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Messaggio Posto un articolo interessante di Samir Amin sulla Russia 
 
[b:9298e969da]Cari amici, un articolo interessante di Samir Amin tratto dalla Rivista de "il manifesto" numero  56  dicembre 2004[/b:9298e969da]


[color=blue:9298e969da]Dall'Urss a Putin

LA RUSSIA DI OGGI
Samir Amin  [/color:9298e969da]


Per evitare un equivoco su un tema assai importante, voglio francamente dire che la lettura offerta dal mio vecchio amico Samir, in alcuni aspetti (la Rivoluzione di Ottobre: evoluzione, involuzione, degenerazione, crisi e lascito), questa volta non mi convince. Tuttavia pubblico per intero il suo saggio, e lo ringrazio per avercelo proposto, non solo perchè nel complesso è stimolante e serio. Ma anche perchè quanto alla storia lontana, si sforza di distinguere il grano dal loglio, senza reticenze assolutorie nè rozze liquidazioni; quanto al presente e al prossimo futuro, con equilibrio e citando fatti, cerca di unire pessimismo dell'intelligenza e ottimismo della volontà . Un lavoro che oggi scarseggia, e che noi ci proponevamo e ci proponiamo di fare (l.m.).

In un articolo precedente (La Russia nel sistema mondiale: geografia o storia?, in: Le sfide della mondializzazione, 1996 1) avevo proposto la mia ipotesi del ruolo che lo spazio eurasiano (dalle frontiere della Polonia alla Cina) aveva occupato nelle varie fasi della formazione del sistema mondiale e, in questo quadro, avevo definito le sfide lanciate dall'impero russo e successivamente dall'Unione Sovietica. In questa sede analizzo invece le sfide che la Russia post-sovietica si trova ad affrontare. Di fatto, le trasformazioni subite dalla Russia nel corso degli ultimi quindici anni, per quanto grandi possano apparire, non sono assimilabili a una `rivoluzione' (o a una `controrivoluzione'), ma esprimono l'accelerazione delle tendenze profonde che operavano già  a partire dagli anni Trenta nello stesso sistema sovietico.
Su questo argomento non mi limiterò a constatare che la società  sovietica non era già  (o non era più) `socialista' (mi riferisco al socialismo degli autori della rivoluzione del 1917), ma rappresentava una forma particolare di capitalismo (che possiamo sintetizzare nella formula `capitalismo senza capitalisti') destinata a diventare un capitalismo `normale' (cioè con i capitalisti). Del resto, questo è il progetto della nuova classe dirigente (essa stessa proveniente dalla precedente), anche se il sistema creato è ben lontano dal realizzare il progetto in questione. Spingerò più avanti la mia analisi a esaminare i caratteri del sistema sovietico (come sistema sociale, sistema di potere e modo di integrazione nel sistema mondiale), e della loro parziale persistenza in forme degradate nella nuova Russia.

1. Le caratteristiche fondamentali del sistema sovietico


Possiamo definire il sistema sovietico sulla base di cinque caratteristiche fondamentali: il corporatismo, il potere autocratico, la stabilizzazione sociale, il distacco dal sistema capitalistico mondiale e il suo inserimento in quest'ultimo come superpotenza. Il concetto di `regime totalitario', così com'è presentato dal discorso ideologico dominante, è sterile e incapace di descrivere la realtà  della società  sovietica, dei suoi modi di gestione e delle contraddizioni che hanno guidato la sua evoluzione e le trasformazioni in corso.
I. Un regime corporatista

Con questo termine intendo riferirmi al fatto che la classe operaia (che avrebbe dovuto diventare `dirigente') aveva perduto la sua coscienza politica unificatrice, sia per effetto delle politiche adottate dal potere sia per le condizioni oggettive create della rapida crescita dei suoi effettivi prodotta dall'industrializzazione accelerata. I lavoratori di ogni impresa - o gruppo di imprese riunite in un kombinat - costituivano con i loro quadri e direttori un `blocco' socio-economico e difendevano insieme il loro posto nel sistema. Questi `blocchi' si confrontavano gli uni contro gli altri a tutti i livelli: nei `negoziati' (`contrattazioni') fra i ministeri e i dipartimenti del Gosplan o nei rapporti quotidiani con le imprese degli altri kombinat. In questo sistema corporatista si inserivano i sindacati, ridotti alla gestione del lavoro (condizioni di lavoro) e dei vantaggi sociali dei lavoratori.Il corporatismo svolgeva alcune funzioni decisive nella riproduzione del sistema. Costituiva un duplice sostituto: (i) della `redditività ', che nel capitalismo comanda le decisioni finali degli investimenti; e (ii) del mercato, che definisce - sempre nel capitalismo - i termini mediante i quali sono determinati i prezzi. Il corporatismo rappresentava quella realtà  che `la pianificazione' nascondeva con le sue pretese di far prevalere una `razionalità  scientifica' nella gestione macroeconomica del sistema produttivo.
Il corporatismo metteva in risalto le dimensioni regionali dei negoziati/contrattazioni dei blocchi concorrenti. Ma questo regionalismo non aveva come fondamento la diversità  `nazionale' (come avveniva nella Jugoslavia federale di Tito). I rapporti fra la Russia - la nazione più importante da un punto di vista quantitativo e storico - e le altre nazioni non erano rapporti `coloniali'. Lo testimoniano i flussi di redistribuzione degli investimenti e dei vantaggi sociali compiuti in favore delle regioni periferiche e a scapito dei `russi'. A questo proposito non possiamo accettare i luoghi comuni che assimilano l'Urss a un sistema `imperiale' con la Russia che domina le sue `colonie interne', nonostante il sentimento di `primato' (e talvolta l'arroganza) della nazione russa. àˆ probabile quindi che i paesi baltici si renderanno conto di aver barattato la vantaggiosa posizione di cui godevano nell'Unione Sovietica con una situazione da dominati nell'Unione europea! Allo stesso modo i popoli caucasici e dell'Asia Centrale, dopo aver perso i poteri negoziali che avevano nell'Urss, scopriranno probabilmente di essere trattati come semplici colonie dagli occidentali! In realtà  questi regionalismi riguardavano solo piccole regioni (all'interno delle repubbliche di appartenenza), con interessi comuni da difendere in un sistema globale che assicurava un'interdipendenza disuguale (nonostante il discorso razionalizzante del Gosplan).

