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La Storia del Forum

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Spero che a grandi e bambini, italiani e amici stranieri piaccia questa nuova risorsa del forum.


Cappuccetto rosso

fiaba popolare europea, versione dei fratelli Grimm

Ascolta la storia in formato mp3 (3.57 Mb)


C'era una volta una cara bimba; solo a vederla le volevan tutti bene, e specialmente la nonna, che non sapeva piu' cosa regalarle. Una volta le regalò un cappuccetto di velluto rosso, e, poichè le donava tanto ch'essa non volle più portare altro, la chiamarono sempre Cappuccetto Rosso.

Un giorno sua madre le disse:
- Vieni, Cappuccetto Rosso, eccoti un pezzo di focaccia e una bottiglia di vino, portali alla nonna; è debole e malata e si ristorerà. Parti prima che faccia troppo caldo; e, quando sei fuori, va' da brava, senza uscir di strada; se no, cadi e rompi la bottiglia e la nonna resta a mani vuote. E quando entri nella sua stanza, non dimenticare di dir buon giorno invece di curiosare in tutti gli angoli.
-Farò tutto per bene, - disse Cappuccetto Rosso alla mamma e le diede la mano.
Ma la nonna abitava fuori, nel bosco, a una mezz'ora dal villaggio. E quando giunse nel bosco, Cappuccetto Rosso incontrò il lupo. Ma non sapeva che fosse una bestia tanto cattiva e non ebbe paura.
- Buon giorno, Cappuccetto Rosso, - egli disse.
- Grazie, lupo.
- Dove vai cosi presto, Cappuccetto Rosso?
- Dalla nonna.
- Cos 'hai sotto il grembiule?
- Vino e focaccia: ieri abbiamo cotto il pane; così la nonna, che è debole e malata, se la godrà un po' e si rinforzerà.
- Dove abita la tua nonna, Cappuccetto Rosso?
- A un buon quarto d'ora di qui, nel bosco, sotto le tre grosse querce; là c'è la sua casa, è sotto la macchia di noccioli, lo saprai già, - disse Cappuccetto Rosso.
Il lupo pensava: " Questa bimba tenerella è un grasso boccone, sarà piu' saporita della vecchia; se sei furbo, le acchiappi tutt'e due". Fece un pezzetto di strada vicino a Cappuccetto Rosso, poi disse:
- Vedi, Cappuccetto Rosso, quanti bei fiori? perché non ti guardi intorno? Credo che non senti neppure come cantano dolcemente gli uccellini! Te ne vai tutta contegnosa, come se andassi a scuola, ed è così allegro fuori nel bosco!
Cappuccetto Rosso alzò gli occhi e quando vide i raggi di sole danzare attraverso gli alberi, e tutto intorno pieno di bei fiori, pensò: " Se porto alla nonna un mazzo fresco, le farà piacere; è tanto presto, che arrivo ancora in tempo ". Dal sentiero corse nel bosco in cerca di fiori. E quando ne aveva colto uno, credeva che più in là ce ne fosse uno più bello e ci correva e si addentrava sempre più nel bosco.
Ma il lupo andò difilato alla casa della nonna e bussò alla porta.
- Chi è?
- Cappuccetto Rosso, che ti porta vino e focaccia; apri. - Alza il saliscendi, - gridò la nonna: - io son troppo debole e non posso levarmi.
Il lupo alzò il saliscendi, la porta si spalancò e, senza dir molto, egli andò dritto a letto della nonna e la ingoiò.
Poi si mise le sue vesti e la cuffia, si coricò nel letto e tirò le coperte .. Ma Cappuccetto Rosso aveva girato in cerca di fiori, e quando n'ebbe raccolti tanti che più non ne poteva portare, si ricordò della nonna e S'incamminò. Si meravigliò che la porta fosse spalancata ed entrando nella stanza ebbe un'impressione cosi strana che pensò:

