorge bene la vetta del monte Ay-Petri (Ай-Петри,1233 m.).


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lungomare



Yalta è davvero bellissima. Certo bisogna comprenderla nella prospettiva di “kurort” sovietico (ora post-sovietico) cioè non bisogna scandalizzarsi nel vedere i rigogliosissimi e verdissimi pendii delle montagne puntellati di “casacce” e palazzoni soviet che come funghi bianchi enormi spuntano dal suolo e mostrano al cielo tutta la loro bruttezza…di contrasto invece è la vecchia Yalta con le sue casette basse semidiroccate di mattoni e legno e le viuzze piccole dove certo la pulizia non è di casa, ma le danno un tocco pittoresco unico! Stupenda è la chiesa di Aleksandr Nevski con le sue cupole dorate.

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Chiesa Aleksandr Nevski.


casetta


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Una intensa emozione mi ha assalito durante l’ascesa in bidonvia che porta dal centro di Yalta fino al belvedere; da una parte un po’ di preoccupazione per lo stato della struttura che tra scricchiolii, ruggine e dondolii strani, dà la sensazione che non sia stata revisionata da decenni; dall’altra per il ricordo di quel “mal’chik bananan” che saliva con la sua bella, della quale si era perdutamente innamorato, e in sottofondo la toccantissima colonna sonora degli Aqvarium…parlo del film “Assa” (Асса) e della dolcissima canzone “Gorod zolotoj” (per chi non l’abbia mai visto, consiglio di vederlo, a me è piaciuto un casino! È uno di quei film sovietici che vedo almeno una volta all’anno! http://www.youtube.com/watch?v=G0F_rFcASRw).


bidonvia



Ciò che colpisce quando dopo aver lasciato l’orrenda Sinferopol’ (capitale della Repubblica Autonoma di Crimea), attraversato il passo e inizato la discesa verso la ЮБК (Южный Берег Крыма – sponda meridionale della Crimea) è la diversità della vegetazione: dagli ulivi, alle rose, ai tassi, a piante di pistacchio, ad abeti, a pini marittimi, a ciliegi, a magnolie…ma sono i vigneti ad impressionare maggiormente. Questa è la zona ucraina più rinomata per i vini (Massandra, Inkermann, Koktebel’), forse più dei Carpazi, anche se le qualità che si producono sono per lo più dolci, liquorosi e da dessert. Tanti appezzamenti di vigneti poggiano sui pendii delle montagne e guardano verso il sole.
La strada che scende a Yalta è un tuttuno di tornanti, ma l’asfalto è in buone condizioni – cosa strana per l’Ucraina. Una nota curiosa: sulla strada Sinferopol’ – Yalta funziona il filobus che percorre la tratta più lunga del mondo, ben 85 km! (io non l’ho provato, ma la prossima volta giuro che lo faccio, hehehe, quasi 3 ore per percorrere 85 km., su un vecchio e sbilenco trollejbus sovietico).


trollejbus



I dintorni di Yalta sono veramente interessanti e qui sì che si respira un po’ di storia, quella degli ultimi due secoli; ma almeno le attrazioni non mancano.
La casa museo di Chekov, con le suppellettili ancora rimaste così come le aveva posate il grande scrittore russo che qui cercava di curarsi dalla tubercolosi e trascorse gli ultimi suoi 5 anni di vita. Molto rilassante è l’atmosfera che si respira in questa dacia immersa nel verde, a due passi dal mare.

Proseguendo verso ovest, sempre zizzagando tra i tornanti e tra un sanatorio e l’altro (i sanatori, così si chiamano, oggi sono tipo alberghi, ma erano dedicati e lo sono ancora alle cure varie per diverse malattie), si raggiunge dopo pochi kilometri il Livadiskij Dvorets (Ливадииский Дворец), un palazzo bianco, anch’esso in mezzo ad un enorme parco dove io ho percepito i brividi della storia. Camminando all’esterno ma soprattutto dentro quelle enormi stanza rivedevo i grandi della terra che nel febbraio del 1945 si ritrovavano per spartire l’Europa del dopo Hitler, della Germania che ormai stava inesorabilmente perdendo la guerra. Grande emozione nel vedere la “sala bianca” col grande tavolo e le bandierine inglese, americana e sovietica che segnano i posti dove si sono seduti Churchill, Roosvelt e Stalin…me li vedevo lì, il “panzone” col sigaro in bocca, il vecchio con un piede già quasi nella fossa e il “baffone” col suo solito pastrano e il berretto in testa, così come nella storica foto appesa alla parete dietro quel tavolo. Qui si sono decise le sorti dell’Europa e la divisione ideologica del mondo post-nazismo.
Che effetto poi salire al secondo piano dove si trovano le stanze con i ricordi della famiglia imperiale dei Romanov e dello zar Nicola II, che qui trascorse solo poche estati, prima di essere arrestato e poi ucciso insieme alla famiglia dai bolscevichi. Grande lusso e splendore, ma anche ricordi di una vita “umana” di vacanza, quella che mostrano le foto dell’epoca della famiglia imperiale che si godeva il riposo del mare… una strana sensazione mi assaliva nel pensare che qui hanno vissuto prima lo zar e la sua famiglia e poco dopo il suo carnefice…


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Palazzo Livadia


Ma l’impatto più suggestivo delle escursioni nella zona di Yalta viene dalla visione del cd. Ласточкино Гнездо (Lastochkino Gnezdo – Nido di Rondine): un piccolissimo castelletto fiabesco posto sul cucuzzolo di un faraglione a picco sul mare. Non vi è nulla di storico in questo edificio costruito nel 1912 da un barone tedesco per la sua amante, per di più che all’interno ci hanno addirittura fatto un ristorante italiano!! Ma l’effetto scenografico è notevole, soprattutto se si arriva – come ho fatto io – dal mare e lo si coglie dal basso, dalla barca. Una volta scesi al molo sotto il castello, ci si inerpica a piedi su delle ripide scale e si arriva al castello.


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Nido di Rondine


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faraglione



Vale la pena visitare anche e il  Воронцовский Дворец (Vorontsovskij Dvorets, che si trova ad Alupka, 15 kilometri da Yalta) e il Массандровский Дворец (Massandrovskij Dvorets, a Massandra, poco fuori Yalta). Il primo è un bellissimo palazzo dell’ottocento costruito per il conte Vorontsov, in stile alnglosassone all’interno e all’esterno bizzarra combinazione di stile arabeggiante da un lato e scozzese dall’altro. All’interno anche qui colpiscono la maestosità delle sale e delle pitture alle pareti; ma l’aspetto più piacevole anche in questo caso è il giardino che circonda l’edificio, pieno di una varietà incredibile di piante e di siepi e la bellissima vista sul Mar Nero.


