Domenica 20 Marzo 2005 si decolla...
L'amico Giuseppe (Mr. G.), insieme alla fedelissima gringax mi accompagnano a Malpensa e mi sostengono moralmente e fisicamente (dato il pesante ed ingombrante bagaglio che mi e' addirittura costato circa 300 euro di sovrappeso! - come ben descritto dal Giusy nel post "Passaggio importante"). Gli ultimi sguardi prima del controllo passaporti e poi via; in perfetto orario decollo alla volta di Budapest e poi Kiev.
All'arrivo a Borispol' (aeroporto di Kiev) mi aspetta il mio nuovo collega Oleg con sua moglie e l'Ucraina mi accoglie col suo residuo d'inverno: gelo, vento forte e neve... appena qualche ora prima Milano mi salutava con i suoi 15 gradi di prima mattina...e siamo al 20 Marzo!!!
Fortunatamente niente problemi di sdoganamento, niente storiacce coi bagagli...tutto andato liscio dal punto di vista burocratico.
Dopo un'oretta circa eccomi nel mio nuovo temporaneo appartamento. Una casetta tutta nuova, in stile italiano, che si trova proprio nel territorio degli uffici e comodissima quindi per il mio inserimento "immediato" nello spirito della mia nuova attivita' qui in Ucraina!
La prima sera la trascorro col mio amico webboss, Stefano e col mio nuovo boss italiano, Marco a casa di quest'ultimo con un perfetto "benvenuto" in stile locale a suon di "Perzovka"...il risultato finale ve l'ha poi raccontato il webboss...macchina sequestrata per guida sotto l'effetto dell'alcohol, hehehehe.
Ehh gia' amici, qui non si scherza propio. Ti beccano praticamente sempre.
Addirittura mi e' capitato mercoledi' di andare fuori coi ragazzi qui al ristorante e poi in un klub fico di Kiev e di darci dentro ben benino con l'amichetta spensierata vodka e poi, all'uscita, l'amico che doveva stare al volante, consapevole del pericolo, ha chiesto ad un taxista di portarci a casa con la macchina del mio amico, gli ha dato le chiavi e il taxista ci ha portato tutti a casa. Poi ha chiamato il "suo" taxi e si e' fatto venire a prendere...roba da russi!!
gringox
Dieci anni fa il mio arrivo a Kiev.
Che emozione rileggere queste righe che risalgono a 10 anni fa.
Ricordo che quando sbarcai a Kiev, quella domenica 20 marzo 2005, nevicava fitto fitto e faceva freddo; e mi fece così effetto provare subito sulla pelle quel clima così diverso dall'Italia che avevo da poco lasciato, tanto che tuttora, ripensando a quel momento, ricordo quei brividi di freddo come se fosse ieri... oggi, a distanza di anni, abituato come sono al ciclo delle stagioni qui, il clima è forse l’ultimo dei miei pensieri… anche se devo ammettere che negli ultimi anni esso non è più così rigido nel suo schematismo stagionale come allora.
Di quel giorno mi è rimasto il biglietto aereo Milano Malpensa-Budapest-Kiev di sola andata (allora non si volava ancora direttamente con l’Italia, e men che meno esisteva la Wizz Air; solo qualche anno dopo avrei avuto l’emozione, per una pura coincidenza di date, di capitare sul primo volo diretto Alitalia Kiev-Milano Malpensa – volo che tempo dopo venne cancellato; e solo anni dopo invece è apparso il “law cost” Wizz Air); ed un Corriere della sera ormai un po’ ingiallito, che conservo come una reliquia, con una prima pagina dedicata al “solito” Berlusconi che allora era ancora in piena forma.
Lungi dagli sconvolgimenti politico-sociali di questo ultimo anno e mezzo che hanno purtroppo trasformato questa città – Kiev – e questo Paese in un relitto in preda alla bufera ed alla deriva, il mio ricordo va alle sensazioni di allora, di quei primissimi giorni kievliani, alla “pelle” , al “tatto”, agli occhi di quel Gringox che iniziava la sua nuova vita e sembrava un bambino curioso che aveva ottenuto il suo agognato “giochino” e stava iniziando a toccarlo.