II. Un potere autocratico

La scelta di questa parola non vuole rendere meno dura la critica nei confronti del sistema. àˆ facile constatare infatti `l'assenza di democrazia', indipendentemente dal modello rappresentativo (le elezioni erano solo riti senza sorprese) o dal suo modello partecipativo, naturalmente più avanzato - come avevano immaginato i rivoluzionari del 1917 - cioè i sindacati. Di fatto, tutte le forme possibili di organizzazione sociale erano state addomesticate, impedendo un'effettiva partecipazione alle decisioni di ogni livello.
Ma questa constatazione non conferisce alcun carattere esplicativo allo pseudoconcetto di `totalitarismo'. Il potere autocratico era oggetto di contesa all'interno della classe dirigente - i rappresentanti dei blocchi corporatisti. La superficie autocratica mascherava la realtà : un potere fondato sulla soluzione `pacifica' dei conflitti corporativi, in grado di accontentare i vari schieramenti.
Anche in questo caso la gestione autocratica dei conflitti in questione assumeva necessariamente dimensioni regionali. La logica del sistema implicava un potere piramidale, che andava dalla gestione (sempre autocratica) degli interessi locali a quelli dell'Unione, passando per le Repubbliche. Questa dimensione regionale, talvolta ma non sempre `etnica', ha contribuito alla dissoluzione dell'Unione e alle minacce di divisione delle Repubbliche (in primo luogo la stessa Russia) che rappresentano oggi una sfida pericolosa per i poteri centrali.

III. Un ordine sociale stabilizzato

Non intendo in alcun modo ignorare l'estrema violenza che ha accompagnato la costruzione del sistema sovietico. Una violenza che presenta caratteristiche diverse.Il conflitto principale contrapponeva i difensori del progetto socialista che era stato all'origine della rivoluzione ai `realisti' che - in pratica, anche se non nella loro retorica - davano la priorità  al `recupero del ritardo' attraverso un processo di industrializzazione-modernizzazione accelerata. Questo conflitto era il prodotto inevitabile della contraddizione oggettiva dalla quale la rivoluzione era confrontata. Essa infatti si trovava a dover `recuperare' (o quanto meno ridurre) il ritardo, poichè la rivoluzione ereditava un paese `arretrato' (un termine che non mi piace e al quale preferisco quello di `capitalismo periferico'), e al tempo stesso costruire `una cosa diversa' (il socialismo). Ho in altri scritti insistito su questa contraddizione, che ho posto al centro della problematica del superamento del capitalismo su scala mondiale (la `lunga transizione dal capitalismo al socialismo mondiale') e quindi non vi tornerò in questa sede. Le vittime di questa prima causa del ricorso alla violenza sono stati i militanti comunisti.
Un secondo tipo di violenze ha accompagnato l'industrializzazione accelerata. Questa forma è sotto certi aspetti paragonabile a quella che ha accompagnato in Occidente la costruzione del capitalismo: la migrazione in massa dalle campagne nelle città , la proletarizzazione della popolazione (il sovraffollamento abitativo, ecc.). Di fatto, l'Unione Sovietica ha proceduto a questa costruzione in un periodo di tempo molto ridotto - pochi decenni - rispetto al secolo che hanno avuto a disposizione i paesi del capitalismo centrale. Questi ultimi disponevano inoltre dei vantaggi delle loro posizioni di dominio imperialistico e della possibilità  di permettere alla popolazione in `eccedenza' di emigrare in America. In queste condizioni, la violenza dell'accumulazione primitiva in Unione Sovietica non sembra assumere tratti più tragici che negli episodi precedenti. Al contrario, in Unione Sovietica l'industrializzazione accelerata ha offerto ai figli delle classi popolari il beneficio di un'enorme mobilità  sociale, sconosciuta nei sistemi dei paesi del capitalismo centrale dominati dalla borghesia. àˆ questa la `specificità ' - retaggio nonostante tutto delle intenzioni socialiste delle origini - che ha consentito l'adesione al sistema - nonostante la sua natura autocratica - da parte della maggioranza delle classi operaie e del mondo rurale `collettivizzato'. Nè a questo riguardo vanno trascurate le violenze esercitate dal sistema capitalistico mondiale dominante, costituite dagli interventi militari - l'aggressione nazista ne ha rappresentato la forma più brutale - e dai blocchi economici.
Nonostante le sue contraddizioni, il sistema sovietico, è quindi riuscito a costruire un ordine sociale che poteva stabilizzarsi, e che effettivamente si è stabilizzato nel periodo post-staliniano. La pace sociale è stata `acquisita' con la moderazione dell'esercizio del potere - pur sempre autocratico -, con il miglioramento delle condizioni materiali e con la sua tolleranza nei confronti di atteggiamenti `illegali'.
Probabilmente la stabilità  di un ordine del genere non è destinata a essere `eterna'. Ma nessun sistema dispone di questa qualità  (che si tratti del `socialismo' o del `liberismo' capitalistico), nonostante le pretese dei vari discorsi ideologici. La stabilità  sovietica mascherava le contraddizioni e i limiti del sistema rappresentati dalla difficoltà  a passare da forme estensive di accumulazione a forme intensive, e dalla difficoltà  a uscire dall'autocrazia e a permettere la democratizzazione della sua gestione politica. Ma questa contraddizione avrebbe potuto trovare una soluzione nella cosiddetta evoluzione di `centrosinistra': l'apertura di spazi di libera impresa (senza rimettere in discussione le forme dominanti della proprietà  collettiva) e la democratizzazione. Era probabilmente questo il progetto di Gorbaciov - ingenuo e incoerente sotto molti aspetti -, il cui fallimento ha fatto scivolare il regime `a destra' a partire dal 1990.
IV. La sconnessione del sistema sovietico

Il sistema produttivo sovietico era in gran parte sconnesso dal sistema capitalistico mondiale dominante. In altre parole le logiche che comandavano le decisioni economiche del potere (investimenti e prezzi) non derivavano dalle esigenze di una partecipazione `aperta' alla globalizzazione. àˆ grazie a questa sconnessione che il sistema era riuscito ad avanzare ai ritmi accelerati che sappiamo. Questo sistema non era però `completamente' indipendente dal `resto del mondo' (capitalistico). Nessun sistema può esserlo e la sconnessione, nella nostra definizione del concetto, non è sinonimo di `autarchia'. Nel sistema mondiale l'Unione Sovietica occupava una posizione `periferica', per lo più esportatrice di materie prime.