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Vorontsovski Dvorets



Il Palazzo Massandra non sono riuscito a visitarlo all’interno, perché già chiuso quando sono arrivato, ma è un edificio carino, non grande, situatо sulla collina a pochi kilometri dal centro di Yalta, in mezzo al verde, tanto per csambiare! Qui ci veniva Stalin a passare le estati, e prima, ai tempi degli zar, da Alessandro III a Nicola II, era usata come residenza estiva e punto di partenza per le battute di caccia nei boschi circostanti.


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Massandrovskij Dvorets



Vicino al Palazzo, nel centro del microscopico paesino di Massandra, si trova la fabbrica del vino Massandra, qui si possono degustare i vari tipi di vino. Io ovviamente non potevo mancare la degustazione…siamo lontani anni luce dalla nostra cara Italia, soprattutto dalle mie papille gustative che sono state educate sin da piccolo ai vini secchi, fermi e dal colore rosso rubino; però devo ammettere che anche questi vini dolci, intensi e pastosi sono di qualità e validi, ma se ingeriti in piccole dosi! Dei 10 vini assaggiati, 6 o 7 li ho trovati praticamente identici. Potrebbero essere paragonati ai nostri Moscato o Zibibbo siciliani, ma ancora più dolci!


degustazione



Infine un altro piccolo aneddoto realtivo alla cucina. Proveniente da Kiev tra le cose che più desideravo provare arrivando in Crimea c’era il pesce del Mar Nero; mi aspettavo una grande varietà di prodotti di mare e di pesci, mi immaginavo chioschetti che proponevano shashlyk di pesce alla griglia, antipasti di mare al limone…ahimè anche in questo caso l’Italia è lontana anni luce! Cosa mi trovo in risposta? Carne di montone e zuppette tartare!! Eh sì, perché la Crimea è terra tartara (Batir qui ci sono i tuoi parenti, ehehehe…i Tartari della Crimea!) e come si sa i Tartari sono musulmani e la loro cucina non prevede il maiale bensì carne di pollo e montone. Insomma in riva al mare si mangia shashlyk di montone…che tristezza! Ma con accanimento e testardaggine sono comunque riuscito a soddisfare la mia curiosità – pagandola con lauta ricompensa (ristorantino carissimo!) – e a provare, almeno una sera, una grigliata mista di pesce. Tra i vari tipi di pesce assaggiati sono riuscito a riconscere solo le triglie (qui chiamate barabulka – барабулка); degli altri pescetti ricordo i nomi, ma non ho trovato la traduzione in italiano. Chissà, magari Ludamila o Irina mi possono aiutare a tradurli. Si tratta di sargan (сарган), pelengas (пеленгас) e gorbyl (горбыл). Piatto invece molto comune e veramente delizioso, come antipasto, sono i rapany (рапаны), una specie di mollusco che vagamente ricorda la lumaca.


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Ultimissima nota – dettaglio più che altro per chi vive in Ucraina che ha possibilità di confronto – riguarda i prezzi: Yalta è cara. Ma è cara quanto Kiev. E la qaulità del servzio in generale non corrisponde del tutto ai prezzi che si pagano per averlo. Io ho alloggiato in un appartamento monolocale vicinissimo al lungomare e ho pagato 400 grn. a notte (poco meno di 40 euro), ma ne valeva meno di 20… le escursioni e le entrate ai musei sono sempre intorno ai 20-40 grn. (da 2 a 3 euro); per mangiare bene si sta intorno ai 250 grn a testa (circa 23 euro). Adesso non è ancora alta stagione; da giugno a settembre i prezzi sono più cari.


Un abbraccio al Forum,

Gringox
 




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Post del 16 giugno 2011.


La “mia” Ucraina non finisce mai di stupirmi! Sono reduce da un finesettimana “esplorativo” che mi ha catapultato in un ambiente naturale assolutamente intatto e incredibilmente puro, lasciandomi sensazioni e ricordi bellissimi e forti. Questa volta sono stato nella Bessarabia meridionale (Odesskaja oblast’) – Бессарабия (Одесская обл.) e precisamente nella Riserva naturale del delta del Danubio – Дунайский биосферный заповедник.

Arrivare a Vylkovo (Вилково) in macchina è un’impresa. Gli ultimi 55 km di strada, dopo la deviazione dalla “trassa” principale Odessa-Ismail, sono uno stillicidio di buche di varie dimensioni, di voragini spaccamacchine più o meno profonde che ti costringono ad andare a 30 km all’ora e non di più. Credo di intendermene abbastanza di strade ucraine (sono 6 anni che le bazzico per lavoro!), ma negli ultimi anni un tratto così devastato non ricordo di averlo più incontrato in altre zone del Paese! Ai lati della strada una campagna verde dove si alternano vigneti, frumento, granoturco, fagioli, girasoli e paludi con canneti. Pochissime zone abitate, se si escludono un paio di villaggetti semiabbandonati e un paio di stazioni di benzina fatiscenti. Dopo più di un’ora finalmente giungo a Vylkovo.


ponticello_legno


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La barchetta come mezzo di trasporto cittadino.


fiori

In alcuni canali si possono trovare questi bellissimi fiori acquatici.


Un paese di 10.000 anime, sull’estrema propaggine meridionale della Bessarabia ucraina, lungo la sponda sinistra del Danubio. Qui finisce la strada fatta di asfalto e cominciano i canali, chiamati da queste parti “jerik” (ерик). Sì, perché questo paese è noto – anche se, a dir la verità non sono poi molti quelli che lo sanno! – come la “Venezia d’Ucraina”. Certo è improponibile il paragone con la “vera” Venezia italica, l’unica, l’ineguagliabile, l’aristocratica… questo è un normalissimo paese della campagna ucraina, se non fosse per la peculiarità dei canali che gli hanno appunto regalato quel soprannome. È forse l’odore, il colore verdognolo dell’acqua dei canali, le passerelle di legno e i ponticelli che collegano le case tra loro e più in generale la vita che si incentra sull’acqua, a ricordare vagamente la Serenissima.

