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L’Arboscello (Urbano Lampredi)


Certo giovane Arboscello
Che cresceva in erma valle,
Passar vide un villanello
Con l’accetta sulle spalle,
E si fatto un suono sciolse
Che tal prego ai lui rivolse:

Taglia, amico, queste piante
Presso a me sì varie e tante,
I cui rami e la cui fronda
Mi ricuopre e mi circonda.
Io sarei tra’ più felici,
E profonde le radici
Stenderei nell’ampio seno
Di sì fertile terreno;
Ma dell’altre il denso gruppo
Ne impedisce lo sviluppo.
Nè lo zeffiro sì grato
Può agitar con molle fiato
Dolcemente le mie foglie;
Ei che i germi in seno accoglie,
Onde avvien che io presto cresca,
S’ei mi molce, e mi rinfresca.
Queste i rai del Sole, ancora
M’intercettano cosi,
Ch’è un miracol ch’io non muora;
Aduggiato tutto il dì.
Oh! se tu col ferro tronchi
Queste piante, e questi bronchi,
Quanto in sù mi leverò,
Quanto bel diventerò!
Sì, farommi, in un momento
Della valle l’ornamento.

Così disse, e il villanello
Ponsi all’opra, a cui l’invita
Quel vanissimo Arboscello;
Taglia, e fa piazza pulita.

Eccol dunque in breve tratto
Appagato, soddisfatto;
Da bramar più non gli resta,
Nulla omai più lo molesta.
Ma che avviene? Ora lo punge
Sol cocente, e sì l’emunge,
Che il vitale umor gli toglie,
E appassiscon le sue foglie:
Or l’investe in strana foggia
O la grandine, o la pioggia:
E un gran colpo alfin di vento
Te lo schianta in un momento.

Mentre a terra quel meschino
Lamentavasi.... Insensato!
Gridò un Serpe in suo latino,
Se cadesti inonorato,
Se così ten giaci oppresso,
La cagion ne sei tu stesso.
Tu superbo ed arrogante
Più vicine non volesti
Quelle vecchie e salde piante:
Pur in lor trovato avresti
Guarentigia e salvamento
Nè t’avrebbe fatto oltraggio,
Pria del Sol l’ardente raggio,
Poscia l’impeto del vento.
Si t’avrian dal crudo fato
Quei vecchi alberi salvato;
Poi sariano al tempo loro
Trapassati anche costoro,
Ma tu intanto allor cresciuto
Tal vigore avresti avuto,
Che t’avria colpito invano
Il furor del vento strano.

A sì utile lezione
Manca sol l’applicazione:
L’autor forse non la fè,
Perchè inutil egli credè:
Non è questo il parer mio,
E perciò farla vogl’io.

Un novello favorito
Ancor giovane ed ardito,
Vuol salire al ministero.
Ma c’è un altro, e gli rincresce;
Cerca dunque in suo pensiero
Soppiantarlo, e gli riesce.
Ma restato solo e senza
Grande ingegno ed esperienza
In difficile cimento
Viene un gran colpo di vento
Nè vigore avendo in sè,
Cade anch’egli, e più non è.

U. Lampredi


http://www.larici.it/culturadellest/letteratura/krylov/12.htm