V. Una superpotenza militare e politica

L'Unione Sovietica, grazie ai successi della sua costruzione- e non ai suoi fallimenti -, era riuscita a innalzarsi al rango di superpotenza militare. àˆ stato il suo esercito a battere i nazisti e, dopo la guerra, a mettere fine in poco tempo al monopolio nucleare e balistico degli Stati Uniti. Questi successi sono alla base della sua presenza politica sulla scena mondiale del dopoguerra. Il potere sovietico beneficiava inoltre del prestigio della sua vittoria sul nazismo e di quello del `socialismo', di cui esso pretendeva di essere la testimonianza storica, quali che fossero le illusioni sulla realtà  di questo `socialismo' (definito talvolta come `realmente esistente'). Di questi aspetti l'Unione Sovietica ha saputo fare un uso `moderato' e non ha mai avuto l'intenzione, nonostante l'affermazione della propaganda antisovietica, di `esportare la rivoluzione' o di `conquistare' l'Europa occidentale (il falso motivo invocato da Washington e dalle borghesie europee per far accettare la Nato). Tuttavia questo potere ha fatto uso della sua potenza politica (e militare) per contenere l'imperialismo dominante nel Terzo Mondo, fornendo alle classi dominanti (e ai popoli) dell'Asia e dell'Africa un margine di autonomia che hanno perduto con la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Non è un caso infatti se l'offensiva militare egemonica degli Stati Uniti si è sviluppata proprio a partire dal 1990. Un'offensiva che prima era impossibile poichè la presenza sovietica - dal 1945 al 1990 - imponeva un'organizzazione `multipolare' del mondo

2. Le nuove forme del capitalismo in Russia

Uso deliberatamente il termine `capitalismo' ed evito quindi la parola `neoliberismo'. Quest'ultima definizione infatti, che uso perchè il discorso dominante la impone, dovrebbe essere esclusa da qualunque riflessione seria, poichè non è altro che retorica ideologica (di basso livello). In realtà  il `neoliberismo radicale' comporta un esplicito ritorno al `liberismo moderato' non appena il fallimento dell'estremismo in campo economico diventerà  evidente in Occidente e in Oriente. Il `liberismo' è rispetto al `capitalismo reale' quello che il `socialismo' era rispetto al `socialismo reale': uno strumento ideologico destinato a distogliere l'attenzione dai veri problemi. Il `liberismo' promette `efficienza' (senza definirne i termini), `democrazia', `pace' e addirittura giustizia sociale! In realtà  l'applicazione delle politiche praticate in suo nome hanno prodotto cose molto diverse, quasi il loro contrario: la stagnazione (o l'impoverimento), il degrado della democrazia (o il rafforzamento delle autocrazie), la guerra permanente, una crescente disuguaglianza. Ma poco importa, si invita ad `attendere'...
Il crollo del sistema sovietico, rafforzato da quello dei populismi del Terzo Mondo e dall'indebolimento del compromesso socialdemocratico in Occidente ha permesso il trionfo dell'ideologia liberale e di un'estesa adesione alle sue idee, in Russia come altrove. Del resto ho già  segnalato l'illusione secondo la quale la Russia, visto che la Germania e il Giappone avevano `perso la guerra ma vinto la pace', avrebbe potuto avviarsi - grazie al liberismo - sulla strada di un efficiente sviluppo modernizzatore accelerato e democratico. In realtà  l'obiettivo di Washington non era quello di permettere la rinascita di una Russia (o di una Cina) più forte e capitalista, ma di distruggerla.
Quindici anni di `riforme' hanno portato alla creazione in Russia di un sistema capitalistico capace di `stabilizzarsi' e in grado di realizzare le promesse fatte dal liberismo? La realtà  ci obbliga a dare una risposta negativa: l'Unione Sovietica si è disintegrata e la Russia vive un pericolo simile; nessuna delle istituzioni create (le sue imprese private, lo Stato) sono utilizzate per operare gli investimenti necessari a migliorare l'efficienza del sistema produttivo (al contrario, si assiste a un disinvestimento massiccio), e la distruzione sistematica di quello che il sistema sovietico aveva realizzato di positivo (in particolare il sistema educativo) non permette di sperare in un `futuro migliore'. àˆ difficile immaginare come un sistema che presenta queste caratteristiche possa `stabilizzarsi', a meno che per stabilizzazione si intenda il raggiungimento di un livello di estrema miseria e impotenza.
In realtà  le nuove forme del capitalismo in Russia hanno accentuato - e non ridotto - le caratteristiche del sistema sovietico arrivato al suo stadio di estrema decadenza.