Se ripenso a quei primi passi, a quella spaesatezza per la novità che da un lato mi preoccupava, ma che dall'altro rappresentava l'accettazione entusiastica della mia sfida russofila, della concretizzazione del mio sogno russofilo, che finalmente diventava realtà, non posso far altro che commuovermi sinceramente.
Quanta acqua sotto i ponti è passata in questi anni... quanti legami umani in quel preciso momento di passaggio sono cambiati, quanti se ne sono creati; altri si sono rotti. E penso anzitutto a ciò che lasciavo in Italia allora, ai miei genitori che fino all’ultimo ancora non realizzavano cosa potesse significare non avermi più vicino; alla Gringax (la cui storia sarà destinata a finire, tramutandosi però nel corso del tempo in una profonda e fraterna amicizia); agli amici della mia compagnia che improvvisamente non avrei più visto come al solito nei finesettimana. Penso al primo “webboss” (il webmaster) del nostro Forum russia-italia, che avevamo da poco creato; dopo mesi di corrispondenza virtuale, iniziata già nel Vecchio Contenitore, finalmente conoscevo di persona colui che ha di fatto reso possibile la realizzazione del mio sogno russofilo (e qui si ritrova il motivo originario della mia eterna riconoscenza verso il Forum e del mio affetto profondo verso di esso); egli è stato per me un “maestro” di vita e un buon amico nei primissimi tempi di vita kievliana. Successivamente, anni dopo, il suo definitivo rientro in Italia ha provocato la fine della nostra frequentazione. Penso ai colleghi ucraini del nuovo lavoro, alle primissime conoscenze nate qui in terra ucraina con gente locale e con altri Italiani, ai clienti delle varie città ucraine che poco alla volta iniziavo a girare per lavoro. Fino poi ad arrivare alla “Pesciolina”, che diversi anni dopo avrei conosciuto in uno dei “klub” che frequentavo, e che doveva essere una nuova “preda” come tante altre, ma che – ironia della sorte per uno come me che credeva di fare il “farfallone” in eterno – sarebbe invece poi diventata la donna della mia vita…
Il fattore umano è sempre stato centrale nella mia esistenza e, sin da subito, anche la mia nuova vita a Kiev cominciava a ruotare intorno ad esso, arricchito qui da un aspetto curioso, tipicamente russo, di spontaneità e improvvisazione delle relazioni umane: ed ecco che, sin dalle prime uscite solitarie a zonzo dei primi giorni “esplorativi”, capitava di socializzare in modo estemporaneo e casuale, così “naturalmente”, intorno ad una vodka, e di trascorrere incredibili serate con perfetti sconosciuti, con un coinvolgimento tale che in breve pareva di trovarsi insieme ad amici di una vita. Ed io ricordo quanto “godevo” di questo approccio umano che mi faceva stare bene dentro. Ed in alcuni casi da questi incontri, nel corso del tempo, sono venute davvero delle buone conoscenze…
Ricordo i primi passi nel mio nuovo lavoro, nell’ufficio con i nuovi colleghi ucraini, che ora, a distanza di anni sento ormai come fratelli, parte di una grande famiglia. Subito mi colpì la totale diversità dell’impostazione lavorativa, più “primitiva” se vogliamo nell’aspetto gestionale, ma decisamente più a misura d’uomo, non rigida, lontana anni luce dalla freddezza che respiravo nell’ufficio milanese del mio precedente posto di lavoro. Oggi questo ambiente è ormai diventato una parte così integrante della mia vita che farei fatica a staccarmene…
E poi quel Quartier Generale del Gringox d’Ucraina, che doveva essere “nido” temporaneo, in attesa di una soluzione abitativa diversa per me, è diventata invece la dimora sicura e confortevole nella quale oggi, dopo 10 anni, tuttora vivo. Prima solo soletto, e questo posto mi pareva una reggia; da qualche anno insieme alla mia famiglia che si sta ingrandendo poco alla volta, rendendo l’ambiente un po’ strettino e un po’ scomodo. Ma nonostante tutto, sinceramente, ancora non riesco a pensare di dover abbandonarlo…
Ahh, se le mura del Quartier Generale potessero parlare… quanti racconti, quanti aneddoti rivelerebbero… e molti forumisti sanno di cosa parlo perché hanno avuto in questi anni la fortuna di essere ospitati e di poter vivere le emozioni che in esso si sono sempre create.
