Vi segnalo, ristampa dalla Voland - http://www.voland.it questo romanzo di Aleksandr RadiÅ¡čev Viaggio da Pietroburgo a Mosca,traduzione di Bianca Sulpasso
Dalla scheda del volume http://www.voland.it/pages/scheda_libro.php?pagina=5
Il romanzo, uscito nel 1972 per la De Donato, è da tempo esaurito e introvabile. Adottato nelle università , è uno dei classici riconosciuti della letteratura utopista russa: scritto infatti all'inizio degli anni '90 del XVIII secolo, per la sua condanna del dispotismo fu considerato dall'Imperatrice Caterina II la Grande più pericoloso di una guerra persa. In ventiquattro tappe, che sono altrettanti capitoli, il libro descrive un viaggio da Pietroburgo a Mosca appunto, fatto in carrozza da un nobile che viene a contatto con i vari aspetti della realtà dell'epoca.
Il libro è corredato da una prefazione dello storico del populismo russo Franco Venturi già presente nella vecchia edizione.
febbraio 2006 collana Confini ISBN: 88-88700-20-X
Indice dei capitoli ed estratti dal volume in questo sito
http://www.tecalibri.info/R/RADISCEV-A_viaggio.htm dal quale copincollo pagina 85. Buona lettura!
LJUBANI
Ritengo che per voi sia lo stesso se il viaggio è avvenuto d'inverno o d'estate. Forse era d'inverno e d'estate. Ai viaggiatori capita non di rado: partono in slitta e tornano su un carro. Era estate. L'assito della pavimentazione stradale aveva torturato i miei fianchi. Scesi dalla kibitka e proseguii a piedi. Sdraiato, i miei pensieri erano andati all'incommensurabilità dell'universo. Allontanandomi con l'anima dalla terra, i colpi mi parevano più lievi... Non sempre però gli esercizi spirituali ci sottraggono alla corporeità : per la salute dei miei fianchi mi misi a camminare. A pochi passi dalla strada scorsi un contadino intento ad arare un campo. Faceva caldo. Guardai l'orologio. L'una meno venti. Sono partito di sabato. Oggi è, dunque, un giorno festivo. Senza dubbio il contadino che ara appartiene a un proprietario terriero che non prende da lui l' obrok. Ara con grande zelo. Il campo non è certo del padrone. Muove l'aratro di legno con sorprendente destrezza.
"Dio ti aiuti" dissi, avvicinandomi all'aratore che, senza fermarsi, terminava il solco iniziato. "Dio ti aiuti" ripetei.
"Grazie, signore" rispose lui e, scosso il vomere, spostò l'aratro per un nuovo solco.
"Devi essere un raskol'nik, visto che lavori di domenica."
"No, signore, io mi segno come si deve" mi rispose, mostrando le tre dita unite. "Ma Dio è misericordioso e non vuole che muoia di fame, dal momento che ho braccia robuste e una famiglia."
"Ma davvero non ti basta la settimana al punto che non puoi riposare neppure di domenica e ti tocca lavorare, per giunta nelle ore più torride?"
"La settimana, signore, ne ha sei di giorni, e noi sei volte la settimana lavoriamo i campi del padrone. La sera poi, se fa bel tempo, gli portiamo nel cortile il fieno rimasto nel bosco. Nei giorni di festa le donne e le ragazze si fanno la loro passeggiata andando nel bosco per funghi o per bacche. Volesse Dio" e si segnò "che stasera viene giù un po' di pioggia. Signore, se hai dei contadini, staranno pregando come me."
"Io, amico mio, contadini non ne ho, e per questo nessuno mi maledice. La famiglia ce l'hai numerosa?"
"Tre figli e tre figlie. Il più grandicello va per i dieci."
"Ma come fai a procurarti cibo a sufficienza, se sei libero solo nei giorni festivi?"
"Non abbiamo mica solo i giorni festivi, anche la notte ci appartiene. Chi si dà da fare di fame non muore. Guarda i cavalli... uno riposa, e quando questo è stanco, lo sostituisco, e il lavoro va avanti bene e niente lo intralcia."