I. L'inserimento della nuova Russia nella periferia subalterna del sistema capitalistico contemporaneo

Anche se la Russia `aperta' non è solo un `esportatore di beni primari' (soprattutto petrolio), la sua tendenza attuale va in questa direzione. I suoi sistemi produttivi industriali e agricoli non beneficiano più di alcuna attenzione da parte delle autorità  e non interessano nè il settore privato nazionale nè il capitale estero. Nessun investimento degno di questo nome ha permesso il loro progresso, e sopravvivono al prezzo del progressivo deterioramento delle loro infrastrutture. La capacità  di rinnovamento tecnologico - e l'istruzione di alto livello che nel sistema sovietico ne era alla base - è oggetto di una sistematica distruzione.
Ma chi è responsabile di questa terribile involuzione?
Innanzi tutto la classe dirigente. Provenienti per lo più dalla vecchia classe dirigente sovietica, questi nuovi responsabili si sono favolosamente arricchiti con le privatizzazioni/saccheggi di cui hanno beneficiato. L'estrema concentrazione di questa nuova classe ha preso dimensioni inusuali e il termine di `oligarchia' le si addice perfettamente. Le somiglianze con le oligarchie dell'America Latina sono da questo punto di vista evidenti. Le fonti di arricchimento di questa classe sono tre: la rendita petrolifera (che dipende dalla congiuntura mondiale, cioè dai prezzi più o meno elevati del greggio), la cannibalizzazione delle industrie (le imprese privatizzate non sono destinate a costituire la base di una produzione più ampia ed efficiente, bensì a permettere agli oligarchi di vivere grazie al loro declino), i proventi derivanti dall'intermediazione per l'apertura dei mercati del paese alle importazioni. Del resto, rendite e percentuali di intermediazione caratterizzano da sempre una borghesia compradora e non una borghesia `nazionale'.
L'imperialismo - che ne è il primo beneficiario - sostiene questo degrado del paese al rango di periferia subalterna. Questo è anche il piano degli Stati Uniti per quanto riguarda la Russia (e le altre repubbliche dell'ex Unione Sovietica): ridurla al rango di periferia subalterna deindustrializzata e quindi impotente, `americalatinizzare' l'ex Est sovietico. Le modalità  sono diverse secondo i casi e vanno dalla distruzione totale per i paesi con un passato rivoluzionario (la Russia e la Jugoslavia), a una riduzione più graduale in subalternità  per l'Europa dell'Est `conservatrice' (Polonia, Ungheria, ecc.).
Ovviamente nel quadro di questa visione comune, condivisa dalle classi dirigenti degli Stati Uniti e dell'Europa, potrebbe aversi una certa concorrenza fra i diversi componenti della triade imperialista. Chi trarrà  maggior vantaggio da questa `americalatinizzazione': gli Stati Uniti o l'Europa (occidentale)? Il compromesso in corso lascia l'Europa dell'Est alla Germania e la Russia agli Stati Uniti. La Nato (dove si sviluppa l'egemonismo degli Stati Uniti), il Wto e Bruxelles (le cui concezioni liberiste non fanno che rafforzare quelle del Wto) sono incaricati di `gestire' questo sistema asimmetrico. Tuttavia, la gestione delle responsabilità  politiche dell'imperialismo collettivo rimane caratterizzata dalle contraddizioni che abbiamo analizzato altrove e sulle quali non torneremo in questa sede. La concorrenza Europa-Stati Uniti opera nel quadro di questa gestione. A questo proposito Washington dispone di alcuni importanti vantaggi, tra cui la risoluta scelta atlantica di Londra e delle classi politiche servili dell'Europa dell'Est. Anche in questo caso l'Europa ha perso un'occasione di riavvicinamento con la Russia, che avrebbe rafforzato la sua autonomia nei confronti degli Stati Uniti.
L'esplosione della ricchezza dell'oligarchia ha provocato la formazione di una nuova `classe media', i cosiddetti `nuovi russi'. I lavori svolti da questi individui sono del tutto improduttivi, poichè derivano dalle spese degli oligarchi. Al contrario l'ex classe media di professionisti e di tecnici, in genere molto più qualificata e produttiva, si ritrova insieme alle classi popolari tra le vittime di questo sviluppo capitalista. Del resto i monopoli dell'oligarchia, esclusiva beneficiaria della generosità  dello Stato, soffocano la possibilità  di creare una vera e propria classe di imprenditori inventivi, perseguitati come sono dal potere e dalle mafie dell'oligarchia, rendendo in questo modo impossibile la formazione di un capitalismo `dal basso'.
Il discorso liberista secondo il quale i `vincitori' del sistema sarebbero gli individui meglio qualificati e i più inventivi, mentre i `perdenti' sarebbero reclutati fra i lavoratori `meno produttivi', è difficilmente sostenibile. In realtà  i `perdenti' sono proprio i lavoratori produttivi della nuova Russia, mentre i `vincitori' sono solo una classe di parassiti, che ostacola il rinnovamento del sistema produttivo russo.

II. Un potere autocratico irresponsabile

Le forme capitalistiche della nuova Russia escludono qualunque progresso democratico. Qui l'autocrazia non è un `ricordo del passato', ma la forma di esercizio del potere della nuova oligarchia compradora. La costituzione del 1993 stabilisce un regime presidenziale che annulla i poteri della Duma (il parlamento eletto). I governi occidentali fanno finta di ignorarlo: criticano la `mancanza di democrazia' dei soli regimi che resistono al liberismo, mentre approvano la dittatura di quelli che lo servono!
Quello che distingue la nuova autocrazia dalla vecchia va cercato altrove, cioè nel carattere del tutto irresponsabile del potere esercitato. L'autocrazia è al servizio dell'oligarchia e partecipa alle lotte dei suoi clan, anche se sa farsi pagare per i servizi resi. Questa autocrazia è al servizio del capitale estero oligopolistico globalizzato, di cui applica senza alcuna restrizione i diktat, formulati dal Wto, dal Fmi e dalla stessa Nato! I conflitti che hanno contrapposto di recente Putin ad alcuni oligarchi non hanno ancora comportato un cambiamento significativo nell'organizzazione del sistema. Gli obiettivi di Putin sono rimasti limitati: in un primo momento rafforzare le posizioni del clan degli oligarchi di San Pietroburgo (base della clientela del nuovo presidente); successivamente - anche se non possiamo darlo per scontato - `razionalizzare' il sistema, separando più nettamente la burocrazia dello Stato presidenziale autocratico dalla classe che questa burocrazia non ha rinunciato a servire, l'oligarchia.
Anche il `popolo russo' ha le sue le responsabilità , soprattutto a causa del disorientamento nel quale si è trovato all'indomani del crollo brutale delle istituzioni sovietiche (talvolta distrutte a cannonate, come è successo con il primo Parlamento eletto). I nuovi partiti politici non avevano una base sociale e ideologica che permettesse loro di uscire da questa situazione. Le nuove `destre', ridotte a gruppi di individui irresponsabili provenienti dal vecchio sistema, hanno usato con successo la retorica demagogica amplificata dai media corrotti al loro servizio. Ma i loro slogan si sono rapidamente logorati di fronte a un'opinione pubblica intelligente, a riprova della forte politicizzazione del popolo russo. Di conseguenza, le nuove destre si sono trovate costrette a ricorrere al sostegno del potere burocratico della nuova autocrazia.
Nel frattempo il Partito comunista, nonostante le speranze che riponeva in esso una consistente minoranza degli elettori (quasi il 50%), non ha saputo nè avviare un rinnovamento interno (e uscire dalla sua tradizione di gestione autocratica del potere) nè resistere alle pressioni della nuova dittatura. Al contrario, ne ha facilitato l' instaurazione, accettando quella Costituzione che il popolo rifiutava. In seguito ha cercato di far dimenticare le indecisioni e i gravi errori compiuti inaugurando un ambiguo discorso `nazionalista'. Ma neanche le strutture embrionali di partiti politici della sinistra alternativa sono riuscite a compiere quel salto di qualità  necessario per far fallire il progetto della nuova oligarchia, e si sono ridotte a piccoli circoli di intellettuali isolati dalle classi popolari.