Ricordo le prime emozioni legate alla quotidianità, prima tra tutte quella della comunicazione in russo. Di colpo abbandonare la propria lingua madre natia ed impostare la vita utilizzando l’amato e sempre percepito come proprio russo. Con la specificità – tipica di questo Paese – dell’aggiunta della lingua ucraina che, a quel tempo, mi risultava così strana, così curiosa… ed in un certo senso mi attirava, tanto che poi, qualche tempo dopo, avrei preso anche delle lezioni di ucraino perché mi sembrava giusto avere comunque delle basi di comprensione. Mai avrei immaginato che oggi, passato tanto tempo, l’ucraino mi sarebbe entrato in testa così inconsciamente, tanto che posso tranquillamente dire di capirlo bene e di parlarlo un po’.
Ricordo come “godevo” ad ascoltare la radio in russo, e subito mi affezionai a “russkoe radio”, che trasmetteva (e trasmette tuttora) solo musica russa… Tuttora in macchina ascolto praticamente sempre “russkoe radio”.
Oggi tutto è così talmente normale, automatico e “ovvio”, che ho la sensazione di non essere neppure più uno straniero, ma un “locale” che ha una qualche origine italiana e che per questo possiede la perfetta conoscenza della “seconda” lingua (l’italiano).
Ricordo le prime difficoltà organizzative: la stranezza di abituarsi ad avere a che fare con gli “obmenniki” (i cambi valuta) e ad impratichirsi col cambio euro/grivna, l’affrontare i prezzi in grivne, la “conoscenza” con i supermercati, con una disposizione degli scaffali e un assortimento di prodotti così diversi da quelli a cui io ero abituato in Italia. Mi ricordo come mi colpiva il reparto delle vodke, per ampiezza pari a quello dei vini nei supermercati italiani, con bottiglie di tantissime marche e di diversa dimensione… ed io mi soffermavo a guardarlo e dentro di me sorridevo…
Mi ricordo, a questo proposito, l’avidità di voler curiosare e provare tutte quelle novità alimentari, che già conoscevo in parte, ma che provocavano in me euforia al pensiero che ora avrei avuto tutto il tempo per assaggiare ciò che volevo (latticini, succhi, “pescetti”, vodke, birre, gastronomia varia, “salaty”, ecc…), invogliato anche dai prezzi che mi parevano così incredibili (e di fatto erano davvero bassi rispetto a ciò a cui ero abituato a Milano). Mi ricordo la “pivo” Obolon’ premium – quella con l’etichetta oro – la birra che doveva essere sempre presente nel mio frigorifero di casa…
E poi le difficoltà logistiche: prendere dimestichezza con il muoversi in città, i gettoni di plastica blu del metro, le marshrutke gialle, arrugginite e cigolanti, che sprizzavano a forte velocità talvolta non fermadosi agli “stop” o che sgattaiolavano sopra i marciapiedi per aggirare le code di macchine ferme al semaforo. Nella totale indifferenza della gente. Mi divertiva quel sistema così inusuale per me di pagamento del pedaggio facendo passare il denaro di mano in mano tra i passeggeri finchè non arrivava al conducente che, nel caso ce ne fosse stato bisogno, faceva ritornare nella direzione inversa il resto, e poi ripartiva. E ricordo la timidezza delle primissime volte in marshrutka nell’avvisare il conducente, praticamente urlando, della mia intenzione di scendere: “na ostanovke pozhalujsta!”… ma tutti facevano così e presto mi sarei abituato anch’io.
Per tanti mesi ho girato in marshrutka e metro, e mi è servito davvero tanto per conoscere la città; la macchina mi è arrivata solo parecchio tempo dopo. A distanza di anni, ora, la metro la uso ancora qualche volta, soprattutto quando devo uscire sapendo di trascorrere una serata “alcolica”; sulle marshrutke invece praticamente non salgo più da anni.
