Dal "Diarietto di viaggio" - Kazakhstan-Cina, 2002.
13/08/02
ore 23,35 (Ембек - Embek)
Grazie Alimjon!
Apparentemente abbandonati a noi stessi, ci troviamo in una casa di gente kazaka, soli, in compagnia di Medi (un bambinetto, figlio dell'uomo che ci ha tratti in salvo dalle ostili forze della natura che si erano riversate contro di noi sotto forma di pioggia scrosciante e di freddo pungente) e della televisione che sta trasmettendo uno strano film sul canale "Kazakhstan", un'intricata storia d'amore ambientata in un immaginario Kazakhstan medievale con cavalieri e uomini armati e frequenti combattimenti all'arma bianca!
Chissa' dove sono andati tutti gli altri. Siamo arrivati in questa casa, stipati in sette su una macchina, una vecchia Moskvich verde pisello, ed ora siamo rimasti in tre ad aspettare che succeda qualcosa.
Non ci aspettavamo certo un epilogo così felice di questa lunga e difficile giornata. Questa mattina ci siamo svegliati sotto la pioggia e con un gran freddo: era il giorno da noi stabilito per partire dal campo base al lago Izevoe e proseguire secondo il nostro itinerario. Dovevamo approfittare del passaggio sull'Ural fino all'imbocco della vecchia "strada austriaca" che, all'altezza più o meno dei villaggi di Embek (dove ci troviamo) e di Cinghistai, staccandosi dalla strada asfaltata principale, si inerpica verso la montagna e porta all'altopiano di Tarbagataj e poi oltre, fino al villaggio di Urumhayka, sul lago Markakol, percorrendo circa 60 km. fra le montagne. Proprio questo nome in me provocava strane sensazioni legate ai racconti della mia loquace nonna che parlavano e sapevano di guerra, la "Grande Guerra", fiochi ricordi che riportavano la mia mente verso quelle montagne patrie dove ero solito trascorrere parte delle mie vacanze estive da fanciullo. E la curiosita' era forte.
E cosi' e' stato. La pioggia e il vento che ci hanno svegliato, se erano romantici dall?interno del piccolo rifugio di tela, hanno ben presto mostrato il loro atteggiamento ostile, manifestandosi in tutta la loro veemenza e mettendoci duramente alla prova per tutto l'arco della giornata che appena iniziava. Gia' da subito non e' stato facile smontare la tenda, piegarla e rimetterla nella sua custodia, cercando di bagnarla il meno possibile, e nel frattempo noi stessi ci inzuppavamo sempre più, e i vestiti, bagnandosi, diventavano sempre più pesanti e freddi.
Dopo aver pranzato insieme ai ragazzi del campo ingerendo un bel piatto di borsh ustionante, finalmente, sotto una pioggia sempre più intensa e fitta, abbiamo preso posto sull' Ural, dentro il quale un rumorosissimo gruppetto di ragazzini (di Mosca) con tanto di anziana guida, tutti molto sporchi, con i vestiti a brandelli e reduci a loro volta da un campo di venti giorni alle pendici del Beluka, stavano per tornare a Ust' Kamenogorsk, da dove si sarebbero imbarcati sull'aereo che li avrebbe fatti rientrare a casa loro a Mosca.
Durante il tormentato tragitto, il freddo aumentava, i brividi di tanto in tanto mi assalivano, partendo dalle gambe e poi su, in tutto il corpo e le incessanti gocce che cadevano in testa, dovute alle fessure presenti sul tetto dello sgangherato mezzo, assomigliavano ad una tortura cinese senza fine! Fortunatamente la vecchia guida, un personaggio molto singolare, con barba incolta e bianca, un vecchio scalatore, e, a detta sua, un grande esperto di Altaj, ha intrattenuto il viaggio raccontando tante storie legate alla sua vita, alla sua conoscenza profonda di questa regione e al suo passato di orgoglioso e coerente comunista. Ha voluto addirittura onorare la nostra presenza cantando "Bandiera Rossa" in italiano! I bambinetti tutto intorno zompettavano e facevano baldoria, euforici e spensierati. La curiosita' dello strano nome attribuito a quella strada, intanto, mi era stata svelata: la cosiddetta "strada austriaca" era, infatti, stata costruita da prigionieri dell'esercito austro-ungarico, catturati nella guerra del 1914-18, che lo zar Nicola II aveva trasferito in questa remota regione del suo impero (come in altre parti), per utilizzarli nella realizzazione di opere pubbliche attraverso I lavori forzati.
Fuori, intanto, dai vetri appannati, si poteva scorgere e ascoltare cadere la pioggia, sempre più intensa! Ed ecco, oltrepassato il posto di blocco che segna l'ingresso nella zona di frontiera tra Kazakhstan, Russia e Cina (dove abbiamo vissuto per due lunghi giorni), ci si stava avvicinando al punto in cui sarebbe terminato il nostro viaggio sul mezzo. La strada ora era più tranquilla, meno sballottamenti, perlomeno era asfaltata.