III. Un corporatismo degenerato e indebolito

Di fronte a un Partito comunista ottuso e in disfacimento, i sindacati avrebbero potuto costituire un efficace nucleo di resistenza. Essi, infatti, hanno conservato per almeno dodici anni il rispetto e il sostegno di milioni di iscritti. Ma il principale errore delle direzioni sindacali è stato quello di credere che il vecchio corporatismo potesse garantire la loro `sopravvivenza'. àˆ vero che la situazione oggettiva incoraggiava questo tipo di valutazione. Nella grande maggioranza dei casi i direttori e i quadri delle imprese escluse dal nuovo sistema dei poteri oligarchici rimanevano `a fianco dei loro operai' nella lotta quotidiana per la sopravvivenza dell'attività  produttiva. Inoltre alcuni ideologi socialdemocratici hanno creduto che la creazione di una struttura tripartita basata su imprenditori, sindacati e Stato avrebbe permesso una sorta di positivo `compromesso storico'. Ma questi ideologi erano decisamente in ritardo sui tempi - la stessa socialdemocrazia in Occidente aveva già  avviato la sua conversione al liberismo - e ignoravano che il modello di capitalismo periferico in costruzione in Russia impediva qualsiasi forma di gestione `sociale' del potere. Ma la paura delle direzioni sindacali e le loro illusioni non hanno impedito lo sviluppo delle lotte sociali. Gli scioperi sono stati numerosi e talvolta hanno costretto il potere a scendere a compromessi, come è successo con la minaccia di paralisi dei trasporti compiuta dai ferrovieri. Tuttavia queste lotte non sono riuscite a produrre le revisioni necessarie nei modi di gestione sindacale. Nel frattempo i tentativi di gruppi ristretti della `nuova sinistra' di rifondare la vita operaia su nuove basi di sindacalismo indipendente non sono riusciti a diffondersi. Questa combinazione di fattori sfavorevoli si è accompagnata al progressivo declino dell'organizzazione sindacale, ormai evidente in questi anni, anche a causa della decadenza dei servizi sociali di cui nel sistema sovietico i sindacati erano responsabili.

IV. Un regionalismo incontrollato

La forte tendenza al regionalismo propria dell'Unione Sovietica in declino ha assunto un carattere sempre più marcato. Il vecchio separatismo era controllato dall'autocrazia sovietica soprattutto attraverso una politica responsabile disposta al compromesso e non mediante la violenza di Stato. Oggi invece, i clan della nuova autocrazia irresponsabile giudicano necessario sfruttare i regionalismi per i loro obiettivi a breve termine. E in alcuni casi questa tendenza si è spinta molto lontano, come dimostra il dramma ceceno.
Che in alcune regioni, soprattutto nei distretti `non russi' della Federazione vi siano gravi questioni in sospeso, o che la presenza di `forze esterne' cercano di sfruttare queste difficoltà  (come stanno facendo gli Stati Uniti e i loro alleati fondamentalisti nel caso della Cecenia), è innegabile. Ma la principale responsabile del degrado della situazione è Mosca. La maggioranza del popolo ceceno infatti ha rifiutato gli appelli alla secessione degli `islamisti'. Tuttavia il potere russo ha rinunciato ad appoggiarsi a questa maggioranza e ha deliberatamente scelto la carta `dell'intervento militare', senza preoccuparsi delle conseguenze di questa scelta. Questo intervento è il risultato dei calcoli meschini dei clan dell'oligarchia (interessata, ad esempio, al tracciato settentrionale dell'oleodotto che porta il petrolio proveniente dal Caspio) e della burocrazia statale (rifare `l'unità  del popolo russo' e ottenere il suo sostegno `incondizionato' di fronte al `nemico esterno e terrorista'). Inoltre gli attentati terroristici compiuti a Mosca e altrove - di cui peraltro non è stato ancora provata la matrice cecena - hanno svolto funzioni analoghe all'11 settembre, sfruttato nel modo che sappiamo dall'Amministrazione Bush. Per di più l'amministrazione Putin sembra essere caratterizzata dalle stesse incertezze di quella eltsiniana. La seconda guerra cecena di Putin è terminata con conseguenze simili alla prima, ed è stata `sfruttata' allo stesso modo dai due presidenti.
Si attribuisce a Putin il merito di aver avviato una riforma dell'organizzazione territoriale dei poteri, il cui obiettivo sarebbe quello di spegnere i focolai separatisti. Tuttavia questa riforma rimane ispirata al principio dell'autocrazia (unendo ai governatori eletti dei prefetti di nomina governativa) e rinuncia all'appoggio delle popolazioni interessate (cosa che avrebbe potuto rafforzare la loro capacità  di resistenza alle pressioni degli oligarchi). Questa riforma non è quindi di natura tale da favorire una soluzione ai conflitti aperti o latenti.

V. La Russia cancellata dallo scacchiere internazionale

La Russia siede ormai su uno strapuntino del G7, diventato G8 (ma sarebbe forse più giusto parlare di G7,5). Ma questo non significa che sia un elemento attivo nell'organizzazione degli equilibri mondiali. Mosca conserva in apparenza una considerevole potenza militare ed è il secondo paese per armamento nucleare e missilistico. Tuttavia il degrado della sua organizzazione militare fa ritenere improbabile un uso efficiente di queste armi in caso di necessità , cioè in caso di aggressione degli Stati Uniti.
àˆ evidente che questo declino pone problemi per il futuro del sistema mondiale. Con chi si schiererà  la Russia nel caso in cui le contraddizioni politiche fra alcuni paesi europei da un lato (la Francia e la Germania) e gli Stati Uniti dall'altro dovessero rompere lo spirito atlantico, ancora forte nell'imperialismo collettivo della triade? Chi appoggerà  nel caso di conflitti con alcuni paesi del Sud (la Cina, l'India, l'Iran o la Corea del Nord)? Per ora la questione non si pone: l'Europa, malgrado alcuni malumori, rimane atlantica. Nonostante la decisione della Russia, della Cina, della Francia e della Germania di non dare carta bianca a Washington nella sua aggressione all'Iraq, non si è assistito ad alcun `rovesciamento delle alleanze'. Mosca rimane quindi saldamente attaccata al carro americano.
Le pressioni esercitate dalla presenza militare degli Stati Uniti in Asia centrale e in Georgia, e la loro manipolazione delle minacce islamiste sono riuscite finora a mantenere la Russia fuori del grande gioco internazionale. Mosca potrebbe far fallire il progetto degli Stati Uniti (che vuole ridurre questo paese allo stato di periferia subalterna nel nuovo ordine mondiale dominato da Washington) puntando alla ricostruzione di un `fronte del Sud antimperialista' insieme con la Cina. Ma per ora non sembra disposta a farlo. Al contrario, agisce nella direzione opposta, coltivando l'illusione che la sua alleanza con gli Stati Uniti la protegga da eventuali spinte espansionistiche di Pechino in Asia centrale e in Siberia. Ma così facendo, la Russia rafforza la strategia di Washington, che cerca di isolare il suo `principale nemico potenziale' (la Cina). Difficilmente infatti la Russia potrà  trarre vantaggio da questo aiuto. Al contrario, questa politica finirà  per indebolirla e accelerare il suo passaggio al ruolo di periferia subalterna. Tuttavia questi equilibri (o squilibri) rimangono fragili e il fallimento evidente dell'intervento americano in Iraq finirà  un giorno o l'altro per rimetterli in discussione. In questo caso la diplomazia russa sarà  in grado di rivedere il suo ruolo nella redistribuzione delle varie responsabilità ? Torneremo su questo punto, che rappresenta una delle questioni principali della costruzione di un'alternativa alla globalizzazione liberista e americana.