Nel piccolo ma nuovo e carino hotel (non c’è manco l’ombra di un turista!) che non poteva altro che chiamarsi “Venetsja” riesco in qualche modo ad accordarmi per l’escursione sul Danubio, per il giorno seguente. Non voglio rivolgermi alle agenzie che propongono tour organizzati; preferisco gestirmela da solo, come piace a me… e così, chiedendo qua e là, arrivo a conoscere Gennadij, colui che ci guiderà sul fiume.


casa_genna


verso_il_danubio


Un brivido di gioia mi assale poco dopo che la stretta ed allungata barchetta di legno (che qui chiamano “chajka” – чайка – “gabbiano”) salpa dal piccolo pontile della casa di Gennadij mentre le braccia si alzano per salutare la moglie e la figlioletta che rimangono in casa; gesti che si ripetono ogni volta che qualche turista curioso si rivolge a lui per l’escursione.
La brezza accarezza i capelli e il sole inizia a farsi sentire, mentre imbocchiamo il canale che ci conduce al Danubio.


nave_su_danubio


Sono nel delta del Danubio! Mentre navighiamo vedo l’altra sponda verde, che pare disabitata, quella rumena, e una nave mercantile dirigersi verso nord, e la mia mente inizia a navigare pure lei, a ritroso, risalendo queste acque e rivedendo le grandi città che sono bagnate da questo meraviglioso ed imponente fiume che attraversa mezza Europa dell’est: Vienna, Budapest, Belgrado…città che io conosco e sui quali ponti ho camminato, ammirando dall’alto questo fiume. Un fiume lungo ben 2900 km di lunghezza che dalla Foresta Nera tedesca scende fino a qui attraversando ben 9 stati europei (Germania, Austria, Slovacchia, Croazia, Serbia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Ucraina). Ed ora sono qui, alla sua foce, e sto per gettami nel Mar Nero insieme a queste acque, per una volta nella vita! E sale l’emozione…


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Lasciamo il ramo principale e viriamo a sinistra, imboccando un canale abbastanza largo, ai lati vedo casette in muratura e legno, ognuna che dà sulla sponda e col proprio piccolo pontile di legno sgangherato. Intorno a queste casette segni di vita confermano che esse sono abitate, si intravedono degli orti, delle gallinelle scorrazzare su e giù, ogni tanto si sente qualche cane abbaiare e poi tante piante da frutto, soprattutto ciliegi e piccoli appezzamenti di viti. Gennadij ci dice che questa gente vive in modo praticamente primitivo: senza energia elettrica né acqua potabile, né fognature. Ed in effetti noto che mancano sia i tralicci dell’elettricità, sia condutture e tubature per gas o acqua. Incredibile! Tra l’altro qui praticamente non funzionano neanche i cellulari; ogni tanto c’è rete e ogni tanto scompare: quei furbacchioni di rumeni – racconta Genna – riescono ad inserirsi nella rete ucraina e parlare gratis! Rimangono qui gli anziani, mentre i giovani di queste famiglie se ne vanno sulla terra ferma, a Odessa, a Kiev o in altre città per studiare e per cercare fortuna.


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Gabbia per seccare il pesce.


Ad un certo punto accostiamo presso una di queste case, si avvicina a noi un uomo dall’età imprecisata, sembra giovane, ma allo stesso tempo porta malissimo la sua età, con quattro denti d’oro in bocca e vestiti strappati addosso, ma simpatico e socievole. Scendiamo dalla barchetta, gli consegnamo un sacchettino di cibaria (del pane, latte e qualcos’altro), scambiamo due chiacchiere con lui, io faccio un paio di fotografie e poi ci rimettiamo in moto verso sud. È un pescatore, ha la casa anche in paese, a Vylkovo, ma vive per lo più qui sell’isola dove si dedica alla pesca e agli orti.


vino


Sulle staccionate intorno alle casette spesso è appeso il cartello “vino” (вино): chi abita questa casa produce vino e lo vende. E Gennadij simpaticamente scherza dicendo che quella scritta “в.и.н.о” (vino) è una parola in codice; essa in realtà ci indica: “вот и наша остановка!” (“ecco la nostra fermata!”); oppure, leggendo la parola al contrario, ovvero “онив”, si tratta di un invito gentile da parte del padrone di casa a fermarsi per bere un bicchiere di vino: “остановись несчастный и выпей!” (“fermati, sfortunato, e bevi!”).
Chiedo a Gennadij se sia possibile trascorrere qualche giorno su una di queste isole nel totale distacco dalla civiltà; mi risponde che basta accordarsi in anticipo e lui può trovare una sistemazione. Ad organizzarsi per tempo poi è possibile mettersi d’accordo coi pescatori e farsi preparare una grigliata di pesce fresco con tutte le varietà di pesce che qui si pescano e degustare un tipo di uhà (уха) che si prepara con i pesci della zona, che è diversa dalla zuppa di pesce classica che si conosce in Russia. Sarà per la prossima volta sicuramente…

Da Vylkovo al c.d. “km 0” (il punto finale in cui le acque del Danubio si mischiano con quelle del mare), ci sono ben 18 km di navigazione. Ad un certo punto la vegetazione improvvisamente cambia.


verso_il_delta


Ci lasciamo alle spalle gli isolotti con le casette e la vegetazione varia e folta, e si apre l’immenso canneto a perdita d’occhio. Stiamo entrando nel vero e proprio parco naturale del delta del Danubio (Дунайский биосферный заповедник). Sopra le nostre teste uccelli bianchi e neri volteggiano nel cielo azzurro e intanto sono sempre più preso a darmi sberle su tutto il corpo per scacciare quei fastidiosissimi e perniciosi mosconi che punzecchiano la mia pelle! Ma non mi rimetto la maglietta, mi voglio godere la brezza e il sole più che posso, anche sopportando quegli insetti malefici…

Mentre navighiamo Genna, come un fiume in piena, racconta curiosità e aneddoti, insomma di tutto e di più su questa parte di Ucraina. Parla di Vylkovo, dice che in tutto il paese ci sono solo 300 macchine (anche se a me è parso che ce ne fossero ancora meno) e 3000 barchette poiché la gente preferisce utilizzare questo mezzo di trasporto, più consono alla realtà locale rispetto alla macchina. E ci sono famiglie che hanno anche più di una “chajka”! Parla del “melting pot” di gruppi etnici che vivono qui: la stragrande maggioranza della popolazione è russa, poi ci sono ucraini, bulgari, qualche rumeno; ma i gruppi più particolari sono i Gaugazi e i Lipovani (Липованы). I primi sono turchi cristianizzati ortodossi, di origini bulgare che finirono in Bessarabia quando la Russia sconfisse la Turchia nella guerra russo-turca del 1806-1812; questi parlano una lingua strana, un misto di turco e russo, e vivono soprattutto in Moldavia (appunto nella loro piccola repubblica autonoma di Gaugazia), ma parecchie unità si trovano anche a Vylkovo e in Bessarabia.