Dopo circa tre quarti d'ora, improvvisamente l' Ural si e' ermato, Lesha, l'amico autista, che faceva parte del gruppo di ragazzi russi di Uskaman, coi quali abbiamo condiviso questi giorni al campo, sceso dalla cabina, ha aperto il portellone del mezzo e ci ha invitati a scendere. "Ragazzi", sorridente e tranquillo, con la sigaretta sempre in bocca, indicandoci un sentiero che sale verso la montagna verde "ecco la strada austriaca che vi portera' al lago Markakol". Di primo acchito ho pensato: "beh, finalmente siamo arrivati! era ora!", senza rendermi conto di quello che poteva significare mettersi in cammino in quel momento. Un lampo di curiosita', unendosi ai brividi ormai costanti per il freddo, mi hanno annebbiato la mente, lasciandomi a bocca aperta per qualche secondo a fissare quel tracciato marrone.
Cosi', fradici e infreddoliti, veniamo quasi spintonati a terra, in gran fretta ci vediamo catapultare i nostri pesanti zaini sulla strada, la bufera intemperiava su di noi e prima che il mezzo se ne andasse definitivamente, abbiamo dovuto anche litigare col vecchio comunista sul prezzo da pagare per questo passaggio. Evidentemente la combricola era stanca e aveva fretta di proseguire la sua strada fino alla citta'. Il vecchio, da placido nonnino, si era trasformato in pochi secondi in feroce mostro per ottenere una ricompensa maggiore da noi, rispetto all'accordo preso al campo base. Alla fine, presi dalla disperazione per la situazione contingente e con una gran voglia di terminare quella inutile discussione che si protraeva, gli abbiamo lasciato 2500 Tenge, con la certezza che quei soldi finissero inesorabilmente nelle sue tasche e in una bella bottiglia di vodka, nonostante le sue promesse di aiutare i suoi ragazzini ad alleviare loro il peso economico del viaggio di ritorno. In fondo, con quella cifra irrisoria non si poteva al massimo che comprare un paio di bottiglie di discreta vodka!
Neanche il tempo di rimetterci in spalla gli zaini che l' Ural si era gia' dileguato e noi soli, la pioggia sempre più battente, il freddo sempre più penetrante, tutto intorno la distesa verde, la nebbia e le nuvole basse e grigie che nascondevano le sagome delle montagne dell'Altaj, e la strada vuota che assomigliava ad un'enorme palude! Non una casa, non una macchina, solo, a pochi passi, il bivio da dove inizia la famosa strada austriaca. Una striscia marrone scura che sale e, dopo qualche curva ad "esse", si perde a poco a poco, inghiottita dal bosco fitto di abeti, pini e larici e dalle nuvole basse. Impossibile mettersi in cammino su di essa in quel momento, le condizioni psicofisiche nostre e quelle meteorologiche erano estreme. E' bastato un semplice sguardo fra noi due per approvare questa decisione. Ci siamo dunque incamminati a ritroso, rimanendo sulla strada asfaltata e allagata, sperando di trovare sui nostri passi una macchina, una presenza umana, un aiuto, una fonte di salvezza. Paradossalmente il morale era alto, era scattata in noi l' "autoesaltazione", come lo chiamo io da anni, magari impropriamente, un meccanismo psicologico interessante. Un miscuglio di adrenalina, di spirito di sopravvivenza, di accettazione della situazione (ma non rassegnazione) e di sensazione di indistruttibilità che ti fa gioire della sofferenza che stai provando e ti fa andare avanti deciso e sicuro perche' senti che ce la puoi fare in quei momenti difficili. Quasi una sfida tra se' tessi e delle forze ostili che vorrebbero prendere il sopravvento, ma nella quale percepisci che ne uscirai vincitore. Una lunga e roboante risata di disperazione ha dominato quei lunghi secondi di solitudine, rimbombando in tutta la vallata! La pioggia era sempre più battente!
Camminavo senza fermarmi, barcollando a destra e a sinistra tra le pozze nell?asfalto viscido. I piedi sguazzavano fradici all'interno degli anfibi e ad ogni passo sentivo le gambe sempre più pesanti e lente. Fermarsi significava cadere, bisognava andare avanti. Ma avanti fino a dove, fino a quando?
Pochi attimi, lunghi un'eternita', ed ecco una macchina, quella Moskvich verde (che ci ha condotto ora in questa casa), con cinque persone a bordo. Io ho gridato, la macchina si e' fermata, ho chiesto aiuto, riparo e spiegato brevemente la situazione. Poco dopo, dopo esserci rifocillati con del te' caldo in casa di questa gente kazaka che ci "studiava" con occhi stralunati e curiosi, una sauna rigenerante ci ha rimesso in sesto! proprio cio' che ci voleva.
Fuori, intanto, continuava incessante la pioggia, ma per noi la tormenta finalmente era alle spalle, i vestiti bagnati messi ad asciugare, potevamo rincominciare a ragionare.
Grazie Alimjon!
gringox
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