" Oh, Dio mio, oggi, che paura! e di solito sto cosi volentieri con la nonna! " Esclamò:
- Buon giorno! - ma non ebbe risposta.
Allora s'avvicinò al letto e scostò le cortine: la nonna era coricata, con la cuffia abbassata sulla faccia e aveva un aspetto strano.
- Oh, nonna, che orecchie grosse!
- Per sentirti meglio.
- Oh, nonna, che occhi grossi!
- Per vederti meglio.
- Oh, nonna, che grosse mani!
- Per meglio afferrarti.
- Ma, nonna, che bocca spaventosa!
- Per meglio divorarti!.
E subito il lupo balzò dal letto e ingoiò il povero Cappuccetto Rosso.
Saziato il suo appetito, si rimise a letto, s'addormentò e cominciò a russare sonoramente.
Proprio allora passò li davanti il cacciatore e pensò: " Come russa la vecchia! devo darle un'occhiata, potrebbe star male ".

Entrò nella stanza e, avvicinatosi al letto, vide il lupo.
- Eccoti qua, vecchio impenitente, - disse, - è un pezzo che ti cerco.
Stava per puntare lo schioppo, ma gli venne in mente che il lupo avesse mangiato la nonna e che si potesse ancora salvarla: non sparò, ma prese un paio di forbici e cominciò a tagliare la pancia del lupo addormentato. Dopo due tagli, vide brillare il cappuccetto rosso, e dopo altri due la bambina saltò fuori gridando:
- Che paura ho avuto! com'era buio nel ventre del lupo!
Poi venne fuori anche la vecchia nonna, ancor viva, benché respirasse a stento. E Cappuccetto Rosso corse a prender dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo; e quando egli si svegliò fece per correr via, ma le pietre erano cosi pesanti che subito s'accasciò e cadde morto.
Erano contenti tutti e tre: il cacciatore scuoiò il lupo e si portò via la pelle; la nonna mangiò la focaccia e bevve il vino che aveva portato Cappuccetto Rosso, e si rianimò; ma Cappuccetto Rosso pensava: " Mai più correrò sola nel bosco, lontano dal sentiero, quando la mamma me l'ha proibito ".
 




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Il gatto con gli stivali

fiaba di Perrault

Ascolta la storia in formato mp3 (6.31 Mb)


Un mugnaio, venuto a morte, non lasciò altri beni ai suoi tre figliuoli che aveva, se non il suo mulino, il suo asino e il suo gatto.

Così le divisioni furono presto fatte: né ci fu bisogno dell'avvocato e del notaro; i quali, com'è naturale, si sarebbero mangiata in un boccone tutt'intera la piccola eredità.

Il maggiore ebbe il mulino.

Il secondo, l'asino.

E il minore dei fratelli ebbe solamente il gatto.

Quest'ultimo non sapeva darsi pace, per essergli toccata una parte così meschina.

"I miei fratelli", faceva egli a dire, "potranno tirarsi avanti onestamente, menando vita in comune: ma quanto a me, quando avrò mangiato il mio gatto, e fattomi un manicotto della sua pelle, bisognerà che mi rassegni a morir di fame."

Il gatto, che sentiva questi discorsi, e faceva finta di non darsene per inteso, gli disse con viso serio e tranquillo:

"Non vi date alla disperazione, padron mio! Voi non dovete far altro che trovarmi un sacco e farmi fare un paio di stivali per andare nel bosco; e dopo vi farò vedere che nella parte che vi è toccata, non siete stato trattato tanto male quanto forse credete".

Sebbene il padrone del gatto non pigliasse queste parole per moneta contante, a ogni modo gli aveva visto fare tanti giuochi di destrezza nel prendere i topi, or col mettersi penzoloni, attaccato per i piedi, or col fare il morto, nascosto dentro la farina, che finì coll'aver qualche speranza di trovare in lui un po' di aiuto nelle sue miserie.

Appena il gatto ebbe ciò che voleva, s'infilò bravamente gli stivali, e mettendosi il sacco al collo, prese le corde colle zampe davanti e se ne andò in una conigliera, dove c'erano moltissimi conigli.

Pose dentro al sacco un po' di crusca e della cicerbita: e sdraiandosi per terra come se fosse morto, aspettò che qualche giovine coniglio, ancora novizio dei chiapperelli del mondo, venisse a ficcarsi nel sacco per la gola di mangiare la roba che c'era dentro.