E che effetto che mi fecero da subito quei marciapiedi dissestati, pieni di buche, in cui tante volte ho inciampato… per non parlare delle strade, disseminate di voragini, dove zigzagavano vecchie Zhiguli “scarcassate” con le targhe ancora sovietiche (quelle col fondo nero e il numero bianco in rielievo) e sfrecciavano mastodontici Hammer coi vetri neri, macchine che prima d’allora non avevo mai visto in Italia; subito in quei primi giorni mi rendevo conto dello stridente contrasto sociale e dei forti paradossi di questa società. Oggi di Zhiguli se ne vedono ancora, ma sempre meno; pure gli Hammer sono scomparsi perché fuori moda e troppo dispendiosi, lasciando però il posto ad altri macchinoni, ai nuovi modelli di Bmw, Mercedes, Lexus, ecc.
Beh, in generale, non che fossi totalmente nuovo al mondo post-sovietico, anzi… (avevo 30 anni allora, e alle spalle già diverse esperienze russofile; avevo già vissuto per diverso tempo in Estonia a metà degli anni ‘90, e a Mosca nella fine degli anni ‘90, e avevo già viaggiato per anni attraverso i paesi delle Russie e dell’Asia Centrale); conoscevo dunque questa realtà – perché in fondo, con le dovute differenze di sviluppo, di etnicità, di dimensioni, non c’erano abissi di diversità nei meccanismi cittadini tra una Dushanbè e una Kishinev, ad esempio, o tra una Tbilisi, una Kiev, una Gomel’, una Juzhno-Sahalinsk, una Ashgabad – e dunque sapevo a cosa andavo incontro, e sapevo di “amare” questo mondo – in fondo questa è la mia russofilia, il mio “godere” di una quotidianità bizzarra e apparentemente “sregolata” come quella che esiste qui; non ero insomma un novellino, ma mi rendevo conto sin dai primi giorni a Kiev che questa volta si trattava di una svolta definitiva o, se non altro, di un cambiamento di vita non certo di breve termine.
A dir la verità, sin dall’inizio, non ho mai percepito questo aspetto della durata della mia permanenza: venivo in Ucraina per restarci. In cuor mio era quello che volevo; non fare un’esperienza, ma cambiare la mia vita in senso russofilo. O ritrovare me stesso. Non ho mai pensato a “fare soldi”, né a fare una carriera, tanto per fare un esempio; non ho mai avuto l’idea di venire qui come “expat” per un periodo e poi andarmene; non mi sono trasferito inseguendo il sogno di un amore per unirmi ad una donna amata; non voglio per carità esprimere dei giudizi su chi lascia il Paese natio per i motivi appena indicati, ma per me era diverso. Forse in un’altra, precedente vita ero nato qui e in qualche modo tornavo alle origini; Già da quei primi momenti mi sentivo “a casa”, non ero uno straniero…
Ricordo le mie prime frequentazioni di locali. Cercavo in zona, per non allontanarmi troppo dal Quartier Generale e perché sapevo che qui, abbastanza lontano dal centro, avrei trovato la situazione adatta a me, “soviet” nello stile e nell’atmosfera, come piaceva a me… Una delle prime sere trovai un posticino fantastico che finì per diventare il punto di riferimento delle mie cene solitarie durante le prime settimane kievliane: il “kafè” Natali, un “podvalchik” fetido in ul. Vasilokovskaja, vicinissimo a casa, coi divanetti in pelle rossa e l’odore di stantio che regnava fisso per il mal funzionamento dell’impianto di ventilazione; qui mangiavo quasi sempre una ciotola di borsh o una saljanka, e una “otbivnaja” con patate che navigavano nell’olio; e quando uscivo mi restava addosso sui vestiti il puzzo della cena… Ma mi piaceva, ahh, se mi piaceva… Adesso che ci ripenso, mi pare di sentire ancora l’odore… Oggi il “kafè” Natali non lavora più, chiuso ormai da anni…
Ricordo i “klub” che da subito ho iniziato a frequentare, lontano dalla “movida” del centro, come sempre calamita per turisti, “expat” stranieri o figli degli oligarchi; io cercavo l’autenticità russa, quella che conoscevo e che amavo, nella sostanza, nello stile, nel design; volevo ascoltare la musica russa, “popsa”, “shanson”, “retro”, andava bene tutto, possibilmente anche dal vivo… e volevo essere circondato da gente di quartiere, da studenti di “obshezhitje” (il quartiere dove vivo è noto per essere un quartiere universitario)… Capitai così al Saturn, situato nel parco Golosejvskij, quello che in breve diventò il mio “klub sotto casa”, il mio locale preferito, una sorta di taverna dal sapore caucasico coi tavolini in legno, il palco dove si esibivano le “tsiganki” del gruppo di Petja “Chernij”, tutte coloratissime; ricordo la voce della cantante “cicciona” che perforava i timpani, ma era bravissima. Tuttora, sebbene invecchiata anche lei, la sua voce è sempre micidiale come una volta! Qui potevo ascoltare musica russa “retro” dal vivo, ballare “belye rozy” e invitare ragazze a qualche “lento” romantico. Qui si mangiava (e si mangia tuttora) un shashlik strepitoso!