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Antiche icone lipovane su un’isola del delta del Danubio.


I Lipovani, i “vecchi credenti” ortodossi (старообрядцы), coloro che si fanno il segno della croce con due dita (e non con tre come gli ortodossi “classici”) perché – dicono – Gesù impartiva la sua benedizione con due dita; perseguitati da Pietro il Grande per non essersi adattati alle riforme religiose del XVIII sec., furono esiliati da queste parti lungo il Danubio e da allora vivono qui. La chiesetta di San Nicola a Vylkovo è una chiesa lipovana. La Bessarabia meridionale in effetti fu terra dell’Impero Ottomano, e poi di quello russo, fino ad essere inclusa nella Romania nel periodo tra le due guerre mondiali e poi finire nell’Urss ed ora nell’Ucraina; ed ecco che si spiega questo miscuglio di etnie. È curioso come ancora oggi siano rimasti al di là del fiume, in terra oggi rumena, tre villaggetti russi, dove la gente tuttora parla in russo…

Gennadij poi racconta della sua vita che, a parte una parentesi di lavoro dai parenti a Krasnoyarsk, è sempre stata legata a questo angolo di mondo.
Parla della flora e della fauna che abitano questa terra… insomma questa è la patria per pescatori, ornitologi, naturalisti. Ci sono talmente tanti tipi di pesci e uccelli e piante che manco lui sa chiamarli tutti per nome. Tra le piante che riconosco vedo i salici e i pioppi. Racconta a questo proposito di un aneddoto risalente a qualche tempo fa, quando chissà come e da dove siano spuntati, in questi canali del delta sono stati pescati degli storioni (beluga e sevruga) tipici pesci del Mar Caspio e ci hanno pure ricavato del prezioso caviale nero. Altri pesci che si trovano in abbondanti quantità sono i carassi, le carpe, le anguille, i pesci gatto, la “mitica” aringa del Danubio (дунайская селедка).


uccelli


La specie di uccelli più famosa che si può incontrare sono i pellicani bianchi; anzi si dice che qui viva la più grande comunità di pellicani del mondo in pianta stabile. Occorre un pò di fortuna per vederli da vicino, io sono riuscito a scorgerli in lontananza, intravedendo i loro becconi gialli; più semplice invece incontrare e sentirne il cacofonico starnazzare cigni, sterne, cormorani, oche ed anatre selvatiche e quei grossi uccelli neri di cui ho già scordato il nome, che possono gettarsi in acqua per cacciare le prede e restare sott’acqua anche fino a 40 secondi. Oltre ovviamente a gabbiani e avvoltoi.


km_0


io_e_km_0


cartello_riserva_naturale


Eccoci al “Km 0”: una grande emozione toccare con mano questo curioso monumento, tanto per cambiare di eredità sovietica, che segna il momento in cui le acque del Danubio, dopo ben 2900 km entrano e si confondono con quelle del Mar Nero. Giusto per togliermi la soddisfazione di averlo fatto al “Km 0”, approfittando del caldo, mi butto in acqua e mi faccio un bel bagno: l’acqua in questo punto non è né completamente dolce né ancora salata.

Rientrati a casa, non ci lasciamo ancora con Gennadi. Non si può rifiutare l’invito a degustare un pò di suo fresco vino rosso. Bere il vino da queste parti può essere un’esperienza pericolosa. Si tratta di un vino fresco, giovane, secco (non dolciastro come quello della Crimea), dal colore rosso rubino, morbido e dal leggero retrogusto di fragola, poiché l’uva ricorda un pò la nostra uva fragola. Insomma un vino che apparentemente ha la gradazione del nostro novello (12° circa). Giusto per la cronaca qui lo chiamano novak (новак, новочек) e lo producono per sé praticamente tutte le famiglie. Per l’uso quotidiano lo conservano in secchi e lo versano nel bicchiere con un mestolo. Il bicchiere – che poi è il bicchiere per l’acqua e non il calice per il vino – te lo riempiono fino all’orlo; poi si beve a sorsi grossi, quasi come se si stesse bevendo acqua o un succo, e in breve zacchete, ti sei già scolato il primo bicchiere, quasi senza accorgerti. Ovviamente si prosegue, ti versano il secondo, poi il terzo… questa usanza mi ricorda tra l’altro il Caucaso, la Georgia in particolare, anche lì bevevano il vino come se fosse acqua. Il risultato: in pochi minuti la testa inizia a girare, anzi, come dicono da queste parti, la testa continua a pensare e a ragionare, ma le gambe pian piano diventano pesanti fino a non riuscire a muoversi, a camminare (голова соображает а ноги не ходят…). Poi come d’incanto, dopo un paio d’ore, la sbornia passa e resta il bel ricordo della simpatica bevuta in compagnia. Sarà forse l’aria del Danubio, ma giuro che capita proprio così!

Finisce così un’altra mitica avventura del Gringox d’Ucraina! Prima di salutarci con Gennadij e con la sua famiglia (e di saldargli il conto di ben 850 grn. per l’escursione, che tra tutto è durata quasi una giornata intera!), gli compro una bottiglia di quell’ottimo “novak”, così che una volta rientrato a Kiev, degustandolo, possa ricordarmi di lui e di questo angolo di paradiso, dove sono sicuro di tornare ancora…


Gringox
 




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Vacanza di Crimea – agosto 2011.


Новый Свет (Новий Світ) – Novij Svet (Nuovo Mondo).