Appena si fu sdraiato, ebbe subito la grazia. Eccoti un coniglio, giovane d'anni e di giudizio, che entrò dentro al sacco: e il bravo gatto, tirando subito la funicella, lo prese e l'uccise senza pietà né misericordia.

Tutto glorioso della preda fatta andò dal Re, e chiese di parlargli.

Lo fecero salire nei quartieri del Re, dove entrato che fu fece una gran riverenza al Re, e gli disse:

"Ecco, Sire, un coniglio di conigliera che il signor marchese di Carabà", era il nome che gli era piaciuto di dare al suo padrone, "mi ha incaricato di presentarvi da parte sua".

"Di' al tuo padrone" rispose il Re "che lo ringrazio e che mi ha fatto un vero regalo."

Un'altra volta andò a nascondersi fra il grano, tenendo sempre il suo sacco aperto; e appena ci furono entrate dentro due pernici, tirò la corda e le acchiappò tutte e due.

Corse quindi a presentarle al Re, come aveva fatto per il coniglio di conigliera. Il Re gradì moltissimo anche le due pernici e gli fece dare la mancia.

Il gatto in questo modo continuò per due o tre mesi a portare di tanto in tanto ai Re la selvaggina della caccia del suo padrone.

Un giorno avendo saputo che il Re doveva recarsi a passeggiare lungo la riva del fiume insieme alla sua figlia, la più bella Principessa del mondo, disse al suo padrone:

"Se date retta a un mio consiglio, la vostra fortuna è fatta: voi dovete andare a bagnarvi nel fiume, e precisamente nel posto che vi dirò io: quanto al resto, lasciate fare a me".

Il marchese di Carabà fece tutto quello che gli consigliò il suo gatto, senza sapere a che cosa gli avrebbe potuto giovare.

Mentre egli si bagnava, il Re passò di là; e il gatto si messe a gridare con quanta ne aveva in gola:

"Aiuto, aiuto! affoga il marchese di Carabà".

A queste grida, il Re messe il capo fuori dallo sportello della carrozza e, riconosciuto il gatto, che tante volte gli aveva portato la selvaggina, ordinò alle guardie che corressero subito in aiuto del marchese di Carabà.

Intanto che tiravano su, fuori dell'acqua, il povero Marchese, il gatto avvicinandosi alla carrozza raccontò al Re che mentre il suo padrone si bagnava, i ladri erano venuti a portargli via i suoi vestiti, sebbene avesse gridato al ladro con tutta la forza dei polmoni. Il furbo trincato aveva nascosto i panni sotto un pietrone.

Il Re diè ordine subito agli ufficiali della sua guardaroba di andare a prendere uno dei più sfarzosi vestiari per il marchese di Carabà.

Il Re gli usò mille carezze, e siccome l'abito che gli avevano portato in quel momento faceva spiccare i pregi della sua persona (perché era bello e benissimo fatto), la Principessa lo trovò simpatico e di suo genio: e bastarono poche occhiate del marchese di Carabà, molto rispettose ma abbastanza tenere, perché ella ne rimanesse innamorata cotta.

Volle il Re che salisse nella sua carrozza, e facesse la passeggiata con essi.

Il gatto, contentissimo di vedere che il suo disegno cominciava a pigliar colore, s'avviò avanti; e avendo incontrato dei contadini, che segavano, disse loro:

"Buona gente che segate il fieno, se non dite al Re che il prato segato da voi appartiene al marchese di Carabà, sarete tutti affettati fini fini come carne da far polpette".

Il Re infatti domandò ai segatori di chi fosse il prato che segavano.

"» del marchese di Carabà", dissero tutti a una voce perché la minaccia del gatto li aveva impauriti.

"Voi avete di bei possessi", disse il Re al marchese di Carabà.

"Lo vedete da voi, Sire", rispose il Marchese.

"Questa è una prateria, che non c'è anno che non mi dia una raccolta abbondantissima."

