Detto popolarissimo, ripreso per esempio dallo scrittore Alberto Moravia («ma, come si dice, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi»), e conosciuto anche in altre varianti: il diavolo fa la pentola ma non il coperchio; e, come testimonia il Tommaseo nel suo ottocentesco dizionario, il diavolo aiuta a far le pentole e non i coperchi. Il significato: è più facile fare del male che evitarne le ricadute negative. Il diavolo è presentissimo nella tradizione proverbiale come personificazione del male e degli istinti maligni che albergano negli esseri umani. I proverbi sono depositari di prudenza popolare e di buon senso o senso comune non di rado venati di moralismo. Per questo il diavolo vi figura spesso come cattivo o imperfetto consigliere. Il suggerimento che viene lanciato è semplice e netto e, come nel caso del proverbio in questione, intriso di pragmatismo: meglio non architettare azioni malvagie (o anche solo disoneste) perché è facile che si ripercuotano contro chi le ha pianificate e commesse. Avendo fatto del male, insomma, i conti finiscono col non tornare e il malfattore ne paga in qualche modo le conseguenze.
Citazione:
IL DIAVOLO FA LE PENTOLE Ovvero: I proverbi nella saggezza popolare e contadina
Nelle culture folkloriche, l’esperienza generale di vita si è depositata e strutturata, nel corso dei millenni, nei proverbi e nelle espressioni sentenziose. Possiamo dire che non c’è vicenda quotidiana che non trovi la sua giustificazione e la sua verifica in una massima. Il fatto, poi, che l’umanità sia vissuta per circa diecimila anni in una società agraria, ha determinato che la stragrande maggioranza dei proverbi e delle frasi sentenziose sia caratterizzata da riferimenti al mondo e alla mentalità contadina. Ma dai proverbi è difficile trarre informazioni riguardanti condizioni e processi di lavoro, perché spesso i riferimenti ai tempi, ai modi e agli utensili servono a trarre considerazioni di ordine morale e a suggerire comportamenti etici e generiche norme di vita; solo in tempi più recenti i proverbi hanno costituito quasi un calendario, un’agenda delle attività agricole, tanto da consentirci di individuare alcuni degli aspetti essenziali del-l’organizzazione del lavoro e dei rapporti di produzione dell’età in cui sono stati coniati[1].
Nella società agraria arcaica, il contadino, nel tempo che gli rimaneva libero, svolgeva anche qualche lavoro di artigianato: confezionava zoccoli, ceste, accomodava gli arnesi rotti, mentre le donne si dedicavano alla filatura e alla tessitura. Pochi dunque erano quelli che svolgevano lavori artigianali: tra questi assumevano una grande importanza il fabbro, il calderaio (colui che accomodava le pentole, spesso di rame), il carraio (il costruttore dei carri agricoli) e il fornaciaio.
Secondo alcuni proverbi, gli artigiani godevano di una condizione di vita meno difficile di quella del contadino; infatti, Tutti i mestieri / dan da mangiare, e Chi ha un mestiere / di fame non muore. Qui il termine mestiere non è da intendersi in senso generale, ma in quello di un lavoro specialistico. Il concetto, che l’artigiano se la passi meglio del contadino, è poi ribadito da un proverbio molto più esplicito: La pignatta dell’artigiano / se non bolle oggi, bollirà domani. Un altro, riferito all’attività del fabbro, indispensabile nella società agraria, perché costruiva e riparava gli strumenti del lavoro contadino (zappe, vanghe, aratri, picconi, ecc.), è addirittura ottimistico: Chi batte ferro / batte oro.
Tuttavia, una volta scelta un’attività, bisognava svolgerla con coscienza, precisione, serietà, e, diremmo oggi, con professionalità, perché, ricordano altre due massime: Cento mestieri / non uno di buono; Cento mestieri / e mille miserie. Il lavoro dell’artigiano, infatti, non può essere improvvisato, ma si deve basare sull’oculatezza, sulla pazienza, e su un’esperienza lunga che sopperisce alla mancanza della teoria; così:
Prima si guarda il buco / e poi si fa il cavicchio;
basta l’occhio esercitato, non è necessario il metro. Ma la perizia maggiore è certamente quella del bottaio, che il proverbio indica come uno capace di
dare un colpo al cerchio / e uno alla botte.
Oggi questa massima si usa per indicare qualcuno che si barcamena, che si destreggia tra due cose contrastanti fra loro; ed invece l’immagine rimanda al bottaio intento a unire, con cerchi di ferro, le doghe alla botte: l’operazione è difficile perché bisogna battere, simultaneamente, con il mazzuolo sulle doghe per assestarle, e sul cerchio di ferro per farlo scendere al punto di calzare perfettamente le doghe.