VI. La deriva ideologica

Fino all'ultimo l'ideologia sovietica non ha mai rinunciato ad alimentare una retorica `socialista'. Il potere sovietico, anche nei momenti più difficili, sapeva di avere alle spalle la legittimità  della rivoluzione del 1917. Può irritare o sembrare ridicolo, ma la distanza che separava questa retorica dalla realtà  sovietica non era più grande di quella che separa l'attuale discorso `liberista' dal capitalismo reale. E come il liberismo, che ha numerosi sostenitori nonostante le tragedie sociali che accompagnano la sua diffusione, così il `socialismo' ha avuto i suoi sostenitori sino alla fine.
Viceversa, la nuova autocrazia oligarchica sente la necessità  di contrapporsi al discorso sovietico. Ma non sa con cosa sostituirlo. In Russia o in Europa dell'Est i discorsi sull'efficienza economica e sulla democrazia non sono credibili. Il discorso `patriottico' costituisce quindi l'unico appiglio per questo potere in difficoltà . La sua retorica serve a distogliere l'attenzione dai veri problemi (la disuguaglianza sociale, la perdita delle conquiste del 1917, l'inefficienza della nuova gestione economica, l'indebolimento del ruolo internazionale del paese), affermando di `unire tutto il paese dietro i suoi dirigenti' e facendo credere che questi ultimi `resistono' al capitale globalizzato dominante. Del resto tutte le classi compradore delle periferie contemporanee cercano di dare di se stesse un'immagine `patriottica', mentre sono responsabili del declino dei loro paesi e agiscono come cinghia di trasmissione del dominio (estero) del capitale internazionale.
Il patriottismo, anche in senso positivo, è necessario in Russia come altrove di fronte alle sfide della globalizzazione liberista e americana. A condizione però che venga concepito come un fattore positivo nella costruzione di uno sviluppo autocentrato (anche se aperto) al servizio delle classi lavoratrici, e non come una retorica demagogica e illusoria, come è stato nel caso del discorso del nuovo potere russo.
Il discorso ideologico adottato dal nuovo potere russo non ha molta presa sulla popolazione. Lo dimostra la necessità  per questo potere di ricorrere sempre di più a elezioni manipolate su vasta scala. Ciò significa che questo potere è privo di legittimità  e di credibilità . O che il nuovo capitalismo russo è incapace di trovare un centro di gravità  attorno al quale stabilizzare il suo potere.
L'incapacità  delle opposizioni si evidenzia anche nei loro discorsi ideologici. I comunisti (del Pc) hanno aderito al discorso `patriottico' del potere, senza dargli un contenuto più preciso. Un atteggiamento simile a quello di chi nei paesi musulmani, `minacciati' dall'ondata islamista, insegue ed estremizza le posizioni dell'Islam politico credendo in questo modo di esorcizzarne la forza di attrazione. Altri invece parlano di `eurasiatismo', cioè di un nazionalismo antiamericano e antieuropeo, che prevede un avvicinamento con l'Asia (Cina, India, Iran). Un avvicinamento che costituirà  molto probabilmente uno degli aspetti della costruzione di una globalizzazione alternativa. Ma per raggiungere questo obiettivo non è necessario ricorrere a una dubbia legittimazione paraideologica, che allontanerebbe dall'adesione all'universalismo modernista, anche se di matrice `occidentale', benchè fino a questo momento deformato dalla centralità  in esso del sistema dell'imperialismo.
Al contrario, serie decisioni alternative, fatte a partire da una critica a sinistra dell'eredità  sovietica in una prospettiva di ricostruzione socialista, troverebbero in Russia un terreno favorevole. Ma finora queste idee sono rimaste limitate ad alcuni ristretti circoli intellettuali, isolati rispetto alla popolazione.