Che la Crimea fosse una terra stupenda me ne sono già accorto nella mia prima sortita a Yalta, in aprile di quest’anno. Abituato come sono all’ovest Ucraina, alla sua inconfondibile identità nazionale e ucrainicità profonda, in Crimea vengo catapultato nell’altra direzione. Qui tutto sa di Russia, a cominciare dalla lingua parlata dalla gente locale (tatari e russi) e dai turisti, praticamente tutti russi, fino a quelle piccole situazioni che tendono a rimarcare un senso di appartenenza radicato che la gente non ha alcuna intenzione di tranciare (bandierine russe sui cruscotti delle macchine, insegne scritte in russo, bandiere russe sventolanti fuori dai locali, macchine dei vacanzieri in maggioranza targate RUS, cucina per lo più legata alla tradizione russo-tatara e dell’Asia Centrale).

Ma Novij Svet non è Yalta. Là lo struscio, l’apparenza, il desiderio di farsi notare, le discoteche, la gioventù rampante e i figli degli oligarchi, le boutique, gli yacht, gli hotel di lusso; qui la pace, la tranquillità, la gente che a torso nudo e in ciabatte si cucina shashlyk a casa e trascorre il periodo di vacanza facendo una vita spiaggia-casa-spiaggia, senza darsi ai divertimenti notturni vari, che qui tra l’altro mancano; dunque tante famigliole con bambini e pochi sbarbati in cerca di avventure estive…


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Il monte Orel.


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Il monte Sokol.


Novij Svet non è altro che una piccola baia dominata ai lati dal monte Koba-Kaja (che in lingua tatara significa “orel” - aquila) e dal monte Sokol alto 472 m.; due panettoni rocciosi dalle forme vagamente richiamanti quei rapaci di cui portano il nome (aquila e falco). Il paesino si estende a semicerchio tra questi due monti, lungo il pendio dolce nell’inclinazione, ma aspro nella vegetazione, ricoperto di boschetti radi di pini marittimi, ginepri, pistacchi, mirti e altre varietà di cui ignoro il nome; visto dal mare appare come un tappeto ondulato e irregolare dove il verde degli alberelli si alterna al color paglia giallastro della terra secca per culminare ai lati nel grigio della roccia che potrebbe essere tranquillamente di tipo dolomitico. Dove le montagne si gettano nell’acqua diversi dirupi a picco sul mare e calette deliziano la vista di chi le osserva.
Da “vecchio” scalatore non nascondo la tentazione di potermi cimentare in qualche intrigante arrampicata, ma ahimè non ho più né l’allenamento né la dimestichezza di una volta e il “peso” degli anni e della pancetta si sente già da tempo.

Il paesino di Novij Svet è minuscolo: un paio di filari di grigi “pjatietazhki”, orribili come al solito, con tanto di facciate scorniciate e di panni appesi alle finestre da una parte; un alto hotel – pure in stile soviet – con l’immancabile forma quadrata e di colore bianco dall’altra, e in mezzo ad essi una miriade di casette sparpagliate nel bosco senza ordine, alcune sopraelevate, di diversa fattura; alcune di legno, altre di mattoni, altre ancora di lamiera che sembrano baracche, collegate tra loro da sentierini mezzi asfaltati e mezzi sterrati, sconnessi e pieni di buche, che se non si sta attenti a come si cammina, si rischia di prendere una storta. Ma è davvero pittoresco! Molte di queste casette hanno un piccolo appezzamento di terreno intorno che viene addobato con fiori variopinti, talvolta con piccoli orti, e tutte con la cisterna sopraelevata e arrugginita per l’acqua.
Ogni tanto, mentre si passeggia nel parchetto respirando il profumo dei pini marittimi, si può scorgere un’orribile serpentina di tubi gialli sopraelevati, anch’essi mezzi arrugginiti, che a volte ti corrono ai lati, quasi nascosti tra gli alberi, altre volte ti passano sopra la testa a mò di ponte, e smistano il gas – credo – o l’acqua, per tutto il paese. Eredità del tempo soivietico in cui si usava esporre le tubature all’esterno, per comodità nel caso di riparazione di qualche guasto.

Infine la nota dolente della spazzatura: pochi cestini, sempre pieni zeppi; di tanto in tanto, mentre si passeggia, qualche folata puzzolente annuncia che si sta passando vicino ad un container di ferro aperto con la scritta “musor” in vernice, dove vengono gettati i sacchi delle immondizie. E non è difficile, ahimè, trovare sul proprio passo sporcizia di vario genere abbandonata così, all’aria aperta, soprattutto bottiglie di plastica.

La sera il buio totale. Solo nella centrale ul. Golitsyna qualche lampione illumina con luce flebile la strada; ma dal lungomare risalendo verso le proprie abitazioni non c’è assolutamente illuminazione se non quella proveniente dalla luna e del cielo stellato…sempre bello il cielo di notte al mare, con il carro maggiore che si staglia limpido e maestoso…


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La casetta della vacanza.


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Il sentierino che conduce alla casetta.


La casetta dove alloggio è una sistemazione niente male. Di due piani, io sto al piano superiore. Una soluzione non molto economica (560 grn. al giorno, ma la Crimea in generale è cara!), ma in circa 40 m2 c’è tutto ciò che serve per una vacanza al mare; fatta in legno e carina esteticamente: una semplice cameretta con un lettone comodo, un degno bagno spazioso, con doccia e acqua calda sempre (questo particolare non è da poco, perché non in tutti gli appartamenti qui c’è sempre l’acqua calda) e un largo balcone che fa anche da cucinotto, con stufetta a gas e frigorifero, chiuso ai lati da sottili pareti di legno forate sulle quali si avvinghiano piante rampicanti, che danno l’idea di essere all’interno di una veranda, lasciano filtrare la luce del sole, evitano che il locale si riempia di mosche e zanzare e consentono di intravvedere il mare poco più giù.
Ovviamente qui è tutto incendiabile e misure antincendio non esistono…

Queste casette, come tutte le altre intorno, sono per lo più su due piani, immerse nel verde e collegate tra loro da sentierini in cemento; alcune hanno un giardinetto privato, altre no; praticamente fuori da tutti gli usci si trova un “mangal” perché qui la gente in vacanza ama prepararsi succulenti shashlyk e gustarseli in casa.

Si tratta di casette per le vacanze, credo che d’inverno esse siano praticamente disabitate, infatti non vedo impianti di riscaldamento. Molto spesso si incontrano cartelli appesi alle pareti con la scritta “zdaetsja zhilje” (здается жилье) e col numero di cellulare, significa che sono libere al momento. In effetti non c’è questo gran pienone di turisti.


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Le baracche vicino alla spiaggia.


