Geometra e io ti faccio i complimenti per quel reportage; bravissimo e belle foto!
Ahh...che ricordi; mi hai fatto volare indietro nel tempo a quel "viaggione" compiuto nel 2002 in terra kazaka, insieme a Mr.G, nel profondo Altaj kazako...
Se mi permetti, aggiungo qualche fotina che ho ripescato, di quella mia grande avventura (ne ho tantissime, ma ne "butto" dentro qualcuna...):
A cavallo nell'Altaj.
Ritratto di famiglia kazaka nell'Altaj.
Geometra, i tuoi viaggi, spesso mi fanno tornare in mente i miei, mi riempiono di nostalgia...grazie per questo!
Gringox
PS: ...e questo è un brano tratto dal "diarietto" del Gringox di allora, quando la famiglia della foto ci ha "salvato la vita" in una delle tante situazioni drammatiche che mi sono capitate in quel viaggio.
13/8/02
ore 23.35 (Ембек – Embek)
… abbandonati a noi stessi, ci troviamo in una casa di gente kazaka, soli in compagnia di Medi (il bambinetto, figlio del signore che ci ha “salvato la vita”) e della televisione che sta trasmettendo uno strano film kazako sul canale “Kazakhstan”… chissà dove sono andati tutti gli altri. Siamo arrivati in questa casa in sette su una macchina ed ora siamo rimasti in tre.
Comunque, ringraziamo il padre di Medi (non mi ricordo più come si chiama) per averci oggi pomeriggio, salvato la vita.
La cronaca della giornata di oggi è più o meno la seguente. Questa mattina ci siamo svegliati con la pioggia e con il freddo: era il giorno stabilito da noi per la partenza dal campo base sul lago Izevoe per proseguire nel nostro itinerario. Dovevamo approfittare del passaggio sull’Ural fino alla vecchia strada austriaca che, all’altezza più o meno dei villaggi di Embek (dove ci troviamo) e di Cinghistai, staccandosi dalla strada asfaltata principale, si inerpica verso la montagna e porta fino a Urumhaika sul lago Markakol percorrendo circa 60 km. fra le montagne.
E così è stato. Ma ciò che veramente ci ha messo a dura prova è stata la forza della natura, ostile e violenta nei nostri confronti. La pioggia e il vento! Già di prima mattina non è stato facile smontare la tenda, piegandola e rimettendola nella sua custodia, cercando di bagnarla il meno possibile… e nel frattempo noi stessi ci inzuppavamo sempre più e i vestiti si bagnavano diventando sempre più pesanti e freddi.
Dopo aver pranzato insieme ai ragazzi del campo: un bel piatto di borsh caldo, finalmente, sotto una pioggia sempre più intensa e fitta, abbiamo preso posto sull’Ural, dentro il quale un altro gruppo di ragazzini (di Mosca) con tanto di vecchia guida, tutti “conciati” malissimo, con i vestiti a pezzi e reduci a loro volta da un campo di 20 giorni alle pendici del Beluka, stavano per tornare a Uskaman, da dove si sarebbero imbarcati per rientrare a casa loro a Mosca.
Durante il tormentato tragitto, il freddo aumentava, i brividi di tanto in tanto mi assalivano, partendo dalle gambe e poi su, su in tutto il corpo e le gocce che cadevano in testa, dovute alle fessure presenti sul tetto dello sgangherato mezzo, assomigliavano ad una tortura senza fine!
Fortunatamente la vecchia guida, un personaggio molto singolare, con barba incolta e bianca, un vecchio scalatore, e, a detta sua, un grande esperto di Altaj, ha intrattenuto il viaggio raccontando tante cose e sottolineando con vigore il suo passato comunista e il suo legame con l’Unione Sovietica (“ex”).
Sapeva addirittura “Bandiera Rossa” in italiano! Abbiamo parlato di storia, delle Kurili e di Sakhalin, della Russia e di come lui conosce bene l’Altaj e ci sia affezionato.
Fuori, intanto, dai vetri appannati, si poteva scorgere e ascoltare cadere la pioggia… sempre più intensa!
Ed ecco, oltrepassato il posto di blocco che delimita e immette nella zona di frontiera tra kazakhstan, Russia e Cina (dove abbiamo vissuto per due lunghi giorni), ci siamo avvicinati al punto in cui sarebbe terminato il nostro viaggio sul mezzo.
La strada ora era più tranquilla, meno sballamenti, almeno era asfaltata.
Improvvisamente l’Ural si ferma, Lesha, l’amico autista, che faceva parte del gruppo di ragazzi russi di Uskaman, coi quali abbiamo condiviso questi giorni al campo, è sceso dalla cabina, ha aperto lo sportellone del mezzo e ci ha fatti scendere. “Ragazzi” – sorridente e tranquillo, indicandoci un sentiero che sale verso la montagna verde – “ecco la strada austriaca che vi porterà al lago Markakol…”
Ancora fradici e infreddoliti, abbiamo catapultato i nostri zaini sulla strada, la bufera intemperiava su di noi e prima che il mezzo se ne andasse definitivamente, abbiamo dovuto anche litigare col vecchio comunista sul prezzo da pagare per questo passaggio. Alla fine gli abbiamo lasciato 2500 T., tanto se li intascherà lui, nonostante i bei discorsi sul fatto che i soldi che avremmo dato sarebbero serviti ad alleviare il peso economico del viaggio per il suo gruppo di bambini… anche perché quei 2500 T. non gli avrebbero cambiato più di tanto la vita!!
Ecco, l’Ural si allontanava e noi soli, la pioggia battente, il freddo penetrante, intorno a noi la distesa verde e le montagne dell’Altaj e la strada vuota… non una casa, non una macchina, solo a pochi passi il bivio da dove inizia la famosa strada austriaca. Impossibile mettersi in cammino su di essa adesso, le condizioni psicofisiche e meteorologiche erano impossibili. Ci siamo dunque incamminati, sperando di trovare sui nostri passi una macchina, un aiuto, una fonte di salvezza.
Paradossalmente il morale era alto, era scattata l’ “autoesaltazione”, una lunga risata di disperazione ha dominato quei lunghi minuti di solitudine… la pioggia era sempre più battente!
Pochi attimi, lunghi un’eternità, ed ecco una macchina, una Moskvich verde con cinque persone a bordo, tutti kazaki. Io ho gridato, la macchina si è fermata, ho chiesto aiuto, riparo e spiegato brevemente la situazione…
Poco dopo, dopo esserci rifocillati con del te caldo in casa di questa gente, una sauna deliziosa ci ha rimesso in sesto… proprio ciò che ci voleva.
La tormenta era alle spalle, i vestiti bagnati messi ad asciugare, potevamo rincominciare a ragionare.
Ale