3. Esiste un'alternativa nella Russia attuale?

Il quadro della Russia che abbiamo descritto potrebbe ispirare un certo pessimismo sul futuro del paese. In realtà  il fallimento del nuovo capitalismo russo, l'incapacità  nel costruire le condizioni della sua stabilizzazione dovrebbero ispirare ottimismo. A Mosca si dice che la Russia, come alla vigilia del 1917, è a un passo da una nuova rivoluzione o da trasformazioni radicali in grado di imprimere un nuovo corso allo sviluppo del paese. Ma in quali prospettive locali e mondiali? E a quali condizioni?
I principi di base sui quali l'alternativa all'attuale sistema mondiale dovrebbe essere fondata sono semplici, evidenti, e in linea di massima facilmente comprensibili. Sul piano interno (`nazionale') questo progetto dovrebbe basarsi su: (i) una `economia mista' che dia allo Stato i mezzi per orientare lo sviluppo generale e offra alla proprietà  privata e al mercato un margine tale da permettere la promozione delle iniziative; (ii) l'istituzionalizzazione del negoziato sociale lavoratori-imprese-Stato; (iii) l'approfondimento della democrazia rappresentativa con la promozione di iniziative di democrazia partecipativa. Sul piano mondiale questi principi dovrebbero essere: (i) l'organizzazione di negoziati sulle forme di gestione economica (scambi commerciali, flussi di capitale, trasferimenti tecnologici, gestione monetaria) fondate sul riconoscimento della diversità  degli interessi e della disuguaglianza dei partner; (ii) il riconoscimento del principio della sovranità  dei popoli, rafforzata dal sostegno al progresso della democratizzazione, base di un mondo politico multipolare. L'applicazione dell'insieme di questi principi permetterebbe di avviare una prima fase sulla strada della `lunga transizione verso il socialismo mondiale'.
Ovviamente questi elementi di carattere molto generale, validi per tutti (dalla Cina alla Russia o alla Germania), hanno senso solo se tradotti in termini concreti, che tengano conto della diversità  delle situazioni oggettive.
Per la Russia la loro applicazione implica: (i) la rinazionalizzazione delle grandi imprese, in particolare nel settore del petrolio e dell'energia, della produzione mineraria e delle banche (di fatto l'espropriazione dell'oligarchia), (ii) la creazione di nuove forme paritarie di gestione (lavoratori e dirigenti) delle imprese industriali e commerciali, indipendentemente dal fatto che siano formalmente di proprietà  pubblica e privata; (iii) il ristabilimento e il rafforzamento dei servizi pubblici a carattere sociale, dell'istruzione (che aveva raggiunto un livello molto alto in Unione Sovietica) e della ricerca scientifica e tecnologica; (iv) l'adozione di una nuova Costituzione veramente democratica (in sostituzione di quella del 1993), elaborata da una grande Convenzione costituente liberamente eletta; (v) il sostegno a forme di iniziative popolari di democrazia partecipativa; (vi) l'apertura di un grande negoziato fra le Repubbliche dell'ex Unione Sovietica che permetta la costruzione di uno spazio regionale economico e politico rispettoso dell'autonomia dei partner e capace di creare delle interdipendenze di comune interesse; (vii) il ristabilimento della potenza militare russa (in attesa che gli Stati Uniti siano disposti ad arrivare a un disarmo generalizzato); (viii) la promozione di scambi commerciali, tecnologici e finanziari per la costruzione di una `grande Europa' - dall'Atlantico al Pacifico; (ix) la promozione di una politica estera attiva e indipendente (in particolare da quella americana), diretta al rafforzamento delle istituzioni garanti della costruzione di un mondo multipolare.
Nella prospettiva di questa globalizzazione alternativa, il posto e il ruolo svolto dai partner nazionali rimane necessariamente specifico e con caratteristiche diverse a seconda dei casi. In questo contesto la Russia sarà  al tempo stesso un grande produttore-esportatore di materie prime (petrolio e prodotti minerari) e una rinnovata potenza industriale, senza dover sottostare alle incertezze che comporta la ricerca di `competitività ' su un mercato mondiale `aperto'. Il ruolo svolto dalla Cina sarà  invece quello di una nuova potenza industriale, con una produzione guidata soprattutto dall'espansione del suo mercato interno e solo accessoriamente dalle sue esportazioni (un principio contrario a quello che vorrebbe imporre il Wto). Questa scelta implicherebbe, in Cina come in Asia o in Africa, soluzioni al problema agrario fondate sul riconoscimento del diritto alla terra per tutti i contadini. Certo, nel caso della Russia (e dell'Europa dell'Est) la questione agraria non potrà  essere risolta attraverso lo sviluppo capitalista come è accaduto nei centri sviluppati del sistema mondiale. Ma in questo caso i problemi sono molto diversi da quelli che caratterizzano i paesi del `terzo mondo' (Asia, Africa e America latina) e richiedono soluzioni appropriate.
Il governo di Evgenij Primakov aveva avviato una correzione in questa direzione, con buona determinazione ma anche con molta - e comprensibile - prudenza nelle prime misure. Come Gorbaciov, che l'aveva forse desiderato senza saper bene come realizzarlo, Primakov pensava alla costruzione di un sistema economico e politico di `centrosinistra'. Ma Primakov è stato in primo luogo vittima dell'incapacità  del Partito comunista, all'epoca ancora potente, di capire e sostenere questa iniziativa. Inoltre ha dovuto subire l'ostilità  internazionale, in primo luogo degli Stati Uniti, ma anche dell'Europa che non si è discostata dal progetto americano di `americalatinizzazione' dell'ex Unione Sovietica (e della stessa Europa dell'Est in via di integrazione nell'Unione europea).
La conseguenza di questo fallimento ha facilitato il successo dell'offensiva degli Stati Uniti in Medio Oriente, in Asia centrale e nel resto del mondo, e ha rafforzato la dipendenza del regime di Putin alle sue esigenze. Ci troviamo così di fronte a un bivio: o il progetto americano sarà  respinto (e questa è diventata la condizione fondamentale per la costruzione di un'alternativa su scala nazionale e mondiale) o proseguirà  il suo sviluppo, distruggendo i potenziali di trasformazione per la democratizzazione e il progresso sociale di tutte le società .
In questa lotta la responsabilità  dei popoli è sempre di primaria importanza, in Russia come altrove. Il rafforzamento delle lotte sociali e delle rivendicazioni democratiche, la scomparsa delle illusioni e l'avvio della ricostruzione di nuove forze di sinistra, aperte, capaci di convincere le classi popolari - che il Partito comunista e i sindacati continuano a trattare come `clientele' al servizio dei loro calcoli politici a breve termine - costituiscono segnali positivi per un possibile risanamento della Russia.
Ma anche l'Europa deve farsi carico delle sue responsabilità . Deve tendere la mano alla Russia e rinunciare alla sua visione di partner dell'imperialismo collettivo della triade, obbligata ad accettare i piani egemonici degli Stati Uniti. L'Europa deve uscire dalle `sabbie mobili' nelle quali si è impantanata.
La geometria geopolitica delle possibili alleanze fra Stati Uniti, Europa e la Russia peserà  gravemente nella definizione della globalizzazione del futuro. Due casi sono ipotizzabili: l'ipotesi di un partenariato euro-russo o il consolidamento `dell'alleanza russo-americana' basata sulla scelta della Russia di diventare uno dei principali esportatori di petrolio verso gli Stati Uniti. A quanto pare la `lotta comune contro il terrorismo' dopo l'11 settembre 2001 sembra aver consolidato questa seconda opzione.
I fatti dimostrano che si tratta di una collaborazione del tutto asimmetrica. Si tratta in realtà  dell'applicazione del piano di Washington per distruggere la Russia: invece di fornire alla Russia i mezzi per modernizzare il suo sistema produttivo, questa collaborazione è strettamente associata agli interessi dell'oligarchia russa e alla sua sottomissione al progetto di trasformazione della Russia esclusivamente in un fornitore di materie prime. Questi rapporti di collaborazione hanno del resto facilitato la penetrazione degli Stati Uniti nel Caucaso e in Asia Centrale, da dove Mosca sta per essere esclusa. Questa ipotesi di alleanza non può quindi costituire un elemento per la costruzione di una globalizzazione alternativa.
Al contrario una collaborazione russo-europea potrebbe essere concepita in una prospettiva molto diversa. A condizione che non venga limitata a favorire l'esportazione di petrolio russo verso l'Europa e sia accompagnata dal sostegno attivo dell'Europa alla modernizzazione del sistema produttivo russo. L'Europa avrebbe potuto prendere questa iniziativa già  negli anni Novanta, e proporre una collaborazione capace di rafforzare l'autonomia dei due partner nei confronti degli Stati Uniti. Ma l'Europa, come sempre timorosa, non lo ha fatto per paura di urtare la suscettibilità  di Washington, aprendo così la strada all'offensiva degli Stati Uniti in direzione di Mosca. Il petrolio russo è quindi destinato a soddisfare le esigenze americane ed è venduto in dollari. Al contrario, una collaborazione che avesse comportato la sua vendita soprattutto all'Europa, e in euro, avrebbe considerevolmente alleggerito la dipendenza degli europei nei confronti dei fornitori controllati da Washington (dal Medio Oriente al Mar Caspio o al Golfo di Guinea). L'Europa ha invece accettato questa divisione disuguale delle ricchezze del mondo ex sovietico: agli Stati Uniti la Russia e l'Asia centrale, agli europei la Polonia e i paesi baltici!
Non è troppo tardi per immaginare di cambiare queste alleanze. In Russia si sta rafforzando l'opposizione al monopolio del potere dell'oligarchia. Gli insuccessi diplomatici della Russia e dell'Europa nei confronti dell'offensiva di Washington dovrebbero far riflettere. Un avvicinamento dei grandi partner dell'Eurasia - Europa, Russia, Cina e India - che porti con sè il resto del vecchio mondo (in particolare l'Africa) è necessario, possibile e metterebbe definitivamente fine al progetto di Washington di estendere la dottrina Monroe a tutto il mondo. Bisogna agire in questa direzione con pazienza ma anche con grande determinazione.