Il bravo gatto, che faceva sempre da battistrada, incontrò dei mietitori, e disse loro:

"Buona gente che segate il grano, se non direte che tutto questo grano appartiene al signor marchese di Carabà, sarete stritolati fini fini come carne da far polpette".

Il Re, che passò pochi minuti dopo, volle sapere a chi appartenesse tutto il grano che vedeva.

"» del signor marchese di Carabà", risposero i mietitori.

E il Re se ne rallegrò col Marchese.

Il gatto, che trottava sempre avanti la carrozza, ripeteva sempre le medesime cose a tutti quelli che incontrava lungo la strada; e il Re rimaneva meravigliato dei grandi possessi del signor marchese di Carabà.

Finalmente il gatto arrivò a un bel castello, di cui era padrone un orco, il più ricco che si fosse mai veduto; perché tutte le terre, che il Re aveva attraversate, dipendevano da questo castello.

Il gatto s'ingegnò di sapere chi era quest'uomo, e che cosa sapesse fare: e domandò di potergli parlare, dicendo che gli sarebbe parso sconvenienza passare così accosto al suo castello senza rendergli omaggio e riverenza.

L'orco l'accolse con tutta quella cortesia che può avere un orco; e gli offrì da riposarsi.

"Mi hanno assicurato", disse il gatto, "che voi avete la virtù di potervi cambiare in ogni specie d'animali; e che vi potete, per dirne una, trasformare in leone e in elefante."

"Verissimo!", rispose l'orco bruscamente, "e per darvene una prova, mi vedrete diventare un leone."

Il gatto fu così spaventato dal vedersi dinanzi agli occhi un leone, che s'arrampicò subito su per le grondaie, ma non senza fatica e pericolo, a cagione dei suoi stivali, che non erano buoni a nulla per camminare sulle grondaie de' tetti.

Di lì a poco, quando il gatto si avvide che l'orco aveva ripresa la sua forma di prima, calò a basso e confessò di avere avuto una gran paura.

"Mi hanno per di più assicurato", disse il gatto, "ma questa mi par troppo grossa e non la posso bere, che voi avete anche la virtù di prendere la forma dei più piccoli animali; come sarebbe a dire, di cambiarvi, per esempio, in un topo o in una talpa: ma anche queste son cose, lasciate che ve lo ripeta, che mi paiono sogni dell'altro mondo!"

"Sogni?", disse l'orco. "Ora vi farò veder io!..."

E nel dir così, si cangiò in sorcio, e si messe a correre per la stanza.

Ma il gatto, lesto come un baleno, gli s'avventò addosso e lo mangiò.

Intanto il Re che, passando da quella parte, vide il bel castello dell'orco, volle entrarvi.

Il gatto, che sentì il rumore della carrozza che passava sul ponte-levatoio del castello, corse incontro al Re e gli disse:

"Vostra Maestà sia la benvenuta in questo castello del signor marchese di Carabà".

"Come! signor Marchese!", esclamò il Re. "Anche questo castello è vostro? Non c'è nulla di più bello di questo palazzo e delle fabbriche che lo circondano; visitiamolo all'interno, se non vi scomoda."

Il Marchese dette la mano alla Principessa; e seguendo il Re, che era salito il primo, entrarono in una gran sala, dove trovarono imbandita una magnifica merenda, che l'orco aveva fatta preparare per certi suoi amici che dovevano venire a trovarlo, ma che non avevano ardito di entrar nel castello, perché sapevano che c'era il Re.

Il Re, contento da non potersi dire, delle belle doti del marchese di Carabà, al pari della sua figlia, che n'era pazza, e vedendo i grandi possessi che aveva, dopo aver vuotato quattro o cinque bicchieri, gli disse:

"Signor Marchese! se volete diventare mio genero, non sta che a voi".

Il marchese, con mille reverenze, gradì l'alto onore fattogli dal Re, e il giorno dopo sposò la Principessa.

Il gatto diventò gran signore, e se seguitò a dar la caccia ai topi, lo fece unicamente per passatempo.


Godersi in pace una ricca eredità, passata di padre in figlio, è sempre una bella cosa: ma per i giovani, l'industria, l'abilità e la svegliatezza d'ingegno valgono più d'ogni altra fortuna ereditata.