In ogni caso a me è andata meglio di altri! Scendendo verso la spiaggia si vedono diverse baracche di lamiera – perché non si può far altro che chiamarle col proprio nome “baracche”, dove la gente alloggia tranquilla e trascorre la propria vacanza! Non immagino il caldo che si respira la dentro…


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La spiaggetta e sullo sfondo il monte Sokol.


La spiaggetta è corta, libera diremmo noi (cioè gratuita) e gremita di gente; pochi ombrelloni aperti e poche sdraio – queste sì sono a pagamento (40 grn./giorno). Arrivare verso le 10.30 – 11.00 di mattina significa non trovare un buco libero dove stendere il proprio asciugamano, e dover percorrerla su e giù un paio di volte almeno prima di rassegnarsi ad una sistemazione stretta, praticamente appiccicato a qualche vacanziero già svaccato da tempo sotto il sole. Quella stessa gente che arriva presto la mattina ad occupare il posto sulla spiaggia è la stessa che poi, verso sera, ordinatamente sta in fila ad aspettare la marshrutka che la riporta a Sudak o a Feodosja; dopo un paio di giorni capisco il sistema: questi turisti (poco) furbi vengono da altri paesi della zona costiera per trascorrere qui la giornata, perché il posto è più bello, e la sera se ne tornano da dove sono venuti. Dovreste vedere che file per attendere la marshrutka…roba da pazzi, anche in vacanza! E la sera il paesino di Novij Svet si svuota e sul lungomare poca gente passeggia.

La sabbia non è proprio finissima, ghiaietta e sassi più grossi rendono il camminare sulla spiaggia non tanto piacevole per i piedi, oltre al fatto dello zigzagare tra le persone sdraiate.
La ricerca del posto dove piazzarsi deve essere accurata, da evitare assolutamente di posizionarsi vicino al tipo che bofonchia col megafono ogni 4 minuti, con voce pastosa e sbiascicata, interrompendo la placida quiete nella quale si vorrebbe riposare, che invita i bagnanti a provare le attrazioni locali: il “bananchik” e la “shajba” (шайба – il “dischetto” dell’hockey su ghiaccio). Il primo è una specie di gommone giallo, a forma appunto di banana, dove otto persone, quattro su un bordo, e quattra sull’altro, dopo essersi seduti a cavalcioni vengono trascinati dal motoscafo al quale il gommone è legato da una corda, che a tutta velocità si proeitta in mare aperto facendo virate e giri bizzarri, provocando urla di divertimento da parte dei fortunati che si vedono saltare su e giù per le onde. La “shajba” o “dischetto”, si basa sullo stesso principio del “bananchik”, solo che invece di ospitare più persone, si tratta di un gommone rotondo a due posti, e qui l’emozione è garantita. Ti senti “bistrattato” e scaraventato a forte velocità sull’acqua da una parte e dall’altra, col gommoncino che schizza sull’acqua, salta, si piega, rotea, e tu devi tenerti forte alla maniglia sui lati per mantenere l’equilibrio ed evitare di ribaltarti in mare. Roba un po’ da luna park, ma, dopo averlo provato, confermo che è assai divertente.
Tra le altre cose, anche qui come in Italia ci sono i pattini (pedalò o mosconi, come la gente li chiama da noi). Credo che questi abbiano almeno 30 anni, a giudicare dal loro aspetto; eppure son lì e la gente li noleggia più che volentieri. A fianco del pattino retrò, si trovano le moderne e tecnologiche moto d’acqua Yamaha, che ogni tanto si notano sfrecciare nel mare.


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Ad un’estremità della spiaggia c’è il pontile dove sono ormeggiati diversi motoscafini: qui ci si può mettere d’accordo per fare escursioni marittime lungo la costa.

Se durante il riposo in spiaggia, tra un bagno in mare e una dormitina sotto il sole caldo, ma non concente, si percepiscono gli stimoli della fame c’è solo l’imbarazzo della scelta. A poterli soddisfare giungono con quasi regolare frequenza, preannunciati da voci cantilenanti, ma mai invasive, vari tipi di aperitivi: “svezhaja rybka, vjalenaja, kopchenaja rybochka” (“pesce fresco, secco, affumicato pesciolinooo”), “kukuruza varennaja” (“pannocchia bollita”), “krevetki, midii, rapany” (“gamberetti, cozze, rapany”), “malinka vitaminka, ezhevika lesnaja” (“lampone vitamina, mora di bosco”), “blinchiki s mjasom”. Nei miei ricordi d’infanzia e di adolescenza delle spiagge riminesi dove per anni trascorrevo tutto il mese di luglio, c’era il negretto di turno che girava col cocco o con souvenir vari e che in modo insistente e stressante cercava di propinarti la sua merce facendo il simpatico…qui sono volenterosi ragazzetti locali, o “babushki” che per arrotondare la misera pensione preparano a casa queste pietanze e poi le offrono in spiaggia ai bagnanti. Certo la visione di quei pescetti affumicati, striminziti e penzolanti, potrebbe far andar via l’appetito a qualcuno, ma con una fresca birra si gustano che è una meraviglia!

Un’ultima annotazione a proposito della spiaggia: non si vedono guardie costiere o bagnini da nessuna parte.


Il piccolo lungomare ha un che di retrò e la cosa lo rende più “vero” e divertente, e un po’ kitch. Se la spiaggia è al livello del mare, il lungomare corre parallelo ad essa, ma al piano superiore. Lungo tutta la spiaggia, in diversi punti, alcune sgangherate scalette a volte metalliche in altri casi di cemento, conducono al livello del lungomare. Aiuole ben curate con fiori colorati abbelliscono l’ambiente tutt’intorno. Passeggiando su e giù per il lungomare si incontrano diversi locali, carini, dove si può mangiare shashlyk o bere una birretta.


aptechnij_kiosk
Aptechnij kijosk.


Chioschetti ovunque, alcuni propongono souvenir vari o abbigliamento e accessori da mare e da spiaggia, altri sono residuati soviet come l’ “aptechnij kiosk” o la bancarella che vende birra alla spina e “limonad” di marca “Krym”. Noto che va moltissimo il kebab. Ma se si ha intenzione di consumare un più degno pasto, si può provare in uno dei tanti ristorantini sistemati lungo la strada, alcuni sporgenti verso il mare e poggianti su colonne a mò di palafitta, altri orientati a monte.


