Da "Viaggio intorno alla mia camera" di Francois-Xavier de Maistre, 1794.
"Ho intrapreso ed effettuato un viaggio di quarantadue giorni intorno alla
mia camera; le interessanti osservazioni che ho compiuto, e il continuo
divertimento che ho provato lungo il cammino, mi hanno fatto desiderare di
renderlo di pubblica ragione: la certezza di essere utile mi ha deciso a
farlo. (...) Potrei cominciare l'elogio del mio viaggio col dire che non mi
è costato nulla: punto che merita attenzione. Eccolo, dunque, subito
magnificato, festeggiato dalla gente di modesta condizione; ma c'è un'altra
categoria di persone presso le quali esso è ancor più certo di un lieto
successo proprio per questa medesima ragione, che non costa nulla. - Presso
chi, dunque? E che! Lo domandate? Presso i ricchi. Quale vantaggio non
rapresenta poi questa maniera di viaggiare per i malati! Essi non avranno da
temere l'inclemenza del tempo e delle stagioni. E quanto ai pusillanimi,
essi saranno al sicuro dai ladri; non incontreranno pecipizi ne' pantani.
Migliaia di persone che prima di me non avevano osato, altre che non avevano
potuto, altre infine che non avevano pensato di viaggiare vi si risolveranno
seguendo il mio esempio. L'essere più indolente esiterebbe forse a mettersi
in in cammino con me per procurarsi un divertimento che non gli costerà ne'
fatica ne' denaro? Coraggio, dunque, partiamo. Seguitemi, voi tutti che una
delusione amorosa, un'amicizia negletta tengono rinchiusi nel vostro
appartamento, lungi dalla meschinità e dalla perfidia degli uomini. Tutti
gli infelici, i malati e gli annoiati dell'universo mi seguano! Tutti i
pigri si sollevino in massa! E voi, che volgete nel vostro spirito sinistri
progetti di riforma o di smobilitazione a causa di qualche infedeltà ; voi,
che chiusi nel vostro studiolo rinunciate al mondo, amabili anacoreti di una
sera, venite anche voi; abbiate fede in me, ascoltatemi, abbandonate codeste
idee nere; voi sottraete un istante al piacere senza acquistarne uno alla
saggezza: degnatevi di accompagnarmi nel mio viaggio, cammineremo pian
piano, ridendo lungo la strada dei viaggiatori che hanno veduto Roma e
Parigi. Nessun ostacolo ci potrà fermare; e abbandonandoci lietamente alla
nostra fantasia, la seguiremo dovunque le piacerà condurci. (...)
La mia camera è situata al quarantacinquesimo grado di latitudine, secondo
le misure del padre Beccaria; è orientata da levante a ponentee forma un
quadrato allungato che misura trentasei passi di perimetro, rasente ai
muri. Però nel mio viaggio ne sommerò di più; perchè la traverserò spesso in
lungo e in largo, o diagonalmente, senza regola ne' metodo. Farò anche degli
zigzag, e percorrerò tutte le linee ammesse dalla geometria, se il bisogno
lo richiederà . Non mi piace la gente così padrona dei suoi passi e delle sue
idee da poter dire:" Oggi farò tre visite, scriverò quattro lettere, finirò
quest'opera che ho incominciato". La mia anima è tanto aperta a ogni sorta
di idee, di gusti e di sentimenti; accoglie così avidamente tutto ciò che le
si presenta...! Perchè mai dovrebbe rifiutare i piaceri sparsi lungo il
difficile cammino della vita? Sono così rari, così infrequenti, che
bisognerebbe essere pazzi per non fermarsi, anzi finanche per non cambiare
strada, allo scopo di cogliere tutti quelli che ci vengono a portata di
mano.(...) Così, quando viaggio nella mia camera, raramente percorro una
linea retta: vado dal tavolo verso un quadro posto nell'angolo; di là muovo
obliquamente per andare alla porta; ma sebbene in partenza l'intenzione sia
di recarmi proprio là , se incontro per via la poltrona, non faccio
complimenti, e mi ci accomodo subito. Una poltrona è proprio un ottimo
mobile; è soprattutto di una estrema utilità per ogni uomo amante del
raccoglimento. Nelle lunghe serate invernali, è talvolta dolce, e sempre
prudente, distendervisi mollemente, lontano dal fracasso delle assemblee
numerose. Un buon fuoco, qualche libro, una penna: quanti espedienti contro
la noia! (...)
Dopo la poltrona, procedendo verso nord, si scopre il letto, che è situato
in fondo alla camera e offre la più piacevole visuale. E' collocato in una
posizione assai felice: i primi raggi del sole vengono a scherzarvi tra le
cortine. Nei bei giorni d'estate li vedo avanzarsi sul muro bianco di mano
in mano che il sole si alza: gli olmi che stanno davanti alla mia finestra
li frangono in mille modi e me li fanno danzare sul letto, color di rosa e
bianco, che, col loro riflesso, sparge ovunque un delizioso colore. (...)