Da questo lato, la storia del gatto del signor marchese di Carabà è molto istruttiva, segnatamente per i gatti e per i marchesi di Carabà.
 




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Ci manca il mitico "Buratino" che è la rivisitazione russa di Pinocchio con alcune varianti  
 




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Pollicino

fiaba popolare europea dei fratelli Grimm

Ascolta la storia in formato mp3 (7.54 Mb)

C'era una volta...
un povero contadino, che una sera stava seduto presso al focolare e attizzava il fuoco, mentre sua moglie filava. Disse: - Com'è triste non aver bambini! E' cosi silenziosa casa nostra! e dagli altri c'è tanto baccano e tanta allegria! - Si, - rispose la donna sospirando, - anche se fosse uno solo, sia pur piccolissimo, non più grosso di un pollice, sarei già contenta; e gli vorremmo un gran bene - Ora avvenne che la donna cominciò a star male, e dopo set-te mesi diede alla luce un bambino, perfettamente formato, ma non più alto di un pollice. Dissero: - E' quale ce lo siamo augurato e sarà il nostro caro figlioletto, - e, dalla statura, lo chiamarono Polli-cino. Non gli lesinarono il cibo, ma il bimbo non crebbe; rimase quel che era stato fin dal primo momento; ma aveva uno sguardo intelligente e ben presto si dimostrò un cosino svelto e giudizioso, che riusciva in tutto quel che intraprendeva.

Un giorno il contadino si preparava ad andar nel bosco a tagliar legna; e mormorò: - Se ci fosse qualcuno che venisse a prendermi col carro! - O babbo, - esclamò Pollicino, - verrò io! Fidatevi; arriverò nel bosco a tempo debito -. L'uomo si mise a ridere e disse:

- Com'è possibile? Sei troppo piccolo per guidare il cavallo con le redini. - Non fa niente, babbo; se la mamma vuol attaccarlo, io mi metto nell'orecchio del cavallo e gli dico dove deve andare. - Be',

- rispose il contadino, - proviamo, per una volta -. Quando giunse l'ora, la madre attaccò e mise Pollicino nell'orecchio del cavallo, e il piccolo gli gridava dove doveva andare: - Uh e oh! giò e arri! -E il cavallo si dirigeva benissimo, come se ci fosse stato un cocchiere, e il carro se n'andava dritto verso il bosco. Ed ecco, proprio a u-na svolta, mentre il piccino gridava perché la bestia piegasse a sinistra, passaron di li due forestieri. - Gran Dio! - disse l'uno: - che è mai questo? c'è un carro, e guida il cavallo un carrettiere invisibile. - C'è qualcosa che non va, - disse l'altro, - seguiamo il carro e vediamo dove si ferma -. Ma il carro s'addentrò nel bosco, proprio dove spaccavan la legna. Quando Pollicino vide suo padre, gli gridò

- Eccomi, babbo, son qui col carro; tirami giù - Il padre prese cavallo con la sinistra e con la destra tirò giù dall'orecchio il ~ figlioletto, che tutto allegro si mise a sedere su una festuca. Quando i due forestieri videro Pollicino, ammutolirono dallo stu-pore. L'uno tirò l'altro in disparte e gli disse: - Senti, quel cosino potrebbe essere la nostra fortuna, se lo faremo vedere, a pagamento,in una gran citta': compriamolo! - Si avvicinarono al contadino e dissero:

- Vendeteci l'ornino, lo tratteremo bene. No, - rispose- è la radice del mio cuore, non lo venderei per tutto l'oro I mondo -, Ma Pollicino, sentendo del negozio, gli si era arram-picato su per le pieghe del vestito; si mise sulla sua spalla, e gli sus-ssurrò all'orecchio: - Babbo, vendimi pure, tanto tornerò -, Allora il padre lo diede a questi due per una bella moneta d'oro. - Dove vuoi metterti? - gli dissero. - Ah, mettetemi sulla tesa del cappello -così posso andar su e giù e guardarmi attorno senza rischio di cadere