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Al ristorantino Paradiz, sorseggiando dell’ottimo vino bianco “Meganom”, io…


pesciolina
…e la “pesciolina”.


Io mi sono trovato bene al “Paradiz”, e come mio solito, se mi trovo bene in un posto, difficilmente lo cambio. E così qusto Paradiz è stato il ristorantino della vacanza dove mi sono tolto tutti gli sfizi e le mie curiosità enogastronomiche.


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Samsa “incollate” sulle pareti interne del tandyr (stufa) mentre si cuocciono.


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Uhà – la zuppa di pesce.


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Chernomorskaja kefal’.


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Il mio piatto preferito: l’antipasto di rapany con cipolline e pomodorini soffritti.
 

Dalla samsa il cui impressionante modo di cottura cattura la mia attenzione (самса – specie di panino ripieno con carne trita di montone e cipolla, tipico della cucina dell’Asia Centrale e tatara), all’uhà (уха) con vari tipi di pesce; dalla shurpa (шурпа – zuppa con carne di montone) al shahlyk di “baraninoe mjaso”; dalla lipjeshka ustionante in puro stile uzbeko (лепешка – pane rotondo cotto nel tandyr, una specie di forno a legna, tipico della cucina dell’Asia Centrale e tatara), ai chebureki ripieni di carne, al shashlyk di pesce di “chernomorskaja kefal’” (черноморская кефаль)…ma il piatto che non manca mai è l’antipastino di rapany (рапаны) con cipolline e pomodorini soffritti.
Ovviamente mi dò alla degustazione ogni volta di un vino diverso, poiché la Crimea, e in particolare questa zona, è rinomata per una produzione interessante sia di shampanskoe, ma anche di vini secchi bianchi e rossi; qui è famoso il bianco Meganom della “Solnichnaja dolina” (Меганом – Солнычная долина), che ricorda molto il pinot chardonnay.

Il lungomare e la spiaggia sono nel complesso puliti, anche se i cestini sono sempre zeppi di spazzatura.


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Il sentiero Golitsyn.


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Il sentiero Golitsyn visto dalla baia blu sovrastata dal monte Orel e sullo sfondo, in lontananza, il promontorio Meganom (che dà il nome al vino di cui ho parlato).


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Il sentiero costiero ideato e realizzato dal conte Golitsyn nel XIX sec (Голицынская тропа) è un’esperienza che non lascia indifferenti, e per le visioni di paesaggi mozzafiato e per il fiatone che ti porti a dietro per tutti i 2,5 km del percorso su e giù per le rocce a picco sul mare. Fa parte della piccola riserva naturale di Novij Svet e inizia poco sopra il lungomare, alle pendici del monte Orel, inerpicandosi prima a picco sul mare, poi pian piano aggirando il monte Orel, per finire  nuovamente in paese, ma nella parte superiore, vicino al mercato.


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La baia blu (sinjaja buhta).


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La vista della “spiaggia dello zar” (tsarskij pljazh) dal sentiero Golitsyn. La spiaggia è chiusa ai bagnanti affinchè si conservi pulita…così mi pare di aver capito!


Nella prima parte si passa dalla veduta della baia verde (зеленая бухта), a quella della baia blu (синяя бухта), fino alla meravigliosa “tsarskij pljazh”, tra calette, spuntoni, rocce emergenti dal mare e formanti piccoli isolotti e passaggi stretti e scivolosi a strapiombo sul mare. In questa prima parte c’è una componente di pericolo non indifferente a causa del terreno ghiaioso, sconnesso e non sempre protetto del sentierino che, a tratti, è a picco sul mare.
Nella seconda parte del percorso si cammina nella “mozzhevelovaja rosha” (можжевеловая роща), il boschetto di ginepri, dove si incontrano alberi di vario tipo e si mischiano i profumi di resina, di erba secca, e di mirto. Sì, perché con mia grande sorpresa riconosco tra queste piante il mirto, ed i rametti con le bacche blu scure e profumate mi riportano alla mente l’etichetta dello “Zedda Piras”; ed io che pensavo crescesse solo in Sardegna…ahh, se qui la gente sapesse che ottimo digestivo si potrebbe ricavare dalla lavorazione di queste bacche!

Ad un certo punto, quando il mare ormai sparisce dietro il bosco che diventa sempre più fitto, girando lo sguardo verso destra ci si trova alle pendici del monte Orel e da qui si dirama una specie di sentierino che si inerpica verso la montagna. Questa volta il pensiero del “vecchio” Gringox alpinista si fa sempre più penetrante e la curiosità e la voglia di sfida prendono il sopravvento. Obiettivo: vetta del monte Orel! L’ascesa è ripida e ansimo pesantemente ma non mollo. Il livello di difficoltà è tra il facile e il medio-facile, nulla di impossibile; ogni tanto faccio uso delle mani, ma per lo più bastano le gambe. Man mano che salgo si fa più rada la vegetazione e la roccia prende il sopravvento.


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Il Gringox in cima al monte Orel.


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La vista della baia e sullo sfondo il paese di Sudak (che dista 7 km. da Novij Svet).


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Le rocce a strapiombo sulla baia blu.


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Novij Svet dall’alto.


In poco meno di mezz’ora raggiungo il crinale della cima: qui un gruppetto di ragazzotti con delle guide fotografa a più non posso tutt’intorno. E ne hanno ben d’onde! Il paesaggio da quassù è mozzafiato e un accenno di vertigine mi assale. Si vede tutto a 360°: il paese di Novij Svet, più in là il paesone di Sudak, sotto di me la baia blu e il mare aperto, poi la “tsarskij pljazh”, e infine il pendio che domina Novij Svet con la sua boscaglia. Mi siedo una decina di minuti, riprendo il fiato e scatto qualche foto. In breve poi, saltellando nel mio vecchio stile di “cavallo pazzo”, tra una roccia e l’altra, mi ritrovo a valle e riprendo il sentiero Golitsyn che mi riporta in paese. Da qui, attraverso il piccolo mercato, rientro a casa.


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L’ingresso della fabbrica dello “shampanskoe” Novij Svet.