Non tutti gli artigiani, però, sono forniti di grandi capacità tecniche e manuali. Nei proverbi quelli più presi di mira risultano i sarti e i falegnami. Di questi ultimi si dice:
Stucco e pittura / il falegname fa bella figura
Se non ci fosse la colla e lo stucco / il falegname sarebbe distrutto,
mentre dei primi si recita: Il ferro da stiro / è il ruffiano dei sarti.
I proverbi sembra che esprimano giudizi di merito sugli artigiani: tra questi ci sono quelli utili ed indispensabili e ci sono quelli di cui, potendo, si può fare a meno. Uno di questi è il calzolaio, cui si ricorreva solo in casi rari, i contadini essendo capaci di farsi da soli gli zoccoli, utilizzando una vecchia tomaia da inchiodare su una suola di legno. Per questo, probabilmente, è nato il seguente detto, in cui è chiaro il favore di cui gode il fabbro presso la comunità contadina, tanto da essere oberato di lavoro, mentre il calzolaio appare come uno che ha poca voglia di lavorare:
Il calzolaio se vuole / il fabbro se può.
Sarti e calzolai, poi, sono associati in una massima che può contenere qualche elemento dispregiativo, ma che può anche dire che il lavoro da svolgere è tanto che i due artigiani non hanno tempo per pensare a se stessi (almeno oggi si usa in questo senso):
Gli scarpai han sempre le scarpe rotte / ed i sarti le pezze nel culo.
C’è poi una massima che riguarda tutti indistintamente gli artigiani, i quali spesso e volentieri non rispettano i termini della consegna del lavoro:
Artigiano che non mente / non ha mestiere tra la gente.
Così come accade con i proverbi agrari, anche quelli che si riferiscono al mondo artigianale spesso assumono il tono delle massime normative ed etiche, alcune delle quali godono di una grande circolazione anche oggi e sono ampiamente usate nel parlare quotidiano. Come i seguenti, che si riferiscono al lavoro del fornaciaio:
Il diavolo fa le pentole / ma non i coperchi
Tanto va l’orcio alla fonte / o che si smanica o che si rompe.
Oppure questo, ispirato al lavoro del fabbro:
Quando sei martello batti / quando sei incudine para,
che suggerisce una certa accettazione delle vicende della vita; ma poi si aggiunge, assennatamente, pur se con qualche carenza di amore per il prossimo:
Meglio martello / che incudine.
Al quale si contrappone, con chiara allusione sessuale:
Dura di più l’incudine / che il martello.
Il seguente, oltre ad appartenere al gruppo che dà indicazioni di ordine generale, si eleva fino alla speculazione metafisica:
Chi ha fatto il mondo lo può mutare / e chi fa il carro lo sa disfare;
quest’ultimo si ispira al lavoro del carraio, un altro artigiano che svolgeva un’importantissima funzione nel mondo agrario.
Naturalmente anche il muratore è indispensabile; a lui i proverbi riservano qualche consiglio:
Chi mura d’inverno / mura in eterno,
ma nello stesso tempo lo raffigurano come uno che, oltre ad essere presente dappertutto, può prendersi delle libertà che ad altri sono vietate:
Non c’è chiesa né casa di signore / dove non ci pisci il muratore.
Anche il fornaciaio appare in possesso di ampie facoltà di decisioni:
Il pignattaro / attacca il manico dove gli pare,
ma si ha l’impressione che il proverbio sia metaforico e che il pignattaio non è altro che colui che detiene il potere.
In qualcuna di queste massime ricorre anche il senso dell’economia contadina, secondo la quale niente si butta e tutto si può riutilizzare e trovare una nuova funzione:
Quel che non è buono per le suole / è buono per i tacchi.
Per concludere questa breve carrellata di proverbi dedicati all’artigianato, prendiamo gli ultimi tre che ci sono rimasti[2].
Fucina non toccare / farmacia non leccare: forse vuole indicare la pericolosità di certe attività, oppure vuole insegnare che chi non è del mestiere è bene che stia lontano dal prendere certe iniziative, che potrebbero fargli male o procurargli un danno.
Io son calderaio / e tu mi vuoi tingere: il calderaio, o lattoniere, girava per le campagne e riparava pentole e caldaie, sporche di nero fumo. Finiva per diventare nero anche lui. Qui la massima è metaforica: tu pensi di ingannarmi, ma io sono più furbo di te. C’è anche un atteggiamento di superiorità particolare in quella congiunzione e che apre la seconda parte del proverbio, come a dire: guarda che oltre che più furbo sono anche più esperto!
Le pignatte si fanno / con tutt’una creta: il fornaciaio, dovendo fabbricare una pentola, deve saper calcolare la quantità di argilla che occorre per fare l’utensile che ha in mente, senza ricorrere, durante il lavoro, ad aggiunte o a sottrazioni di materia. Qui ci sembra sia condensata tutta la perizia tecnica dell’artigiano, insieme con il concetto che il senso della misura e la logica devono essere il perno intorno al quale gira ogni attività umana, manuale o intellettuale che sia.