-. L'accontentarono, e quando Pollicino ebbe preso con-gedo dal padre, se ne andarono con lui. Camminarono fino al crepu-scolo; allora il piccino disse: - Tiratemi giù, ne ho bisogno. Rimani pure lì,- disse l'uomo che lo portava sulla testa; - non importa-; anche gli uccelli ogni tanto lascian cadere qualcosa. - No -disse Pollicino, - so quel che si conviene; tiratemi giù, presto! -l'uomo si tolse il cappello e mise il piccino su un campo, lungo la strada; e quello s'addentrò un poco fra le zolle, strisciando e saltel-lando; poi, d'un tratto, scivolò in una tana di sorcio, che aveva ap-punto cercata. - Buona sera, signori! andatevene pure senza di me! gridò loro, beffeggiandoli. Quelli corsero e frugarono coi bastoni nella tana, ma era fatica persa: Pollicino strisciava sempre più giù, e siccome fu ben presto notte fonda, dovettero andarsene con la rabbia in corpo e con la borsa vuota. Quando Pollicino s'accorse che se n'erano andati, sbucò di nuovo fuori dalla galleria sotterra-nea

E' pericoloso camminar per i campi al buio, - disse, - è così' facile rompersi il collo! - Per fortuna s'imbatté in un guscio di lu-maca, " Grazie al cielo, - pensò, - posso pernottare al sicuro", e ci entro'. Poco dopo, mentre stava per addormentarsi, senti passare due uomini, uno dei quali diceva: - Come faremo a pigliarci l'oro e argento del ricco parroco? - Potrei dirtelo io, - gridò a un tratto Pollicino. - Cos'è stato? - esclamò atterrito uno dei ladri: - ho sentito parlare -. Si fermarono in ascolto e Pollicino tornò a dire:

Portatemi con voi, vi aiuterò. - Dove sei? - Cercate in terra e a-scoltate donde viene la voce, - rispose. Finalmente i ladri lo tro-varono e lo sollevarono. - Tu aiutarci, vermiciattolo! - dissero. Guardate, - egli rispose, - entro dall'inferriata nella camera del parroco e vi sporgo quel che volete. - Be', - dissero, - vedremo co-sa sai fare-. Quando arrivarono alla parrocchia, Pollicino s'insinuò nella camera, ma gridò subito a squarciagola: - Volete tutto quel che c'è qui dentro? - I ladri dissero, spaventati: - Parla piano, non svegliar nessuno -. Ma Pollicino finse di non aver capito e gridò an-cora: - Cosa volete? Volete tutto quel che c'è? - L'udì la cuoca, che dormiva nella stanza attigua, e si rizzò a sedere sul letto, in a-scolto. Ma dallo spavento i ladri eran corsi indietro un tratto; final-mente ripresero coraggio e pensarono: " Quel cosettino vuol can-zonarci ". Tornarono e gli susurrarono: - Adesso fa' sul serio e dàc-ci qualcosa -. E di nuovo Pollicino gridò a squarciagola: - Vi darò tutto, porgete soltanto le mani -. La donna, che stava in ascolto, l'udì distintamente, saltò giù dal letto ed entrò inciampicando nella stanza. I ladri corsero via a precipizio come se avessero il diavolo alle calcagna; ma la donna non riuscì a veder nulla e andò ad accen-dere un lume. Quando ella tornò, Pollicino, non visto, si cacciò nel fienile: e la donna, dopo aver cercato inutilmente in tutti gli ango-li, alla fine andò di nuovo a letto, credendo di aver sognato a occhi aperti.

Pollicino si era arrampicato fra gli steli del fieno e aveva trova-to un bel posto per dormire: voleva riposar fino a giorno, e poi tor-nare dai suoi genitori. Ma lo aspettavano ben altre esperienze! Si, non mancan triboli a questo mondo! All'alba la serva si alzò per dar da mangiare alle bestie. Per prima cosa andò nel fienile, dove prese una bracciata di fieno, proprio quello in cui dormiva il povero Polli-cino. Ma egli dormiva cosi sodo che non se ne accorse e si svegliò soltanto in bocca alla mucca, che se l'era preso col fieno. - Dio mio!