note:

1  S. Amin, Les dèfis de la mondialisation, L'harmattan, Paris 1996; trad. it.: Oltre la mondializzazione, Editori Riuniti, 1999.

(Traduzione di Andrea De Ritis)
 




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Non facevi prima a postare il link ???
 
Giuseppe
 



 
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[quote:e1006479ff="Mr.G"]Non facevi prima a postare il link ???
 
Giuseppe[/quote:e1006479ff]

Ma se postavo il link non vedevo il tuo bananino ballante      

Leggetelo, è davvero molto interessante

Un abbraccio

Ultimo moicano (ex Rodofetto)
 




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Giuseppe[/quote:77a2a347da]

Ma se postavo il link non vedevo il tuo bananino ballante      

Leggetelo, è davvero molto interessante

Un abbraccio

Ultimo moicano (ex Rodofetto)[/quote:77a2a347da]


Ciao Rodofetto...adesso ho capito........parlando di fonti, leggi il Manifesto???
 



 
eyes Invia Messaggio Privato
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il caso ucraina pero' smentirebbe questa visione di alleanze di samir amin

i russi sono troppo orgogliosi (russki ne sdajut!!) per ridursi a vassalli degli usa. il problema e' vedere se l'oligarchia moscovita ha a cuore il futuro del paese o solo il proprio portafoglio....

io penso che il futuro russo sia con l'europa, ma a questo punto e' l'europa ad avere paura della russia e non viceversa

in questo senso, penso che l'europa sara' molto piu' forte con l'ingresso della turchia

zhenja
 




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Zhenja io penso che la Russia con l'Europa possa essere una valida alternativa mondiale all'America. Non perchè sia contro l'America, ma l'alternativa porta sempre un miglioramento.

Vedi solo che cosa sta facendo la Turchia per entrare in Europa...

Sull'orgoglio dei Russi hai perfettamente ragione, ma gli ultimi anni di storia insegnano che ci possono essere sviluppi interessanti.

Io penso che siano più Inghilterra e Francia a non voler la Russia nell'UE, a differenza della Germania per ovvi motivi economici e dell'Italia...

A me personalmente l'atteggiamento inglese ha sempre dato fastidio, anche perchè fin quando non sarà  in tutto e per tuto UE non accetto nessuna imposizione, o sei nel mazzo e puoi parlare o sei fuori e allora pensa ai fatti tuoi.

Sbaglio a vederla così?


ciao  
 




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E' inutile discutere con un idiota...prima ti porta al suo livello e poi ti batte per esperienza.

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Andrea
 
Mystero Invia Messaggio Privato Invia Email HomePage ICQ MSN Live
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[quote:728510589c="EYES"][quote:728510589c="Ultimo MoicanoexRodofetto"][quote:728510589c="Mr.G"]Non facevi prima a postare il link ???
 
Giuseppe[/quote:728510589c]

Ma se postavo il link non vedevo il tuo bananino ballante      

Leggetelo, è davvero molto interessante

Un abbraccio

Ultimo moicano (ex Rodofetto)[/quote:728510589c]


Ciao Rodofetto...adesso ho capito........parlando di fonti, leggi il Manifesto??? :D[/quote:728510589c]

Certo, leggo anche il manifesto :-)

Un abbraccio

Rodofetto
 




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[quote:88e25b92ee="zhenja"]il caso ucraina pero' smentirebbe questa visione di alleanze di samir amin

i russi sono troppo orgogliosi (russki ne sdajut!!) per ridursi a vassalli degli usa. il problema e' vedere se l'oligarchia moscovita ha a cuore il futuro del paese o solo il proprio portafoglio....

io penso che il futuro russo sia con l'europa, ma a questo punto e' l'europa ad avere paura della russia e non viceversa

in questo senso, penso che l'europa sara' molto piu' forte con l'ingresso della turchia

zhenja[/quote:88e25b92ee]

Anche io penso che il futuro sia con l'Europa, ma l'articolo di Amin resta comunque interessante. Ne parleremo meglio al mio ritorno

Un abbraccio

Rodofetto
 




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