Novij Svet: lo “shampanskoe”. In passato tra le mie bevute nelle terre russe ricordo di avere già avuto l’onore di bere uno champagne etichettato “Novij Svet”, ma prima d’ora non avevo mai riposto grande attenzione alla provenienza di tale prodotto. Tra l’altro non ricordo neppure se lo avessi o meno apprezzato. Una cosa è certa: qui a Novij Svet esso non passa inosservato! Tutto fa parlare di questa marca antica di shampanskoe, e del suo fondatore, quel conte Golitsyn del sentiero, che iniziò l’attività produttiva nel lontano 1878: c’è la piccola fabbrichetta che funziona ancora col metodo tradizionale, c’è il carinissimo museo dello Shampanskoe, con foto d’epoca, colezione di bottiglie e una cantina spettacolare dove si può partecipare ad una vera e propria degustazione di 6 diversi tipi di champagne; ai “firmennie magaziny” sparsi per il paesello dove non solo si possono acquistare le bottiglie, ma lo servono pure alla spina, in quantità varia, così che poi lo si possa portare in spiaggia e degustare tra un bagno e l’altro. Non è uno scherzo, vedo coi miei occhi tanta gente bere allegramente shampanskoe in spiaggia come fosse acqua o te freddo o birra…


bottiglia_novij_svet
“shampanskoe” polusuhoe krasnoe (champagne semidolce rosso).


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La selezione di bottiglie storiche Novij Svet.


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La pittoresca degustazione, all’interno del “podval” del museo, con tanto di stacchetti musicali a suon di violino tra un assaggio e l’altro.


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Che dire: ci sono delle varianti di brut extra dry, e di semi-secco, sia bianco che rosè, che sono eccezionali! Tra l’altro scopro una cosa curiosa: il mitico “Sovetskoe shampanskoe” che da Kaliningrad a Sakhalin, passando per Ucraina, Moldavia, Asia Centrale e Caucaso, si beve tuttora e trova grande riscontro di piacere soprattutto tra il gentil sesso russo, è stato in tempo sovietico prodotto in questa fabbrica. In seguito il marchio “sovetskoe shampanskoe”  è stato applicato a produzioni di altre fabbriche sparse un po’ in tutti i Paesi dell’Unione e la qualità è andata sempre più peggiorando, tanto che si parla di “shampanskoe” fatto con la polverina.


Fortezza di Sudak (Судакская крепость – Генуэзкая крепость; fortezza genovese). Pochi forse si ricordano dai tempi della scuola in cui si studiava il buio medioevo, quando ancora l’Italia unita era assai lontana a divenirsi, che esistevano le potenti repubbliche marinare. Tra queste Venezia e Genova la facevano da padrone e si spartivano a fasi alterne la dominazione sui mari allora conosciuti e fondavano colonie commerciali, confrontandosi nel caso del Mar Nero, a volte alleandosi, altre volte scontrandosi coi Bizantini, coi Khan dell’Orda d’Oro fino ad essere totalmente eliminate dal gioco con l’avvento dei Turchi Ottomani negli anni 70 del XV sec.


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L’ingresso nella cittadella fortificata.


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Le mura che conducono in alto fino alla torre Dozorna.


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Oltre le mura, al di sotto, la baia di Sudak.


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Le mura lungo il crinale della montagna.


Non nascondo una vera emozione nel toccare le pietre del XIV sec., che hanno un sapore italiano, posate da quei nostri lontani antenati genovesi, giunti fino a qui, che fortificarono l’antica cittadella di Soldaia (oggi appunto Sudak) ed ersero la fortezza intorno al 1365, struttura che controllarono per poco più di un secolo. Mentre cammino all’interno della fortezza, le cui mura si sono conservate in un discreto stato, penso che qui sette secoli fa mercanti, navigatori, avventurieri e coloni conducevano una vita frenetica in un contesto multietnico variopinto: veneziani prima, genovesi poi, armeni, greci, ebrei, bulgari, tartari musulmani…ogni comunità aveva un suo luogo di culto e un piccolo quartiere a sé, e tutti vivevano insieme, ma isolati e parlavano diverse lingue, anche se quelle ufficiali restavano il latino, il greco e il tataro.


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L’ascesa verso la torre Dozorna.
 

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Il territorio della cittadella vista dall’alto. Le tende bianche sono quelle degli organizzatori del festival medievale.


vista_dall_alto
Oltre le mura, il dirupo a strapiombo sul mare.


Non è agevole né veloce l’arrampicata lungo il pendio scosceso che porta alla torre più alta (Дозорная башня – torre Dozorna), ma la soddisfazione è grande nel vedere il meraviglioso panorama da quassù. E ancora una volta torno a riflettere sulla caparbietà e l’abilità di quei genovesi che ebbero la forza di erigere una così imponente struttura. Il bello è che non esiste un unico percorso, tracciato, lungo il quale i visitatori dovrebbero attenersi per l’ascesa, bensì ognuno sale come gli pare ed è quindi curioso vedere miriadi di turisti che dappertutto avanzano verso la cima e la torre più alta in modo sparpagliato e disordinato.

Alla fortezza di Soldaia ha ancora più senso capitarci – come è avvenuto nel mio caso – in occasione del festival medievale che si svolge in diverse date durante tutto il periodo estivo. In sostanza si ha la possibilità di partecipare ad una manifestazione un po’ bizzarra in cui strani personaggi di diverse epoche storiche si incontrano: dai pirati, ai cavalieri medievali, ai mujaheddin con tanto di keffiah al collo (che non so come facciano a resistere sotto i 30° e il sole!) e con kalashnikov nelle braccia, ai caschi blu dell’ONU…e si ha la fortuna di essere spettatori di una riproduzione teatrale viva con tanto di battaglia tra cavalieri di opposte fazioni vestiti con armature, elmi, brandenti spade e scudi che si menano per davvero sollevando polveroni di terra durante i combattimenti; da una parte quelli che tentano di difendere delle mura di legno erette per l’occasione, che lanciano dardi veramente infuocati, e dall’altra coloro che cercano di sfondarle a suon di spallate! Ogni tanto vieni letteralmente scosso dai colpi a salve dei fucili sparati da uomini delle due fazioni, che ti frantumano le orecchie, ma che ti coinvolgono nel contesto e ti tengono appiccicato fino alla fine per vedere chi ne esce vinvitore.
Un’esperienza davvero intrigante!


La mia breve vacanza di Crimea giunge al termine. Soddisfatto per questi giorni sereni trascorsi completamente “alla russa”, riprendo il lavoro kievliano, ma con la consapevolezza che la scoperta della Crimea non si ferma; dopo Yalta, Novij Svet e Sudak altri angoli devono essere ancora esplorati…


Gringox
 




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