- gridò: - come ho fatto a cader nella gualchiera! - ma vide subito dove si trovava. E che attenzione ci volle per non esser stritolato fra i denti! ma poi dovette scivolar nello stomaco. - Nello stanzino han dimenticato le finestre, - disse, - e non ci entra il sole, né ci portano un lume -. L'appartamento non gli piaceva affatto e, quel che era peggio, dalla porta continuava a entrare altro fieno e lo spa-zio si restringeva sempre più. Alla fine, spaventato, gridò con quan-to fiato aveva in gola: - Non portatemi più fieno! non portatemi più fieno! - La serva stava mungendo e quando senti parlare, sen-za veder nessuno, ed era la stessa voce udita durante la notte, si spaventò tanto che sdrucciolò dallo sgabello e versò il latte. Si pre-cipitò dal padrone, gridando: - Dio mio, reverendo, la mucca ha parlato! - Sei impazzita! - rispose il parroco; tuttavia andò in per-sona nella stalla, per vedere che cosa ci fosse. Ma ci aveva appena messo piede, che Pollicino gridò di nuovo: - Non portatemi più fie-no! non portatemi più fieno! - Allora anche il parroco si spaventò, pensando che uno spirito maligno fosse entrato nella mucca, e la fece uccidere. Fu macellata, ma lo stomaco, con Pollicino dentro, finì nel letamaio. Pollicino avanzava a gran fatica, pure riuscì a farsi strada; ma proprio quando stava per metter fuori la testa, so-pravvenne un'altra sciagura. Arrivò di corsa un lupo affamato, che ingoiò tutto lo stomaco in un boccone. Pollicino non si perse d'ani-mo " forse il lupo mi darà retta ", pensò e gli gridò dalla pancia:

- Caro lupo, io so dove puoi trovare un cibo squisito. - Dove? -chiese il lupo. - In una casa così e così: devi introdurti nel doccione troverai focaccia, lardo e salsiccia a volontà -. E gli descrisse min-utamente la casa di suo padre. Il lupo non se lo fece dire due vol-e: durante la notte entrò nella dispensa, passando a forza per il doccione, e mangiò a sua voglia. Quando fu sazio, volle andarsene, ma si era così gonfiato che non poté più uscire per la stessa strada. proprio su questo aveva contato Pollicino, che si mise a fare un gran baccano nel corpo del lupo, strepitando e strillando più che poteva. - Vuoi star zitto? - disse il lupo: - svegli i padroni. - Come-rispose il piccino: - tu ti sei rimpinzato, e anch'io voglio spassarmela -. E ricominciò a gridare con tutte le sue forze. Final-imente suo padre e sua madre si svegliarono, corsero alla dispensa guardarono dalla fessura. Quando videro che c'era un lupo, si pre-cipitarono, l'uno a prender l'ascia, l'altra la falce. - Stammi dietro,

-disse l'uomo, mentre entravano nella stanza, - se non l'uccido al primo colpo, dàgli addosso e fallo a pezzi -. Udendo la voce di suo madre, Pollicino gridò: - Caro babbo, son qui, son nella pancia del lupo

.il padre disse, pieno di gioia: - Dio sia lodato, abbiam ritro-vato il nostro caro bambino -. E disse alla donna di metter via la falce, per non fargli male. Levò il braccio e colpì il lupo sulla testa, facendolo crollare a terra, morto; poi cercarono un coltello e un pa-io di forbici, gli tagliarono la pancia e tirarono fuori il piccino.

-Ah, - disse il padre, - quale cruccio abbiamo avuto per te! - Sì, babbo, ho girato il mondo in lungo e in largo! grazie a Dio, respiro di nuovo aria buona! - Ma dove sei stato? - Ah, babbo, sono stato in una tana di sorcio, nèl ventre di una mucca e nella pancia di un lupo: adesso rimango con voi. - E non ti vendiamo più, per tutto l'oro del mondo! - dissero i genitori, baciando e abbracciando il loro caro Pollicino. Gli diedero da mangiare e da bere e gli fecero fare dei vestiti nuovi, perché i suoi si erano sciupati in viaggio.
 