Confesso che mi piace assaporare codesti dolci momenti, e che prolungo
sempre, per quant'è possibile, il piacere che provo a meditare nel dolce
tepore del mio letto. C'è forse un teatro più propizio all'immaginazione,
capace di risvegliare idee più tenere, di codesto mobile nel quale talvolta
mi oblio? (...) Non è forse in un letto che una madre, ebbra di gioia alla
nascita di un figlio, scorda ogni sofferenza? Là vengono a turbarci i
piaceri fantastici, frutto dell'immaginazione e della speranza. E infine,
proprio in questo mobile delizioso noi dimentichiamo per metà della vita i
dispiaceri dell'altra metà . (...) Un letto ci vede nascere e un letto ci
vede morire: è il teatro mutevole dove il genere umano recita di volta in
volta drammi avvincenti, farse ridicole e tragedie spaventose. E' una culla
adorna di fiori. E' il trono dell'amore. E' un sepolcro. (...)
Non mi si rimproveri d'esser prolisso nei particolari; è un'abitudine dei
viaggiatori. Quando si parte per l'ascensione del MOnte Bianco, quando si va
a visitare l'ampio cratere della tomba di Empedocle, non si manca mai di
descrivere con la maggior precisione i particolari più insignificanti: il
numero delle persone, quello dei muli, la qantità delle provviste, l'ottimo
appetito dei viaggiatori, tutto insomma, persino i passi falsi delle
cavalcature, vien registratocon cura per l'erudizione del pubblico
sedentario. (...) I muri della mia camera sono adorni di quadri e di stampe
che l'abbelliscono assai. MI piacerebbe tanto farli esaminare al lettore,
uno per uno, per divertirlo o distrarlo lungo il cammino che dobbiamo
percorrere per arrivare alla scrivania: ma è tanto difficile spiegar bene un
quadro quanto ricavare un ritratto da una descrizione. Che emozionne
proverebbe, per esempio, il lettore contemplando la prima stampa che si
presenta allo sguardo! Vi vedrebbe l'infelice Carlotta, che terge lentamente
e con mano tremante le pistole di Alberto. In viso le son dipinti neri
presentimenti, e tutte le angosce dell'amore senza speranza e senza
consolazione; mentre il gelido Alberto, circondato di borse piene d'atti
processuali e di vecchie carte, si volge freddamente per augurare buon
viaggio all'amico. Quante volte sono stato tentato di rompere il vetro che
copre la stampa, per strappare quell'Alberto dal sua tavolo, farlo a
pezzettini, e mettermelo sotto i piedi! Ma resteranno sempre troppi Alberti
a questo mondo. Qual è la persona sensibile che non ha il suo Alberto con
cui è costretta a vivere, e contro il quale le effusioni dell'anima, le
dolci emozioni del cuore si frangono come le onde sugli scogli? Felice chi
trova un amico dotato di spirito e cuore che s'accordino col suo: un amico a
lui unito da una conformità di gusti, sentimenti e cognizioni; un amico che
non sia tormentato dall'ambizione e dall'interesse; che preferisca l'ombra
di un albero alle pompe di una corte! (...)
Dirò una parola sola della stampa seguente. E' la famiglia dell'infelice
Ugolino che sta morendo di fame: attorno a lui, uno dei figli è steso inerte
ai suoi piedi e gli altri gli tendono le braccia indebolite chiedendo pane,
mentre lo sventiurato padre, appoggiato ad una colonna della prigione,
l'occhio fisso e selvaggio, il viso immobile - nell'orribile tranquillitàÂ
dell'ultima disperazione - muore, della propria morte e di quella dei figli
a un tempo; e soffre tutto ciò che può soffrire natura umana. Valoroso
cavaliere d'Assas, eccoti morente sotto cento baionette, con un supremo
coraggio, con un eroismo che non si conosce più ai nostri giorni! E tu, che
piangi sotto quelle palme, povera negra! e, che un barbaro, che senza dubbio
non era inglese, ha tradita e abbandonata! che dico? te, ch'egli ha avuto la
crudeltà di vendere come una vile schiava, nonnostante tutto il tuo amore e
la tua devozione, nonostante il frutto del suo amore che porti nel seno, non
passerò mai dinanzi alla tua immagine senza rendere omaggio ai tuoi
sentimenti e alle tue sventure!
Fermiamoci un momento davanti a quest'altro quadro: è una pastorella che
sola soletta conduce al pascolo il gregge sulla cima delle Alpi: è seduta su
un vecchio tronco di abete rovesciato, imbiancato dalle stagioni; ha i piedi
nascoste dalle larghe foglie di un ciuffo di cacalia, i cui fiori di un
viola pallido le s'alzano sopra il capo. La lavanda, il timo, l'anemone, la
centaurea, fiori di ogni specie che vengono coltivati a fatica nelle nostre
serre e nei nostri giardini, e che nascono sulle Alpi in tutta la loro
primitiva bellezza, formano lo splendido tappeto sul quale vagano le
pecorelle. Graziosa pastorella, dimmi, dove si trova l'angolo felice della
terra in cui vivi? Non potrei venirci a vivere con te? Ma, ahimè! la dolce
serenità di cui godi non tarderà a sparire: il demone della guerra, non
contento di desolare la città , sta per portare terrore e turbamento nel tuo
solitario romitaggio. Già avanzano i soldati: li vedo salire di monte in
monte e avvicinarsi alle nuvole; il rombo del cannone risuona nell'alta
dimora del tuono. Fuggi, pastorella, sollecita il gregge; nasconditi negli
altri più remoti e più selvaggi: non v'è più pace su questa triste terra.
(...)