"E lavori così anche per il padrone?"
"No, signore, chè lavorare così per lui sarebbe peccato. Il padrone ha cento braccia nel campo per una bocca sola, io invece ho due braccia per sette bocche, il calcolo lo fai da te. E poi puoi pure distruggerti di lavoro per il padrone, ma tanto chi ti dice grazie... Il signore non ti pagherà il testatico, non ti concederà nè un montone, nè un po' di tela, nè una gallina, nè del burro. Da noialtri si vive meglio dove il signore si prende dal contadino l' obrok, e ancora meglio senza il fattore. àˆ vero che a volte anche i padroni buoni prendono più di tre rubli per anima, ma tutto è meglio della barscina. Ora poi si sta introducendo l'uso di affittare i villaggi, come si dice. Noi però questo lo chiamiamo affittare non solo il corpo, ma pure l'anima! Il nudo fittavolo spella vivi i contadini; e pure il tempo migliore ci porta via. D'inverno non ci permette di arrotondare come vetturini, o lavorando in città : lavori sempre e solo per lui, perchè paga il testatico. Invenzione più diabolica non c'è: far lavorare i propri contadini per un altro. Di un fattore cattivo sai bene o male con chi lagnarti, ma per un fittavolo a chi ti rivolgi?"
"Amico mio, ti sbagli, è vietato dalla legge tormentare il prossimo."
"Tormentare? àˆ vero, signore, ma certo non vorresti trovarti nei miei panni." Così dicendo l'aratore attaccò l'altro cavallo e, iniziando un nuovo solco, mi salutò.
Il discorso di quel coltivatore risvegliò in me una moltitudine di pensieri. Prima di tutto considerai la disuguaglianza fra i contadini stessi, confrontando la condizione di quelli di stato e di quelli vincolati ai proprietari privati. Gli uni e gli altri vivono nelle campagne; ma mentre i primi pagano una somma stabilita, gli altri devono essere pronti a pagare quanto il padrone richiede. Gli uni sono giudicati dai propri simili, gli altri dinanzi alla legge sono morti, a meno che non siano riconosciuti colpevoli di qualche reato. Un membro della società viene riconosciuto tale dallo stato solo quando, per qualche ragione, infrange il contratto sociale, quando diventa un malfattore! Questo pensiero mi fece avvampare. Trema, proprietario terriero crudele, sulla fronte di ognuno dei tuoi contadini è scritta la tua condanna.
Immerso in queste meditazioni, inavvertitamente rivolsi lo sguardo al mio servo che, seduto sulla kibitka davanti a me, veniva sballottato a destra e a sinistra. All'improvviso il sangue mi ghiacciò nelle vene, per poi montarmi alla testa e infiammarmi il viso. Provai una vergogna così profonda che fui sul punto di piangere.
Proprio tu, mi dicevo, che ti scagli adirato contro il padrone tracotante che sfinisce il contadino sul campo, non sei il primo a comportarti anche peggio? Che delitto ha commesso il povero Petruska da impedirgli il conforto delle nostre sciagure, il dono più generoso che la natura abbia concesso all'infelice: il sonno? àˆ pagato, nutrito, vestito, non lo ripasso mai nè col bastone nè con la frusta (oh, che uomo moderato!), e tu credi che un tozzo di pane e uno straccio di vestito ti diano il diritto di comportarti con un tuo simile come se si trattasse di una trottola, vantandoti persino in cuor tuo perchè di rado interrompi il suo girare? Lo sai cosa è scritto nella legge fondamentale dell'uomo, nel cuore di ognuno di noi? Se colpisci un tuo simile, un giorno potresti anche tu essere colpito. Ricorda quel giorno, quando Petruska ubriaco non riuscì a vestirti. Ricorda quello schiaffo. Oh, se allora, nonostante l'ubriachezza, avesse avuto la lucidità di rispondere a dovere al tuo gesto! Chi ti ha dato il potere su di lui? La legge. La legge? Come osi profanare questo sacro nome? Oh, infelice...
Dai miei occhi iniziarono a scorrere lacrime e in questo stato le brenne dei postali mi portarono alla stazione successiva.