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flydream ha scritto: [Visualizza Messaggio]
Ci manca il mitico "Buratino" che è la rivisitazione russa di Pinocchio con alcune varianti  


Ce l'ho ma l'intera favola audio è di 100 Mb e più quindi difficile da seguire.

Sapevi che Zolotoj kljuchik, ili Prikljuchenija Buratino l'ha scritta Tolstoy A.?   ma credo almeno a prima vista, che sia molto diversa dalla nostra favola di Pinocchio.
 




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Messaggio Re: Favole Da Leggere E Ascoltare 
 
Metto una fiaba impopolare...  



Il Taglialegna Che Faceva Fascine.

C'era una volta un povero taglialegna.
Egli andava nei boschi a far fascine (di tutte le erbe faceva fascine) e sua moglie (che non sapeva fare le fascine, nonostante anni di studi e abnegazione) le vendeva in città, così facendo guadagnavano quel po' da non morir di fame (i maligni sostengono che la moglie avesse un intrallazzo col vicario che le comprava quotidianamente 230Kg di fascine, per suo cognato diceva... mah!).
Un giorno che il taglialegna tornava dal lavoro, l'accetta gli sfuggì di mano e gli cadde nelle acque vorticose di un fiume. Che sfiga pensò il poveretto, "quasi quasi ne approfitto per sedermi qua e lamentarmi un poco".
Il poveretto se ne stava tristemente sulla riva a lamentarsi, e non sapeva che fare, oltre a lamentarsi (e poi uno dice che bisogna anche provare compassione). Quand'ecco che dal fiume venne fuori un vecchio con la barba bianca e gli domandò:
"Perché ti lamenti?"
"Ma tu guarda che neanche in un bosco del ***** ci si può lamentare un po'. Ma per diana non ti puoi trovare un appartamento in città come tutti invece che vivere sul letto di un ***** di fiume?"
"Eh, non me lo dire. Ma sai, gli affitti... e comunque qui non è male, un po' umido forse ma le spese di condominio sono basse, sai io ho solo 4 millesimi di fiume. Mica come il Brambilla che ci voleva pure la cascata, lui sì che paga un sacco. Dicevamo?"
"Scassavi le palle perchè mi lamento."
"Ah, già. Non potresti finirla? Già prima mi è caduta un'accetta sul balcone... una giornataccia oggi, non ti dico..."
"Ehm... come dire... il fatto è che senza la mia accetta io sono perduto."
Il vecchio ci pensò un po' su e poi disse:
"Voglio aiutarti. Io sono lo spirito di questo fiume, ti riporterò l'accetta."
"Sì e io sono il grande Mago Minchione e domani pioveranno krafen alla crema"
Il vecchio si tuffò nei flutti e annegò. Dopo pochi minuti arrivò un ragazzino "Sto cercando mio nonno, è un po' rincoglionito e gli piace passeggiare nei boschi, l'avete visto?" Il taglialegna per tutta risposta si gettò nel fiume e annegò immantinente. "Forse che la mia descrizione non era abbastanza accurata?" pensò il ragazzino e si sedette sulla riva del fiume.
E cosí fu.

Morale:
Un fronte di bassa pressione accompagnato da strati di cirrocumulonembi
porterà nella giornata di domani ad un abbassamento della temperatura con
sporadici rovesci di krafen alla crema.

qui ce ne sono molte altre e interessa il genere http://www.mazzate.com/Romanticismo/Fiabe_Impopolari.htm
 



 
Lantis Invia Messaggio Privato HomePage
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Messaggio Re: Favole Da Leggere E Ascoltare 
 
Da piccolo mi colpì molto la storia del gatto con gli stivali  
 



 
direttore Invia Messaggio Privato
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Messaggio Re: Favole Da Leggere E Ascoltare 
 
Sono gia finite tutte le favole??????

MYSTERO DOVE SEIIIIIIIIIIIIII??????????
 




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Riuscire ad essere sempre se stessi ... nonostante siamo Uno, Nessuno e Centomila!
 
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