Oggi il Saturn non si chiama più Saturn, ha cambiato “faccia” nel corso degli anni, “remont” dopo “remont”, ed è diventato un locale abbastanza d’èlite, ma le “tsiganki” cantano ancora e l’atmosfera tutto sommato è sempre quella di allora, ed io continuo a frequentarlo perché a questo posto sono sinceramente affezionato.
Ricordo i chioschetti, il “Meri” in primis, all’incrocio tra la Vasilkovskaja e la “mia” ul. Bubnova; qui facevo i miei “aperitivini” a base di di vodka che veniva versata in banali bicchierini di plastica, stando in piedi, in mezzo a quella fauna umana variegata dove si mischiavano “bomzh”, alkogoliki o semplicemente gente che prima di rientrare a casa era solita “farsi” un 100 g di vodka, per scaldarsi un po’ dall’ultimo freddo di fine marzo. Il “Meri” tuttora, a distanza di 10 anni, è sempre lì, ma a differenza di allora che lavorava 24h, adesso la notte chiude, forse per imposizione comunale in seguito a risse notturne tra “alkogoliki” che sicuramente saranno successe nel corso di questi anni. Io al “Meri” la vodka non la bevo più, ma di tanto in tanto ogni volta che ci passo accanto, quando la mente è predisposta alla nostalgia, ripenso al gusto di quella vodka sulla cui qualità meglio sorvolare… e dentro di me sorrido.
E che dire di quelle vecchiette che lungo la strada vicino ai supermercati o alle stazioni della metro vendevano (e ci sono tutt’ora) le cipolle, le verze e le carote del loro orto, o i “semechki” o le sigarette al pezzo…
Ricordo gli scoiattoli che vedevo arrampicarsi su quegli enormi e vecchi castani al parco Golosejvskij, il parco di quartiere, a 10 minuti a piedi da casa, quello del Saturn; e mi sembrava così strano vedere che in un parco cittadino (sebbene più che un parco sia un bosco in città) potessero così tranquillamente scorrazzare quelle bestiole, e mi fermavo a lungo ad osservarle… ricordo le mie passeggiate nei finesettimana di quella mia prima primavera kievliana, quando mi divertivo a “spinnazzare” le ragazzine sedute sulle panchine che bevevano una birretta e che “ciacolavano” spensieratamente, e che spesso vedendomi passare e notando il mio aspetto “diverso” si mettevano a ridere e bisbigliavano tra loro; oggi, a distanza di 10 anni, il parco è sempre quello, quello cambiato sono io… adesso ci vado correndo dietro al mio figlio grande che va già per i 5 anni e che ama giocare al pallone o spingendo la carrozzina dove dorme felice l’altro figlio che mi è nato 4 mesi fa… e talvolta mi sembra di rivedere quelle ragazzine di allora, ormai diventate madri, che passeggiano con i loro pargoli…
Tanti, tanti ricordi insomma di quei primi giorni kievliani, di quei momenti e di quelle emozioni che non si ripeteranno più ma che resteranno impresse nella mia mente per sempre.
Insomma sono volati dieci intensi e meravigliosi anni. Un quarto della mia vita l’ho trascorso qui, avevo 30 anni quando sono sbarcato a Kiev e mi ritrovo oggi di colpo quarantenne. Quanto tempo passerò ancora qui non lo so, sarà il destino a deciderlo. E molto dipenderà dall’evolversi della drammatica situazione che sta vivendo l’Ucraina oggi. Ma una cosa posso dire con convinzione di quel momento di passaggio di 10 ani fa e di questi anni trascorsi: non ho nulla da rimpiangere e se dovessi tornare indietro, rifarei convintamente tutto ciò che ho fatto.
Gringox